"Hello my name is Mohamed. What can I get you to drink? Ah siete italiani? Ciao, come stai?" Quando passa da un inglese sciolto ma formale ad un italiano stentato ma più caloroso, trova necessario dirci qualcosa di sé: "Io qui da vent'anni, hotel 10 anni, io viene da Cairo. Tu vuoi caffè?". Mohamed ha un bel viso, con una pelle da bimbo, gli occhi e il sorriso gentili. È vestito in tinta con le dune che ci circondano, è impeccabile, immacolato e inamidato, è uno degli innumerevoli addetti altrettanto etichettati e indaffarati a presidiare il buffet di questo resort all inclusive qui a Mars Salam, che poi sarebbe, per meglio dire, Port Ghalib. Mohamed, uno dei tanti Mohamed, Said, Faiz, Abdul, Ahmel etc. etc. che lavorano qui a tempo pieno, che quotidianamente si vedono passare sotto il naso questo ben di dio di buffet, che si ripete a colazione, pranzo e cena.
Nel caso, e non sia mai, che al gentile ospite dovesse sopraggiungere un languorino improvviso diciamo tra le 10 e mezzogiorno, o dopo le 14 e prima delle 18,30, allora i vari Mohamed, Said, Faiz, Abdul, Ahmel etc. etc, nel frattempo dislocati in spiaggia, sotto il sole cocente, potranno soddisfare gli svogliati bisogni degli oziosi ospiti, con l'offerta di drinks e snack a go-go. Sunbed service. Un braccialetto di caucciù blu con scritto Costa Mares dà diritto ad altro cibo: a pizze, pasta, insalate, sandwich, alla qualsiasi, alcolici inclusi, il che mi fa ben pensare su come passare il tempo, in caso di noia tracimante: ubriaca.

Se c'è un posto sprecato per il mio beneamato è un resort all inclusive. Essendo parco di natura, riservato di nascita e timido per professione, davanti a un buffet, specie di questa esagerata grandezza, le sinapsi gli vanno in tilt, ed ecco che entra in modalità zia zitella anoressica. Sopraffatto e disinteressato, lui pilucca. Vorrei poter dire altrettanto. Ma incominciamo, come si dice, dall'inizio, dalla nostra prima mattina. Un'avvisaglia di cosa ci aspettasse l'avevamo avuta ieri sera, appena arrivati; erano le sette ed erano già passate le cavallette. Presa dal solito bulimico entusiasmo, mi ero buttata a pesce sulla grigliata di pesce, concentrandomi sui gamberoni che, insomma, male non erano, ma non odoravano certo di fresco. L'orgasmo era arrivato con le patatine fritte, una fragrante e croccante sorpresa. Persino il beneamato aveva fatto il bis e scosso sconsolato la testa davanti al mio ketchup. La grigliata sarebbe stata da considerarsi un appetizer, tipo il primo pit stop. Noi ci eravamo fermati all'anticamera, per così dire. Satolli, in quella accanto grande il triplo, avevamo scoperto la caverna di Ali Babà. Mi ero limitata a pensare: ci vediamo domattina.

È così, a colazione, sono andata dritta alla meta. Cosa avrebbe detto Proust davanti a cotanta faraonica abbondanza? A lui era bastata una Madeleine per farci un romanzo passato ai posteri, io, più povera di spirito e di parole, preferisco lasciare alle immagini il compito di dare una seppur vaga idea. Sappiate solo che mi si è stancato il polso. Mi si perdoni anche la mia limitata capacità da cineasta, dovrò affinare la tecnica. Nel caso vi chiediate cosa abbia mangiato il beneamato, è presto detto: una ciotolina di yogurt. Non fosse stato per me, non ci avrebbe nemmeno aggiunto le noci. Il miele, forse, magari ce lo metterà domani. Riusciremo a sopravvivere ai sensi di colpa per essere co-partecipi e perciò co-responsabili di questo spreco? Posso solo sperare che ai vari Mohamed, Said, Faiz, Abdul, Ahmel etc. etc. e alle loro famiglie venga concesso di aver accesso se non altro al surplus. In attesa di ritrovarli stasera e domattina, e poi tutte le altre sere e mattine fino alla fine del nostro soggiorno, a loro, un pensiero amorevole. Che almeno Allah li benedica.

PS: e che benedica anche Mustafa, un ragazzetto sconsolato e paziente, che per mestiere deve raccogliere le migliaia di fili di paglia che il vento, implacabile, strappa dagli ombrelloni. Tolto uno ne cascano venti. O cento. O mille. L'ho ribattezzato Mustafa Mission Impossible.