L’edificio che svetta su Ivrea, il più alto con le sue quattro torri, è ancora oggi il castello antico. Le ex fabbriche della Olivetti, le palazzine e le case a schiera dove abitavano lavoratori e dirigenti, le scuole per i loro figli, costruzioni novecentesche della galassia o Città del Bene (come fu anche chiamata) voluta da Adriano Olivetti, si sviluppano in orizzontale e si mimetizzano nel verde delle colline moreniche. A Ivrea non si vedono palazzoni di otto/nove piani come in quasi tutte le città industriali d’Europa. Soltanto gli stabilimenti principali, con i loro ampliamenti che danno sulla via Jervis e ne accompagnano il tracciato non rettilineo lasciano capire che siamo in una città che un tempo fu sede di una grande fabbrica, la prima e principale azienda italiana di macchine da calcolo e da scrittura.

Quel tempo è passato, hanno pesato le sfide dell’elettronica e della globalizzazione. Olivetti ha cambiato pelle e marchio, è stata spezzettata in tante diverse fabbriche e attualmente fa parte di un’azienda di telecomunicazioni che porta un altro nome.

Gli stabilimenti della ex Olivetti si sviluppano in lunghezza non in altezza, hanno finestre a nastro in vetro e metallo, non opprimono, lasciano entrare la luce. Eppure si avvicinano a compiere i 100 anni di età perché furono progettati e realizzati da Luigi Figini e Gino Pollini negli anni ’30 del secolo scorso, in stile razionalista. Costituiscono gli ampliamenti, edificati a due anni di distanza gli uni dagli altri, della prima Ico, Ingegner Camillo Olivetti, quella fabbrica di mattoni rossi che chi arriva a Ivrea da Sud intravede ai piedi del borgo antico. La fabbrica di mattoni rossi venne costruita nel 1908 da Camillo Olivetti, papà di Adriano, uomo notevole perché ebbe il coraggio e l’intelligenza di avviare la prima fabbrica di macchine da scrivere in Italia, dopo aver visto la Remington negli Stati Uniti.

Ma se Camillo fu il pioniere, fu il figlio Adriano che ne assorbì e ne ampliò le qualità, diventando, oltre che un industriale lungimirante e di successo, un intellettuale con una nuova visione del mondo, l’artefice di un sogno che si discostava dal liberalismo capitalista e dal collettivismo socialista e comunista per immaginare una società nuova, in cui agli operai non erano mai preclusi il bello, l’istruzione, l’arte, la cultura e agli industriali erano consentiti profitti ragionevoli. Entrambi erano chiamati a dedicare le loro energie alla ricerca e all’innovazione tecnologica. Ogni pezzo necessario alla produzione era pensato e costruito artigianalmente dalla Olivetti.

Tra i meriti di Adriano ci fu certamente quello di aver saputo scegliere collaboratori eccellenti, magari nati poveri ma molto dotati, ingegneri naturali ancora prima di laurearsi, come Natale Capellaro, papà della fortunata calcolatrice Divisumma. Capellaro fu assunto dalla Olivetti come apprendista operaio e solo in un secondo tempo diventò un progettista geniale. Oppure come Nico Osella, oggi ottantasettenne, che entrato a 16 anni in azienda come semplice impiegato, unico maschio tra molte donne, ammesso in ufficio perché considerato non pericoloso data la giovane età (gli uomini erano in guerra), grazie a borse di studio Olivetti si è poi diplomato, laureato, ha studiato ad Harvard e dopo 50 anni ha concluso la carriera come responsabile della Olivetti America.

Non ha avuto una vita altrettanto lunga e fortunata l’ingegnere Guglielmo Jervis, al quale è intitolata la strada su cui si affacciano gli stabilimenti. Guglielmo era padre di Giovanni, che da adulto è diventato un famoso psichiatra. il nome di Guglielmo Jervis è inciso all’ingresso del primo ampliamento, davanti alla sala del consiglio di fabbrica, su una targa che ricorda i 24 caduti della Olivetti, partigiani antifascisti tra il ’43 e il ’45. La visita all’ex fabbrica comincia da lì e, attraverso percorsi interni senza cancelli, porta al secondo piano nel salone, dove si trovava il cuore produttivo della Olivetti, dove si assemblavano le macchine da scrivere e le calcolatrici. Oggi il cuore dello stabilimento è un grande spazio usato come auditorium, vivacizzato da un affresco di Renato Guttuso. L’esterno posteriore della fabbrica mostra architetture in puro stile Bauhaus e verdi vialetti che conducono da una parte alla mensa progettata dall’architetto Ignazio Gardella, dall’altra al convento medievale di San Bernardino che fu l’abitazione privata degli Olivetti. Non lontano, sempre in area aziendale, ci sono i campi da tennis e da bocce dove gli operai potevano giocare all’aperto durante la pausa pranzo che durava due ore e mezzo.

