FERDINANDO
E IL NOSTRO TEMPO
QUANDO IL TEATRO
INCORONÒ RUCCELLO

È uscito, per le romane Edizioni di Storia e Letteratura (collana “Biblioteca di Letteratura Teatrale Italiana”), il volume dedicato al capolavoro di Annibale Ruccello “Ferdinando”. Un’opera che al suo apparire sulle scene, il 28 febbraio 1986, nell’allestimento originario che poi farà storia (Isa Danieli-Clotilde, Fulvia Carotenuto-Gesualda, Annibale Ruccello-Don Catellino, Pierluigi Cuomo-Ferdinando, regia dello stesso Ruccello, scene di Francesco Autiero, costumi di Annalisa Giacci, musiche di Carlo de Nonno, Teatro Comunale “Giuseppe Verdi” di San Severo, Produzione “Contemporanea “83, diretta da Mauro Carbonoli), appassionò il mondo teatrale e consacrò definitivamente un autore che, con altre pietre miliari come “Notturno di donna con ospiti” e “Le Cinque rose di Jennifer”, aveva già tracciato una delle strade maestre del teatro contemporaneo italiano e non solo. Una stella destinata a spegnersi tragicamente pochi mesi dopo per un incidente stradale, ma che continua a brillare sui palcoscenici di tutto il mondo.


(Annibale Ruccello - immagine di Adriana Tessier)


Il volume, curato da Monica Citarella, si addentra nella storia testuale e contenutistica di un’opera che sotto una apparentemente rigida collocazione storica in realtà continua a parlare anche ai nostri tempi, nella sua denuncia amara della perdita della propria memoria, dell’involgarimento dei rapporti umani, della grande disillusione che impedisce un reale dialogo tra le generazioni. Come ricorda il risvolto di copertina, che riprende l'introduzione della curatrice, “Ferdinando” incarna “la metafora delle lacerazioni identitarie e della crisi della società contemporanea”, è la “mutazione antropologica” prefigurata da Pasolini ma qui portata ad un lancinante limite estremo.

La storia è nota: la baronessa Clotilde Lucanigro, fedelissima borbonica, all’avvento del nuovo mondo savoiardo e poco dopo l’Unità d’Italia si trincera in una sdegnosa autosegregazione, fisica sociale e linguistica (lo scontro titanico tra il nobile napoletano e il volgare ‘ttaliano dei nuovi tempi è una delle direttrici imprescindibili dell’opera), insieme a una cugina povera, Gesualda, di dubbie origini, che le fa da schiava e da complice. Unico diversivo, le quotidiane visite dell’ambiguo Don Catellino. In questa polverosa dissoluzione irrompe, fatale e imprevisto, il giovane e bellissimo Ferdinando, nipote sbucato da chissà dove.


(Foto in copertina di Cesare Accetta)


L’edizione critica dei principali esiti del Teatro ruccelliano, diretta da Simone Magherini, Andrea Mazzucchi, Matteo Palumbo, Pasquale Sabbatino, Piermario Vescovo e fortemente voluta dal Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Napoli “Federico II”, si arricchisce dunque di un volume che restituisce il capolavoro alla sua purezza originaria, frutto di un certosino controllo filologico delle fonti (l’acutissima “Nota al Testo” sempre curata da Monica Citarella), e ne sottolinea la sconvolgente e sempre attuale novità (testimoniata dalle numerose e importanti messe in scena che hanno fatto seguito a quella del 1986). In Appendice, una nota firmata da chi scrive illustra il piano musicale dell’opera, aspetto a cui Annibale Ruccello attibuiva grande importanza.

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