CALVARI
DI BRETAGNA
FEDE, MEMORIA
E COMMERCI

(Il complesso parrocchiale di Guimiliau)

Nel corso di una delle ultime vacanze in Francia, in una mattina piena di sole e di azzurro mi sono fermata nella cittadina di Guimiliau (Bretagna, Finistere), in cerca di un famoso calvario - termine con il quale si intende un monumento pubblico raffigurante un crocifisso, a volte racchiuso in un santuario all'aperto o in un complesso parrocchiale. Scopro che ero sulla buona strada, anzi ottima. All’uscita dell’abitato trovo, infatti, un “enclos paroissial” – recinto o complesso parrocchiale - che contiene il calvario di Guimiliau, il secondo calvario più grande della Bretagna, annoverato nella lista dei monumenti storici, realizzato in gran parte in stile “gotico-flamboyant” bretone e edificato tra il 1581 e il 1588, da artisti diversi.


(Notre Dame de Tronoen, il più antico Calvario)


Si tratta di un tipico complesso parrocchiale bretone, in assoluto tra i più belli, le cui varie parti sono state erette tra il XVI e il XVII secolo, ovvero proprio nel periodo in cui i paesi in questa parte della Bretagna e del Finistere godevano della prosperità economica derivante dagli intensi traffici commerciali via mare e dai proventi sul commercio del lino. Le piccole comunità rurali dovevano infatti la loro ricchezza alla lavorazione del lino e della canapa e alla fabbricazione delle tele per le vele. I calvari erano monumenti molto costosi da realizzare, ed erano i commercianti a finanziarli. Furono chiamati i migliori artisti e artigiani dell’epoca per creare queste opere d’arte: scultori, pittori, vetrai, ebanisti.


(Il complesso di Guimiliau - foto di Mauro Sarrecchia)


In generale, quest'arte è databile tra la metà del XV e il XVII secolo, risulta spesso molto elaborata, con l'aggiunta di altri elementi o figure come i santi o gli Apostoli, la Vergine Maria, la morte con la falce, chiamata in bretone Ankou, queste ultime figure sono spesso “vestite” con gli abiti dell'epoca in cui sono state scolpite.

I complessi parrocchiali dei villaggi venivano abbelliti in funzione non soltanto religiosa ma anche sociale, politica ed economica, dando luogo a un confronto fra villaggi con i loro calvari per ostentare la propria ricchezza, arrivando a rivaleggiare per avere quello più spettacolare.

È per questo che se ne trovano così tanti – forse una settantina - in questa zona del nord-ovest della Francia, soprattutto nel Finistère ma non solo, e, in particolare, nella valle del fiume Élorn nel tratto tra Brest e Morlaix. La prosperità bretone si arrestò alla fine del XVII secolo – a causa dell’introduzione di una tassa sulle esportazioni, necessaria per riempire le vuote casse del re di Francia Luigi XIV: per la Bretagna – che destinava l’80% delle sue tele all’esportazione in Inghilterra – le imposte segnarono la fine di un periodo d’oro.


(Il complesso parrocchiale di Plougastel Daoulas - foto di Mauro Sarrecchia)


Al di là delle competizioni socioeconomiche, i cosiddetti enclos paroissiaux rappresentano una peculiarità dell'architettura e dell'arte cristiana della Bretagna. Il legame tra arte e fede è sempre stato molto forte e le più grandi opere sono nate proprio in nome della religione. In Bretagna, questo legame è rappresentato dai calvari, una commistione tra simbologia celtica e cristiana, espressione artistica unica al mondo.

Si tratta di complessi religiosi recintati; e il recinto o muro in pietra aveva la sua importanza perchè serviva a separare lo spazio sacro dall'esterno, il sacro e il profano. Al complesso parrocchiale i fedeli accedevano dall'arco trionfale che simboleggiava anche l'ingresso dei giusti nel regno dei cieli, oltre che un ponte tra vivi e morti e doveva garantire ai defunti la protezione dai demoni.


(Il Calvario di St Thegonnec - foto di Mauro Sarrecchia)


I complessi erano frutto dell'opera di vari artisti, più e meno famosi. Furono realizzati tra il XVI e il XVII secolo in scuro granito bretone, la kersantite o pierre de kersanton. Il fiorire di questo tipo di architettura era legato alla prosperità e benessere economico dei villaggi, come già detto, ma anche e soprattutto al fervore religioso della gente, alle missioni evangelizzatrici e al bisogno di coinvolgere i fedeli in occasione di pestilenze e calamità da scongiurare.

Nati sul finire del Medioevo, i calvari hanno avuto varie funzioni: come memoria per “marcare” un paesaggio, un crocicchio di strade, una piazza, magari con un solo crocefisso e basta sotto una piccola tettoia; erano oggetti di culto con una funzione “didattica” che, con il racconto delle Sacre Scritture, serviva a elevare a Dio l'anima dei credenti; erano anche utili come punti di riferimento per i viandanti che viaggiavano su quelle strade. Infine, fin dal Medioevo, sono serviti a rappresentare l'acquisizione simbolica di quel territorio da parte della comunità cristiana, allo stesso modo in cui, nelle epoche precedenti, i monumenti megalitici contrassegnavano i paesaggi della preistoria, secondo i dettami religiosi e ideologici delle comunità del tempo.