Attraversata via Jervis, si entra nell’edificio della biblioteca. Colonne pentagonali e scale dipinte in rosso scuro pompeiano conducono al primo piano e alle sale dove operai, impiegati e dirigenti, finito l’orario di lavoro, potevano leggere quotidiani, riviste, libri di ogni tipo, non solo quelli pubblicati dalle Edizioni di Comunità (casa editrice fondata da Adriano Olivetti) e dove, se lo desideravano, potevano fermarsi per ascoltare una conferenza. I relatori erano Eugenio Montale, Pierpaolo Pasolini, Eduardo De Filippo... Oggi la biblioteca, non più in funzione, espone anche libri e brossure dei capolavori d’arte restaurati grazie ai contributi della Ico.

Sullo stesso lato, in una stradina perpendicolare alla biblioteca, si trova tecnologic@mente, spazio ricavato nell’ex falegnameria della fabbrica, che propone ai visitatori i modellini dello stabilimento di mattoni rossi, ma soprattutto i prodotti della Olivetti. Macchine da scrivere diventate oggetti di culto come la Lettera 22, il cui nome fu inventato dal poeta Franco Fortini, o la Valentine, famosa e colorata portatile disegnata da Ettore Sottsass. E poi le calcolatrici della serie Divisumma, che fecero la fortuna commerciale della Olivetti, e tanti altri modelli noti e meno noti, i primi ingombranti calcolatori a scheda perforata e il primo pc della storia, il P101, progettato tra gli altri dall’ingegnere e informatico italocinese Mario Tchou, che morì in un incidente stradale un anno dopo Adriano Olivetti. P101 fu usato dalla Nasa per calcolare la traiettoria dell’allunaggio.

La visita alla parte industriale comprende la palazzina nuova degli uffici. Costruita dopo la morte di Adriano, deceduto prematuramente nel 1960, ma sempre sulla base di una sua idea, è un grande edificio che poteva accogliere fino a 2000 impiegati. Ha una scala interna bellissima, che si allarga verso l’alto ma sulla quale è vietato salire per motivi di sicurezza.

La vita si respira nelle case a schiera degli operai del vicino quartiere. Ogni unità abitativa comprende due appartamenti, uno al piano terra che dispone di un pezzo di terreno da coltivare a orto o a giardino, uno al piano superiore che ha un terrazzo piuttosto ampio. Molte case (alcune furono progettate per famiglie numerose) appartengono ai discendenti dei dipendenti Olivetti che le hanno comprate “a riscatto” e vi abitano ancora. Non lontano, costruite nello stesso stile, solo con giardini più ampi e finiture di maggior pregio, sorgono quattro villette per dirigenti, poco distante c’è la chiesa, anch’essa realizzata dopo la morte di Adriano ma secondo le sue indicazioni. È costruita in cemento armato e in stile brutalista, tuttavia risulta leggera perché la forma del tetto imita quella di una tenda. Alte finestre a nastro e di forma pentagonale lasciano entrare molta luce naturale.

E che dire dell’asilo nido che si affaccia su un’ampia zona di verde, con tanto di ponticello a unire due piccoli argini verdi. Intorno, disposte a corona, alcune casette a schiera facevano sentire le mamme sempre vicine ai bambini. L’asilo è un edificio basso, col tetto terrazzato, vi si praticava il metodo Montessori. L’hanno frequentato centinaia, forse migliaia, di bambini. Oggi ospita l'Archivio Nazionale del Cinema di Impresa.

Assai particolare l’edificio chiamato Talponia , una foresteria semicircolare, seminterrata, lunga e bassa, tutta vetri, dall’aspetto esterno un po’ cimiteriale. Vi alloggiavano i collaboratori temporanei della Olivetti. È composta da 68 piccoli appartamenti ai quali si accede direttamente dai garage. Gli alloggi di Talponia sono arredati in maniera raffinata, con mobili di design dell’epoca. Attualmente è utilizzata come air b&b. Un’altra ex foresteria si trova nel centro di Ivrea.

La visita alla Olivetti è affidata con un bando comunale alla società privata Spazi-o che gestisce anche il bookshop e la biglietteria del Visitor Centre all’ingresso dello stabilimento in via Jervis. Nel 2028 il Fai, al quale gli eredi della famiglia lo hanno donato, aprirà alle visite il convento di San Bernardino, il complesso del XV secolo che si trova nell’area servizi della fabbrica, dove a lungo abitarono Camillo Olivetti, Adriano e i loro familiari. Nella chiesa del convento vi sono affreschi dello Spanzotti.
“Sempre il Fai – spiega la guida Gianmaria Baro di Spazi-o – nel 2028 dovrebbe ampliare portandolo a 500 metri quadrati l’attuale Visitor Centre e gestire il bookshop”.

Ivrea, "Città Industriale del XX Secolo”, e alcune architetture dell'area hanno ottenuto il riconoscimento a patrimonio mondiale dell'Unesco.