PREVOST
UN PONTEFICE
SULLE ORME
DI FRANCESCO

“Preghiamo perché cessino le sofferenze per le popolazioni della martoriata Ucraina e di Gaza; cessino immediatamente le armi, siano liberati i civili, si metta fine ai tanti conflitti ancora in corso e alla terza guerra mondiale a pezzi…”. Verrebbe da dire che papa Francesco è tornato, anche se a pronunciare con determinazione questi appelli contro le guerre in Ucraina, in Terra Santa, a Gaza e in tanti altri luoghi del mondo è il suo successore, papa Leone XIV, alla prima domenicale recita del Regina Coeli, oggi 11 maggio, dalla Loggia delle benedizioni della basilica di S.Pietro. E l’eco che ha suscitato è stato enorme, grazie anche alla sapienza con cui il nuovo Papa ha rilanciato la prima espressione che caratterizzò l’intervento di Giovanni Paolo II il giorno della inaugurazione del suo Pontificato: “Non abbiate paura, aprite le porte a Cristo”. Frase popolarissima, diventata storica, che Leone XIV ha riproposto rivolgendosi in particolare ai giovani e a quanti lo stavano seguendo, a migliaia in piazza San Pietro, e a milioni collegati in mondovisione tv.


(Il nuovo Papa parla ai cardinali)


Crescono dunque attenzione ed entusiasmo intorno al nuovo Pontefice, anche se è sicuramente prematuro tracciare un seppur breve bilancio del nuovo Pontificato cominciato appena tre giorni fa, giovedì 9 maggio scorso, con l’elezione del cardinale Robert Francesco Prevost. Ma è altrettanto sicuro che i primi importanti passi compiuti dal 267esimo successore di San Pietro - anche lui venuto “dalla fine del mondo”, dall’America, pur se del Nord, come disse il suo predecessore papa Francesco, l’argentino Jorge Mario Bergoglio la sera dell’elezione di 12 anni fa – si stanno muovendo all’insegna della continuità. I pensieri, le parole ed i gesti (anche improvvisi, come ci aveva abituato Francesco) espressi e compiuti finora dal nuovo Papa lo stanno a dimostrare, e danno l’impressione che Prevost abbia, di fatto, ripreso il cammino alla guida della Chiesa universale là dove Bergoglio lo aveva lasciato. Pur con uno stile ed un approccio del tutto differenti, evitando, fortunatamente, di apparire come una fotocopia del predecessore. A cominciare dall’esordio pubblico dalla Loggia delle Benedizioni della Basilica di San Pietro della sera di giovedì scorso fino alla prima recita del Regina Coeli di oggi, dalla stessa Loggia (una novità per un papa neo eletto degli ultimi decenni). Appuntamenti liturgico-celebrativi intervallati da interventi improvvisati che hanno colpito per spontaneità e leggerezza. Come la inaspettata visita-lampo al Santuario della Madonna del Buon Consiglio a Genazzano, sabato pomeriggio, accolto da un bagno di folla entusiasta, e il primo incontro avuto con i cardinali nel Palazzo Apostolico, ai quali Leone XIV ha spiegato, tra l’altro, di aver scelto il nome di Leone XIII perché “è stato un Papa che ha affrontato i problemi sociali e del lavoro del suo tempo, ed io intendo fare altrettanto con i problemi del nostro tempo, primo fra tutto la sfida dell’intelligenza artificiale”.



Suggestivo è anche l’omaggio alla tomba di papa Francesco nella Basilica di Santa Maria Maggiore, dove Prevost si è intrattenuto in ginocchio raccogliendosi in preghiera per diversi minuti. Una visita ed una preghiera personale che – stando a quanto è filtrato tra le maglie vaticane – Leone XIV potrebbe riproporre in futuro chissà quante volte, ripetendo lo stesso gesto fatto nella stessa basilica di Santa Maria Maggiore da papa Bergoglio ad ogni inizio e fine dei viaggi compiuti durante il suo Pontificato. Gesti di continuità. Ma non solo. A colpire e a fare breccia nei cuori di credenti, non credenti, diversamente credenti, sono state soprattutto le parole pronunciate da Leone XIV alla prima benedizione Urbi et Orbi, tutte centrate sul significato della pace – vocabolo detto per ben 5 volte – sulla necessità di costruire ponti, non muri, del dialogo, dell’incontro tra i popoli, e della accoglienza di chi vive nel bisogno, fugge da guerre, fame ed oppressione. A partire dalle popolazioni migranti.


(La critica via X al vicepresidente Vance)


La sottolineatura non è stata accolta con entusiasmo da certe correnti politiche dell’ultradestra Usa vicine al presidente Trump. Non a caso una figura come Steve Bannon, ascoltato collaboratore dello stesso Trump durante la prima elezione, ha definito papa Prevost “un pericoloso marxista, la scelta peggiore per noi”. Si vedrà. Èdi certo incontestabile che Leone XVI ha fatto subito capire che va per la sua strada senza farsi intimidire. Come già si era comportato da cardinale quando aveva criticato il vice presidente Usa Vance sulle politiche dei migranti e su alcune inesattezze dette dal primo collaboratore di Trump in merito a una presunta preferenza di Dio verso i fedeli a lui più devoti. "Dio ama tutti, tutti, tutti" - disse allora - "vicini e lontani, anche i peccatori, ai quali da Padre premuroso è sempre pronto a dare perdono ed accoglienza".


