DALLE CROCIATE
ALLE STREGHE
I SEGRETI DEI BÉGUINAGE

Uno degli aspetti più interessanti e peculiari della vita dei secoli scorsi in Belgio (ma anche nei Paesi Bassi e nel nord della Germania e della Francia) è sicuramente rappresentato dalle comunità di beghine. Dimenticate l’accezione più comune del termine in italiano: qui non si tratta di donne bigotte e ostentatamente devote, di santarelle tutte “casa e chiesa”, ma di un fenomeno che non ha corrispondenti nella nostra cultura e che nasce dall’aspirazione a sottrarsi all’aut aut che imponeva alle donne una scelta obbligata tra la vita in famiglia subordinata all’autorità di un uomo (marito, padre o fratello) o la reclusione in un monastero. Fu forse la forza della disperazione che spinse queste donne, inconsapevolmente all’avanguardia, a escogitare una terza via e a realizzarla con la creazione dei béguinages (beghinaggi).


(Il béguinage di Bruges)


A trovare una via d’uscita all’impasse della società patriarcale furono inizialmente le nobildonne sposate i cui mariti erano partiti, spesso senza fare più ritorno, per le Crociate. Si trattava di persone agiate che decisero di riunirsi in béguinages per vivere insieme conservando però ciascuna la propria indipendenza. Dopo avere scelto un luogo appena ai margini di una città, le vedove bianche delle Crociate vi si facevano costruire delle case (inizialmente in legno e successivamente in mattoni) e vi si trasferivano con i figli, i servi e i loro beni. A loro si aggiunsero donne sole anche non benestanti, desiderose di sottrarsi alla sottomissione familiare. Nacquero così i béguinages.


(Il béguinage di Mechelen)


La soluzione rappresentò una sorta di compromesso in quanto la libertà delle beghine era comunque condizionata all’accettazione di alcune regole, soprattutto di natura religiosa. Erano tenute a frequentare le funzioni liturgiche e le sedute di lettura della Bibbia, avevano un capo spirituale, che però doveva vivere fuori dal béguinage (di solito appena fuori dal complesso) e, all’inizio, dovevano anche fare voto di obbedienza. Per le più restie a ottemperare a queste regole erano previste sanzioni (preghiere, digiuno e, nei casi più gravi, l’esclusione dalla comunità). Al di là di questi obblighi, che col tempo andarono sfumando, la grande conquista delle beghine fu la possibilità di vivere da sole e al sicuro in una comunità che, comunque, potevano abbandonare, se lo volevano, in qualsiasi momento. Fu forse proprio la loro indipendenza a suscitare illazioni malevole sul loro conto e, addirittura, in alcune località della Germania settentrionale e dei Paesi Bassi, la voce che si trattasse di congreghe di streghe.


(Mechelen)


Oltre all’interesse che rivestono in un’ottica sociale, i béguinages si segnalano anche dal punto di vista architettonico. Le case che li compongono formano una compagine compatta che circonda e racchiude un grande spiazzo centrale, una specie di piazza con alberi e piante, formando una sorta di microcosmo circolare in cui era sempre compresa anche una chiesa. È questo il caso, tra gli altri, del béguinage di Bruges, ancora oggi un’oasi di serenità nonostante l’appeal turistico della cittadina. In altri centri, invece, il béguinage ha una struttura più complessa e si presenta come una città nella città, con strade e piazze, in cui - oltre alle abitazioni – c’erano infermerie, cucine, laboratori e, talvolta, addirittura un birrificio (come nel béguinage di Mechelen).


(Il fiume Dyle che circonda e protegge il béguinage di Lovanio)


Il più grande béguinage belga si trova a Lovanio e rientra a pieno titolo nel patrimonio mondiale dell’UNESCO. Le sue origini risalgono al Medioevo, anche se il periodo di massimo splendore fu raggiunto nel Seicento, periodo in cui vi si contavano oltre trecento beghine.


(Il béguinage di Lovanio - foto di Stefano Tagliaferri)


Il Groot Begijnhof di Lovanio è tutto un succedersi di stradine, piazze piccole e grandi, giardini e cortili, che formano una cittadella separata dal mondo esterno da mura e torri, da un lato, e dal fiume Dyle, dall’altro. Al calar del sole le porte venivano chiuse e nessun uomo poteva entrarvi. Nella porta principale, però, c’era una nicchia in cui potevano essere lasciati i neonati con la certezza che sarebbero stati accolti. Le beghine, infatti, vivevano sulla base di principi di solidarietà e amore per il prossimo e, oltre ad aiutarsi tra loro, si prendevano cura degli orfani, assistevano i poveri e gli anziani e cuocevano il pane non solo per i membri della loro comunità ma anche per chiunque altro ne avesse bisogno (suscitando talvolta le proteste dei fornai della città che temevano un calo dei loro affari). Insomma, si trattava quasi di un’utopia realizzata su piccola scala.


(Lovanio)


Con il passare degli anni la comunità si ridusse sempre più e gli edifici cominciarono ad andare in rovina fino a quando, nel 1962, non furono acquistati dall’Università di Lovanio che li restaurò e li trasformò in abitazioni per gli studenti e i docenti. Sull’acciottolato delle stradine non risuonano più i passi delle beghine (l’ultima è morta una trentina di anni fa), ma scivolano poche silenziose biciclette. È il periodo del blocus, quando tutti si chiudono in casa a studiare prima degli esami.


(Lovanio)


Laddove c’era l’antico ospedale ora c’è il ristorante “Cum laude”, un tempio dell’alta gastronomia. Sic transit gloria mundi…

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