(Guimiliau, l'arco di ingresso al complesso parrocchiale - foto di Mauro Sarrecchia)


I calvari hanno svolto e svolgono tuttora anche un ruolo importante nei Pardon. Questa era la più celebre festa bretone, che si svolgeva in occasione della ricorrenza del santo patrono: in quella occasione i fedeli ottenevano l’indulgenza e il perdono dei peccati. Oggi, in occasione di feste e celebrazioni in Bretagna, si fanno pellegrinaggi dove i calvari rappresentano la meta da raggiungere.

Nei complessi parrocchiali bretoni sono presenti elementi riconducibili alla religione celtica, in particolare alle concezioni sulla morte che – presso i Celti – non era vista come la fine di tutto, ma come qualcosa strettamente legata alla resurrezione, paragonata al sole che sorge e tramonta e che, quindi, deve essere intesa e vissuta come qualcosa di normale e familiare. Si ipotizza anche che questo tipo di scultura possa ricondursi alle croci che i primi Celti di religione cristiana solevano porre in cima ai menhir.


(Guimiliau, statue degli apostoli nell'atrio della chiesa - foto di Mauro Sarrecchia)


Un’altra importante funzione dei recinti parrocchiali e dei calvari è stata quella di offrire uno spazio ai molti aspetti della vita quotidiana del paese: qui si teneva mercato, le donne sbrigavano faccende e lavori, si discutevano affari e trattative commerciali. La chiesa e il calvario, ricchi di statue e ornamenti ispirati così ai santi bretoni come alle leggende celtiche e alle storie del Vecchio e Nuovo Testamento, offrivano fede e cultura alla popolazione priva di istruzione e incapace di leggere ma che poteva vedere, apprendere e ricordare le storie della Bibbia e le vite dei santi.

Sono presenti anche in Italia e in Spagna, ma i più famosi Calvaire sono quelli della Bretagna. Una eccezione: un calvario del XVI secolo situato a Louargat, fu trasportato in Belgio presso il Carrefour de la Rose, vicino alla città di Boesinghe, a nord di Ypres, dove rappresenta un memoriale della Prima guerra mondiale.

I complessi parrocchiali più famosi e artisticamente importanti sono Guimiliau; Lampaul-Guimiliau (da non confondere tra loro); Saint Thegonnec e Pleyben.

Da menzionare anche Plougastel-Daoulas di cui rimane, però, solo il monumentale calvario.


(Guimiliau, la chiesa dedicata a San Miliau - foto di Mauro Sarrecchia)


Il più antico in assoluto della Bretagna eretto tra il 1450 e il 1470, ancora oggi esistente, si trova nella città di Saint-Jean-Trolimon, ed è il calvaire della cappella di Notre-Dame-de-Tronoën, che include sculture che rappresentano l'Ultima Cena e scene della Passione.

Tutti situati nel Finistere, con distanze tra loro relativamente brevi.


(Calvario di Guimiliau, particolare: la fuga in Egitto - foto di Mauro Sarrecchia)


Entro nel grande complesso di Guimiliau (monumento storico dal 1992) circondato da un recinto in pietra, appunto “l’enclos”, attraverso un imponente arco trionfale costruito attorno al 1669. All’interno c’è la chiesa, l’ossario o cappella funeraria, e un gigantesco meraviglioso calvario montato su una base in pietra su due livelli, ricco di 200 sculture in pietra scura, che circondano la Crocifissione stessa e rappresentano la Vergine Maria e gli apostoli, a volte anche santi locali e altre figure dell'iconografia cristiana.

Sono sola, circondata da una grande bellezza, da uno splendore elaborato e forse un po' cupo a causa della pietra scura, rischiarato dall’erba verde e da qualche cespuglio di fiori. Un’atmosfera incantata, una visione dei luoghi quasi scenografica.


(Calvario di Guimiliau: una sola croce, sorretta da Maria, San Giacomo, San Pietro e San Ivo - foto di Mauro Sarrecchia)


Munita di “letteratura” sufficiente ad accompagnarmi nel percorso di scoperta, entro nella grande chiesa dedicata a san Miliau, re di Cornovaglia, eretta nel corso del XVI secolo e in seguito ricostruita all'inizio del XVII in stile gotico fiammeggiante e rinascimentale. Della costruzione originaria rimane solo la campana del 1530. La chiesa, a due navate, è impreziosita da arredi barocchi, battistero e pulpito lignei riccamente scolpiti, la volta in stucco e una grande vetrata nell’abside che diffonde una luce dorata. Ci sono un organo e tre pale d'altare, una di San Miliau con raffigurazioni di episodi della vita del santo, una del Rosario e una dedicata a San Giuseppe. L’organo del 1677 presenta una tribuna in legno anch’essa scolpita ed è stato costruito da Thomas Dallam, figlio del più grande costruttore di organi inglese, ha 24 registri di 48 note. Viene restaurato nel 1989 da Gérard Guillemin.