(Ai tempi di Chicago)


Tutto quanto si sta sta verificando intorno all'esordio di Leone XIX era prevedibile il giorno della scomparsa di papa Francesco? Onestamente, nessuno se lo aspettava. Tantomeno la sua elezione, salvo qualche rara eccezione. Le previsioni davano in pole position in Conclave quasi certo un nome italiano, e non perché dopo oltre 40 anni sarebbe arrivata l’ora di un Papa del nostro Paese. Quello è un falso problema, perché la Chiesa universale cattolica con oltre un miliardo e 400 milioni di fedeli sparsi nel mondo non è “solo” italiana, ma universale. Si pensava ad un italiano per il semplice motivo che far i nomi circolati tra i papabili quelli del nostro Paese forse potevano offrire più solide garanzie di esperienze pastorali, umane e diplomatiche. Ma Robert Francesco Prevost ha preso in contropiede la grandissima maggioranza dell’opinione pubblica.


(Gli anni in Peru)


Evidentemente lo conosceva molto bene papa Francesco che, dopo averlo incontrato per la prima volta nel viaggio in Perù del 2015, lo volle quasi subito tra i suoi stretti collaboratori, nominandolo prima vescovo e poi chiamandolo in Vaticano per affidargli la guida, in qualità di Prefetto, del dicastero dei vescovi, ministero-chiave del governo della Chiesa, e di presidente del Pontificio Consiglio per l’America-latina. Eppure, prima del voto il cardinale più forte in assoluto era Pietro Parolin. Forse per capire meglio cosa sia successo in Conclave è bene andare ad analizzare quando nei giorni precedenti, nelle congregazioni generali dei cardinali, era stato messo a fuoco una sorta di possibile identikit del nuovo Papa, individuato in un Pontefice dotato di esperienza pastorale, abituato a vivere tra la gente, specialmente tra poveri e bisognosi, e nello stesso tempo dotato di esperienza diplomatica e di conoscenza della macchina governativa della Santa Sede.



Il cardinale Parolin, fine diplomatico ed acuto osservatore secondo questo identikit, ha visto proprio nel Prefetto dei vescovi Prevost, ex missionario in Perù, la figura ideale, e di conseguenza ha fatto riversare i suoi voti, circa 50, su quello che poi sarebbe diventato il successore di papa Francesco. Altre letture sono false e fuorvianti. Ad oggi è quasi naturale vedere che tra Leone XIV e papa Francesco c’è continuità, sia sul piano “politico” (attenzione alla pace, condanna delle guerre, accoglienza di migranti, dialogo, etc. etc…) sia anche sul piano pastorale. Una prova l’abbiamo avuta al primo discorso, quando Leone XIV ha parlato di fede, della centralità della fede nella salvezza in Cristo, sfiorando persino un termine poco usuale, fede cristica, cioè in Cristo. E insieme, una fortissima devozione nella Madonna, per la quale, primo papa a farlo alla prima benedizione Urbi et Orbi, ha pregato in mondovisione tv con la preghiera dell’Ave Maria. Perfetto il feeling mariano condiviso con papa Francesco, che non a caso ha scelto di riposare per sempre nella basilica di Santa Maria Maggiore.


(La polemica sulle politiche antimigranti di Trump, già dieci anni fa)


Altre affinità tra Bergoglio e Prevost: sono entrambi religiosi, uno gesuita, Francesco, e l’altro agostiniano, Leone XIV. Hanno avuto entrambi esperienze pastorali tra poveri e periferie. Bergoglio a Buenos Aires, Prevost in Perù. Entrambi hanno conosciuto direttamente le sofferenze di poveri e perseguitati, mettendosi al loro servizio. Ma, ancora di più, provengono tutti e due da famiglie di emigranti partite dall’Italia, dalla Francia e da altri Paesi. Per cui, entrambi conoscono direttamente i dolori che gravano sulle popolazioni migranti in fuga da guerre, malattie, fame. Francesco lo ha denunciato per tutto il pontificato, condannando guerre, persecuzioni, sfruttamenti. Leone XIV lo ha iniziato a fare al suo primo apparire.

Ma non mancano differenze. In primo luogo i caratteri. Bergoglio più immediato, più comunicativo, meno curiale. Prevost, stando alle prime mie impressioni, più timido, apparentemente indeciso, incapace di mascherare emozione e commozione. Il che è un pregio. Ma nella sostanza tra i due sembra esserci feeling, grande affinità. La stoffa dell’agostiniano che ha temprato il cuore e l’animo di Leone XIV darà certamente i suoi frutti. A partire dal nome, legato indissolubilmente a quel Leone XIII padre della Rerum Novarum, il fondatore della Dottrina sociale della Chiesa che mise al centro del suo Pontificato tra l’Ottocento e il Novecento la questione del lavoro. Il Leone numero 14 sicuramente farà altrettanto. Datori di lavoro e sindacati sono avvisati. “Con Leone XIV ne vedremo delle belle”, assicura uno dei cardinali italiani che lo hanno conosciuto bene, Paolo Augusto Lojudice, arcivescovo di Siena. Come metterlo in dubbio?

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