REFERENDUM
COSTI NECESSARI
MA IMPARIAMO
A SPENDERE

Una ricchezza intangibile e meno conosciuta - che invece è alla base dei meccanismi che oggi regolano il mondo - sono i dati. Scherzosamente, potremmo dire che rappresentano oggi il mondus operandi. Hanno assunto un’importanza cruciale congiuntamente all’invenzione e sviluppo di strumenti in grado di gestirli, sia sul piano della semplice archiviazione sia, e soprattutto, sul piano della raccolta e conseguente possibilità di analisi e interrogazione.

I dati da soli servono a poco. Ciò che li rende utili sono le inferenze possibili una volta che vengono analizzati. Ognuno di noi vive questo processo ogni giorno quando acconsentiamo all’uso dei dati medesimi, quando navighiamo sul web e quando riceviamo quelle (fastidiose) pubblicità sul cellulare. A nostra insaputa, si registra l’ora di accesso, il tempo della nostra attenzione, cosa abbiamo consultato subito dopo o quanto abbiamo speso nell’eventuale acquisto fatto. Insomma, il marketing è diventato molto sofisticato e non a caso si parla di “market intelligence”. Lo scopo? Andare in modo mirato su un obiettivo e massimizzare l’efficacia della promozione. In sintesi, promuovere un prodotto alla persona sbagliata è uno spreco di tempo e denaro con possibili effetti collaterali indesiderati.



In uno slancio di trasparenza, il colosso META di Mark Zuckerberg, patron di Facebook e Instagram, rende disponibili al pubblico i dati sulle spese per pubblicità dei suoi clienti. Se cercate in Ad Library, sotto la voce “pubblicità su questioni sociali, politiche o elezioni” vi appariranno i nomi delle organizzazioni o società che hanno investito su questi temi e che nel periodo dal 12 marzo al 9 giugno di quest’anno hanno speso in totale poco meno di € 92 milioni per circa 1.300.000 pubblicità. Esattamente quelle che su Facebook vi appaiono tra una foto dei vostri amici e quella del vostro gatto (o cane). Solo i primi dieci in classifica hanno speso circa € 1.750.000. Visti i tempi violenti che viviamo, tra i primi 10 appaiono ONG molto note come UNICEF (che ha speso € 367.000), Medici Senza Frontiere, Amnesty International e così via ma a sorpresa, con una spesa cumulativa di circa € 327.000, si trova la CGIL. Nella classifica figurano anche partiti politici con importi singoli compresi tra €5.000 e € 10.000.

Lo scopo, come potete immaginare, per le organizzazioni umanitarie è raccogliere fondi a supporto dei disastri in Medio Oriente e in Ucraina, per la CGIL e per i partiti nostrani promuovere l’ultimo referendum. La sorpresa maggiore non è tanto che la CGIL abbia utilizzato un mezzo ritenuto da molti il pericoloso artefice di interferenze in elezioni politiche e su cui non solo sono state spese parole dure ma si sono anche scagliati gli uffici fiscali dell’Europa intera pur di garantirsi un gettito cospicuo, ma l’aver speso l’intero budget (circa €280.000 nel solo mese precedente la data del referendum) in modo del tutto casuale, approssimativo e non mirato, confutando ogni principio di market intelligence. Ad Library infatti specifica che i mandatari della pubblicità non hanno indicato alcun criterio di selezione del target, applicando invece totale indifferenza a riguardo dell’età, del sesso o anche degli interessi degli interlocutori. Non sono stati indicati nemmeno criteri di selezione per i titolari di più account, il che sicuramente rende l’annuncio pubblicitario ridondante, facendolo arrivare allo stesso interlocutore più volte sulle diverse piattaforme su cui è iscritto.


(Maurizio Landini)


A questo va aggiunto che la qualità dei testi delle pubblicità era molto “vecchio stile” e poco attraente; ciò che, nella pubblicità, decreta il successo o il fallimento di una campagna pubblicitaria. Se, da un lato, non si può ovviamente affermare che l’esito del referendum sia dipeso dalla qualità della promozione, dall’altro è certo che la comunicazione di stampo politico può e deve essere più mirata e qualitativamente più snella, nonché modulabile per i diversi segmenti di elettorato. Sarebbe il caso di transitare dalla convinzione che vede prevalere il contenuto sulla forma a una dove invece il 'come' conta quanto il 'cosa' si dice. Il tutto calibrato al diverso destinatario.

Tornando al referendum e alle iniziative promozionali, le somme citate riguardano solo quanto è transitato sulle piattaforme di META (FB e Instagram). Bisogna aggiungere tutte le altre modalità utilizzate, quali i canali televisivi, le radio, quotidiani e riviste, eventi di piazza, volantini e quant’altro. Una macchina ben collaudata da anni e diffusa dai piccoli centri alle grandi città. Non si è al corrente della spesa promozionale complessiva sostenuta, sebbene dai costi visti su FB è molto probabile che la spesa abbia superato 1 milione di Euro. Considerando che il costo dell’iscrizione alla CGIL è l’1% della retribuzione netta, se prendiamo ad esempio una retribuzione netta di € 1.500 l’iscrizione implica la trattenuta di € 15 al mese ovvero, semplificando il calcolo a dodici mensilità, € 180 l’anno. Ipotizzando di aver speso € 1.500.000 in promozione sarà necessario destinare il provento di oltre 8.000 tesseramenti per ricoprire quest’ultimo investimento promozionale. Nel caso specifico di questa tornata referendaria, l’argomento alimenterebbe non poche puntate di “talk show” con domande sia sulla “competenza” comunicativa delle organizzazioni sindacali e partiti politici sia sull’opportunità di sostenere una simile spesa. Se all’investimento promozionale vanno poi aggiunti tutti gli altri costi sostenuti da tutti gli enti coinvolti, si arriva a una spesa di non pochi milioni, che però devono essere considerati costi obbligatori, dettati dall’essere l'Italia un paese democratico (checché se ne dica!).

Visto che tali costi devono essere sostenuti, sarebbe il caso di spenderli meglio, e il miglioramento in efficienza potrebbe essere misurato in termini di affluenza. I partecipanti alle tornate elettorali sono in continua discesa: qualche volta si preferisce andare al mare oppure è colpa della partita della Nazionale di calcio. Sono evidentemente inutili i richiami al dovere civico in un paese poco incline ad assolvere i propri doveri. Tra tutti quelli che ignoriamo, quello di recarsi a votare forse non è nemmeno tra i primi posti. Di certo però dedicare più attenzione a come si dice ciò che si vorrebbe dire potrebbe essere parte di una soluzione. Specie se quello che si dice, poi ha un costo.

Press ESC to close