SCONTRO FRA INDIA
E PAKISTAN
LO SPETTRO DELLA
POTENZA CINESE

(Un'immagine dello scontro fra India e Pakistan)

Attenzione. Come quello che si era fissato sulla pagliuzza nell’occhio del fratello mentre non si era accorto della trave che aveva nel suo, così noi, concentrati come siamo sulle vicende belliche a noi vicine, abbiamo quasi sorvolato sulla scaramuccia che pochi giorni fa è avvenuta tra India e Pakistan, mentre bene faremmo a soffermarci su questo scontro, che nasconde una minaccia ben più seria di qualche dazio o pacchetto di sanzioni da applicare. Molte delle organizzazioni internazionali, per quanto tentino di rimanere “neutrali” e di agire nell’interesse di “tutti” i partecipanti, nascondono al loro interno schieramenti. È vero per l’ONU ma anche per le strutture finanziarie, umanitarie, culturali etc. Una conseguenza è la nascita di sotto-organizzazioni, ovvero di raggruppamenti che avvengono in parallelo a quelli già esistenti. Ne sono un esempio la NATO, il BRICS e altre strutture dove il “pan” prevale sul “mondiale”. Peccato che i due non si possono sempre sovrapporre così, come non si possono infilare due piedi in una staffa.


(Un caccia mutiruolo J-10)


Nei cieli dei rispettivi confini è avvenuto un breve scontro tra India e Pakistan che, sebbene abbia radici nella contesa sul Kashmir, non si riduce ad una questione di lana caprina ma contiene aspetti geopolitici ed economici che interessano il mondo intero. Mettendo brevemente da parte la componente terroristica, scintilla di questo scontro, la battaglia tra l’aviazione indiana e pakistana, sfociata nell’abbattimento di alcuni velivoli indiani e nessuno pakistano, ha finalmente rivelato agli addetti ai lavori di quali performance sia capace l’aereo da combattimento cinese J-10. Superiore, a quanto pare, alla performance fornita dalla flotta indiana composta da aerei Rafale (della francese Dassault), SU-30 (forniti da anni dalla Russia), dai Mig 29 (sempre russi) e dai droni israeliani Heron. L’agenzia Reuters, il 9 maggio scorso, ha riportato che pur avendo nella propria flotta aerei F-16 dell’americana Lockheed (qualche lettore con i capelli bianchi si ricorderà di uno scandalo nostrano), gli unici velivoli decollati ed usati dal Pakistan sono stati i J-10 cinesi, muniti di missili aria/aria cinesi (PL-15E) che avevano l’ordine di abbattere solo aerei nemici che ingaggiassero un combattimento con quelli pakistani (confermato al Parlamento dal Ministro degli Affari Esteri del Pakistan Sig. Dar).

Per questo il Pakistan dice di aver abbattuto “solo” 5 aerei indiani mentre avevano la possibilità di abbatterne 12 (tutto ciò in uno scontro durato un giorno solo!) Siccome la guerra è soprattutto tattica (Luttwak docet!) questo approccio pakistano potrebbe essere l’inizio di un cambiamento radicale nella tattica e, soprattutto, potrebbe ancor più allargare il solco che divide gli schieramenti dei paesi. La forza aerea dell’India misurata in unità non è affatto inferiore a quella pakistana, anzi. L’India possiede ben 14 modelli di aerei da combattimento forniti da 5 paesi tra cui Russia, Francia e Brasile. Il Pakistan ne utilizza 6, ma tutti cinesi. Non è questione di nazionalità bensì di avionica. Se considerate la sofisticazione dei programmi di software necessari nell’individuazione degli obiettivi, il tracciamento di essi, il puntamento e quant’altro e poi pensate alla lentezza che probabilmente voi stessi incontrate quando aprite diversi programmi sul vostro PC, capite quant’è importante l’integrazione dei programmi e la capacità che essi hanno di interagire in modo fluido tra loro. Ora moltiplicate per 14 tipi di aerei diversi, di 5 paesi diversi e si delinea uno scenario dove, è il caso di dirlo, ogni secondo perso può essere fatale. Specie se un aereo è francese ed un altro russo. Non si parlano le diplomazie, figuriamoci i sistemi aerei!


