Zoran Music, grande artista del ‘900, pittore e incisore, nato in Slovenia ma con una identità personale e artistica strutturata in Italia e nel mondo, sta segnando con la sua arte l’Anno europeo della Cultura, questo “Go!2025” che ha proposto il primo esperimento transfrontaliero del progetto culturale europeo che ormai ha quaranta anni. Unite nell’impegno della valorizzazione e del ricordo, di quello che è stato e nei progetti di quello che potrà portare il futuro, ecco due città, una italiana e l’altra slovena, Gorizia e Nuova Gorica. Vicine ma un tempo separate. L’antico e il nuovo. Il vecchio che segna spazio e memoria con le sue testimonianze, i suoi palazzi, i suoi parchi e giardini e il nuovo, obbligato ad esserlo da una separazione, conseguenza di una sconfitta che, anche se superata ancora fa male. Ma non ha impedito passi avanti concreti.

Il viaggio alla ricerca o alla scoperta di Zoran artista e uomo non può che partire dal paese natale Boccavizza, piccola realtà slovena a pochi chilometri da Gorizia. “Dvorana Zorana Musica” è la scritta che segnala sul muro di un palazzetto, vicino alla chiesa parrocchiale dedicata a San Lorenzo, l’attività culturale che qui si svolge costantemente in memoria dell’illustre concittadino che dalle poche case nel verde smagliante di queste terre è partito verso il mondo. Zagabria, Madrid, Parigi, Zurigo (attenzione a questa città) e più di ogni altra Venezia, la città d’elezione, del lavoro e della famiglia, con l’Italia tutta a fare da sfondo e a influire sullo stile e le opere di un uomo che ha avuto una vita densa di sentimenti e colori, di amore e amicizia, ma anche dolori. A lui toccò, nel 1944, la drammatica esperienza del campo di concentramento di Dachau dove fu deportato perché accusato di avere rapporti con la Resistenza e di essersi rifiutato di collaborare. Un vissuto da lui elaborato per lunghi anni dopo il ritorno a casa, più di un quarto di secolo, per poi esplodere nel ciclo “Non siamo gli ultimi”, in cui le figure scarne dei cadaveri dei deportati buttati gli uni sugli altri diventano graficamente paesaggio, le terre carsiche dell’infanzia narrazione di una soffocata disperazione antica che attraverso il tratto può alla fine essere superata. O forse no.

L’accenno fatto qualche riga sopra a Zurigo non è casuale. In questo viaggio per incontrare Zoran la tappa più importante è a Gorizia. A Palazzo Attems Petzenstein fino al 31 ottobre si potrà godere della mostra “La stanza di Zurigo, le opere e l’atelier”, curata da Daniela Ferretti, che ha al centro proprio “La stanza di Zurigo”, opera straordinaria finora esposta al pubblico solo altre due volte, al Fortuny di Venezia e al museo di Coira in Svizzera dove ha sede la Fondazione che sovraintende alla conservazione e alla cura dell’opera che si può considerare l’originale catalogo dei soggetti preferiti dell’artista: Venezia e i colori della laguna, le donne dalmate, i cavallini, le colline, la moglie Ida Cadorin, figlia del pittore Guido, ma anche le due committenti dell’opera. Usando sempre i colori amati: il rosa, un ocra polveroso, l’azzurro, l’oro, il nero per i tratti decisi.

L’idea di far decorare la stanza che, in realtà, era una cantina della villa alle porte di Zurigo di proprietà delle sorelle Dornacher, era venuta alle due amiche svizzere vistando lo studio veneziano di Music, appunto tutto decorato dai soggetti a lui cari. “Trasforma la nostra cantina in un luogo bello di ritrovo per gli amici” gli chiesero Nelly e Charlotte. E così fu. Un anno di lavoro tra il ‘49 e il ‘50, con l’aiuto fondamentale di Paolo Cadorin, l’amico e cognato, esperto nel restauro e nella conservazione, che dal primo approccio pensò alla possibilità di un recupero nel tempo dell’opera anche in un’altra sede, e la stanza fu terminata. Delle riunioni tra quelle mura decorate restano poche foto di giovani con il bicchiere in mano intenti a discutere, a conversare, si immagina con una bella musica come sottofondo. Passò poi di moda trascorrere tempo in quello spazio, le vite di ognuno cambiarono direzione, la stanza fu abbandonata e si parlò addirittura di abbatterla. Paolo Cadorin non accettò l’idea di veder distrutta l’opera e cominciò un lungo lavoro, di cui purtroppo non è riuscito a vedere la conclusione, per recuperare le mura dipinte da Zoran Music nella loro interezza e per farle vivere, come già aveva immaginato durante il lavoro, in autonomia su pannelli, una volta ricomposte, per riuscire a renderle visibili oggi come allora. E per sempre.

Un’opera straordinaria che ora si può ammirare a Palazzo Attems, dove sono in esposizione anche più di cento opere, divise in decenni dagli anni ’30 al 2000. Si può ammirare anche la ricostruzione dello studio in cui Music lavorava. Sui cavalletti le sue ultime opere ancora da terminare, i libri che stava leggendo (Pasolini, un saggio sul Minotauro) poco prima di morire alla fine di maggio di venti anni fa, il 25, giorno dell’inaugurazione della mostra. E poi una serie di oggetti familiari sorprendenti per la semplicità e la maestria: piattini di misure diverse, uno rettangolare che fa il paio con la partecipazione di nozze con Ida Cadorin. C’è la sala del ricordo dei morti di Dachau con alcuni disegni fatti in campo di concentramento usando piccoli fogli e un carboncino ottenuti, chissà, da un carceriere amante dell’arte.

Non finisce qui. Zoran Music e la sua arte si possono incontrare in altre due esposizioni in Slovenia. Una al castello di Stanjel, “Music, corpi dei paesaggi”, 30 opere dal 1947 al 1974 che includono i soggetti più amati dall’artista. E l’altra al castello di Dobrovo “Music. Paesaggi dei corpi”. Una introduzione digitale a tutte le mostre in corso è possibile sperimentarla all’Xcenter di Nova Gorica.