Nel coro sono raffigurati san Michele e il drago e le statue degli Apostoli. È chiuso da una balaustrata del XVII secolo e ha una vetrata centrale che risale al 1599.


(Guimiliau: chiesa, organo e pulpito - foto di Mauro Sarrecchia)


La cappella funeraria, o ossario, fu edificata verso la metà del Seicento. È una costruzione indipendente di stile classico eretta vicina al muro di cinta. Qui venivano trasferite dal cimitero le ossa dei defunti ed era considerato un ponte tra i vivi e i morti. La cappella funeraria serviva come deposito per le ossa dei morti, nel caso in cui in chiesa – dove i morti venivano originariamente sepolti – non vi fosse più spazio. Ossario e portico sono ornati e scolpiti con scene evangeliche e dell’Antico e Nuovo Testamento. Una iscrizione sulla porta d’accesso – “memento mori” – ricorda la sua originaria funzion

Guardo, ammiro, fisso le immagini nella memoria, non si può ricordare tutto, e si sente il bisogno di sedersi e ripassare notizie e appunti appena letti e le immagini appena viste.


(Guimiliau, cappella funeraria - foto di Mauro Sarrecchia)


Tutte queste opere d’arte in qualche modo fanno da contorno e cornice al monumentale calvario di Guimiliau con ben duecento statue, una volta a colori, incredibili per la bellezza delle sculture e il numero dei personaggi che raccontano la vita di Cristo e compongono le scene rappresentate: la Passione, l’Ultima Cena….

Il calvario, realizzato in granito, tra il 1581 e il 1588, decorato su due livelli, è di forma ottagonale e sorretto da quattro contrafforti. È un vero e proprio racconto. Queste 200 figure formano circa 25 scene a soggetto religioso, tra cui 17 scene della Passione di Cristo in ordine non cronologico e altre scene tratte dal Vangelo e dalla Bibbia, Le scene, come in un libro, si sviluppano orizzontalmente e i personaggi sono disposti in posizione frontale su ciascuna delle quattro facciate, quasi a rendere partecipe chi guarda degli avvenimenti e dei sentimenti.

Tra queste - unico caso tra i calvari monumentali bretoni - vi è anche la scena dei pellegrini di Emmaus, oltre alla leggenda di Katell Gollet (Caterina la Perduta) peccatrice e condannata, figlia di poche virtù, ladra di un’ostia per un amante, che viene sospinta dai diavoli tra le fiamme.

È raffigurata anche nel calvario del complesso parrocchiale di Plougastel Daoulas.


(Calvario di Guimiliau, particolare: la Natività - foto di Mauro Sarrecchia)


Nel livello inferiore, sono rappresentate l'infanzia di Gesù e le prime fasi della Passione, mentre nel livello superiore sono rappresentate le fasi finali della Passione. Oltre ai soggetti religiosi, sono raffigurati anche commercianti, politici, e altre figure di rilievo della società bretone dell’epoca. Tra le 25 scene rappresentate senza ordine cronologico, c’è Entrata a Gerusalemme, Ultima Cena, Resurrezione di Cristo, Pietà, Arresto di Gesù, Agonia di Gesù, Flagellazione, Sepoltura (qui Maria contempla il volto di Gesù senza vita), Fuga in Egitto, Natività, Re Magi, Lavanda dei piedi, Annunciazione, Gesù porta la croce, Battesimo di Gesù … e altre scene ancora.

La cima del calvario originariamente sormontato da tre croci, oggi ne possiede solo una, quella del Cristo, "sorretta" da Maria, San Giacomo, San Pietro e San Ivo mentre alle estremità dei contrafforti si trovano i quattro Evangelisti raffigurati tramite i loro simboli (l'aquila, il leone, il bue e l'angelo). Il Calvario è anche provvisto di un altare al quale i sacerdoti potevano accedere attraverso una scala, per la celebrazione della messa in occasioni speciali.


(Lampaul-Guimiliau, chiesa la 'poutre de gloire')


Le figure assumono pose ed espressioni calate nella realtà rappresentata e sono scolpite in modo tale da dare l'impressione di vita e movimento.

Sono molto colpita da questa folla di figure che pare viva di un dinamismo proprio nelle scene che si presentano davanti ai miei occhi. Pare si muovano, prese dalle proprie occupazioni, con espressioni a volte intense, drammatiche o grottesche.

Il complesso parrocchiale di Guimiliau è una delle preziose testimonianze storico-artistiche di devozione religiosa e non solo, e, allo stesso tempo, sono simboli fortemente identitari dei luoghi e della loro storia.

Sono passate forse quattro ore di studio e apprendimento, girando attorno alle “facce” del calvario per scoprire i dettagli e interpretare scene e volti e assorbire l’atmosfera unica dei luoghi.

Mi dirigo infine verso Plougastel-Daoulas, forte di queste conoscenze appena acquisite...

(1 - CONTINUA)

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