(Un Rafale in volo - foto dal sito Dassault)


La superiorità mostrata dall’aviazione pakistana è stata proprio questa. Una superiorità tattica che molto probabilmente altri paesi vorranno imitare. E ciò senza menzionare la performance dell’aereo stesso, a quanto pare per niente inferiore ai modelli occidentali conosciuti. Non a caso le quotazioni azionarie delle imprese cinesi coinvolte hanno iniziato un trend in salita. La cinese AVIC, produttruce del J-10 nonché di altri velivoli da combattimento, ha visto la propria quotazione sulla piazza di Hong Kong salire del 40% nelle ultime due settimane. Conferma che è convinzione diffusa che la domanda di mezzi e sistemi cinesi non potrà che aumentare. E ciò ancora di più in un momento in cui l’Occidente sembra voler arroccarsi ed unirsi in un atteggiamento di “noi contro voi”. Purtroppo, l’efficacia degli strumenti di guerra può essere verificata solo nella vita reale e la scaramuccia indo-pakistana ha consentito agli analisti un banco di prova che per anni mancava. Non che il mondo non fosse a conoscenza dell’esistenza del J-10; ma non aveva finora avuto modo di vedere il mezzo in azione contro un F-16 o altri aerei già noti.

Lo stesso vale per le armi montate, nel caso specifico i missili della famiglia PL utilizzati. Sarebbe forse un errore tattico affidarsi ad un unico fornitore, ma ciò vale per una nazione che può permettersi un armamento vario e distribuito tra più fonti. È un dato di fatto però che il J-10 si è dimostrato all’altezza dei noti velivoli dei fornitori soliti ma porta con sé un vantaggio che potrebbe scuotere lo status quo: il costo. Con quanto costa un Rafale francese (circa €100 milioni) si possono avere oltre due J-10 (costo circa €40 milioni cadauno). A questo va aggiunto che gli aerei cinesi montano missili capaci di colpire ad oltre 140 km di distanza con largo anticipo rispetto al tempo necessario per essere individuati dalla difesa nemica e questo sembra essere l’elemento più importante per il successo nella tattica di guerra di oggi. Ora che il mondo ha potuto valutare le reali prestazioni dei mezzi cinesi, indubbiamente le richieste e prenotazioni aumenteranno, come già fatto dal Pakistan e come pare abbiano già fatto paesi come l’Egitto e alcuni paesi arabi.


(Un F-16 - foto Us Air Force)


Inutile illudersi: acquisti e prenotazioni vogliono dire schieramenti. E non dimentichiamoci quanti paesi appartengono e vogliono partecipare al sistema BRICS. Né dobbiamo dimenticare di quali paesi stiamo parlando. Ma la questione urgente ed importante che ognuno DEVE porsi non è tecnica o tattica; non una questione di superiorità di questo o quell’aereo e nemmeno commerciale. Quando si parla di prestazioni di armi non si parla di tenuta di strada in pista come per le auto. E quando di parla di costi non è possibile limitarsi al denaro. Armi vogliono dire vite umane, distruzione. Quanto è accaduto nei cieli del Kashmir ha portato sulla scena delle guerre nel mondo un, per lungo silente, nuovo player: la Cina. E se le prestazioni dei mezzi commercializzati si sono rivelate molto competitive (se non superiori) a quelli noti, non ci è dato di sapere di quali mezzi disponga la Cina per usi propri e non vendibili per motivi di sicurezza nazionale (e lo stesso vale per gli avversari). Insomma, il quadro che si va delineando non è affatto confortante e lo è ancora meno se si considera lo scellerato piano di ReArm Europe che l’attuale Commissione Europea vuole realizzare per difendersi da un nemico che, come si è visto, non è nemmeno quello più pericoloso. D’altro canto, sempre da quanto si evince dalle parole profuse, si vorrebbe persino “aprire” alla Cina per rendersi più autonomi e rafforzarsi sul piano economico, e, conseguentemente, geopolitico. Se questo è il futuro verso cui ci si sta incamminando dobbiamo aspettarci un acuirsi delle divisioni e delle tensioni, specie se si pensa al livello di sviluppo tecnologico a cui la Cina è arrivata e al dominio che esercita in molti campi quali la tecnologia, il commercio e la ricerca. Sembra quasi che per togliersi la paglietta nell’occhio, si sia disposti ad infilarsi una bella trave.

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