Fortunata quella gente che ha vissuto gli anni Sessanta in provincia. Ai margini delle grandi città. Che si è formata quando i social non esistevano. Quando la televisione era appena nata. Quelli che hanno avuto una vita, in termini kantiani, con “il cielo stellato sopra di loro e la legge del bar in loro”.

LA LEGGE DEL BAR E ALTRE IRRESISTIBILI LEGGI DELL’ESSERE
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Fra questi, primus inter pares, Francesco Guccini. Il quale, al traguardo degli 85 anni, dal rifugio di Pavana mette in circolo “La legge del bar e altre irresistibili leggi dell’esistere”, versione riveduta, corretta e arricchita, delle prose pubblicate negli ormai lontani anni Novanta dalla rivista “Comix” con il titolo “La legge del bar e altre comiche”. Un libro fondamentale, per chi sia cresciuto con la poetica di Guccini a fargli compagnia. Nonostante l’ormai vegliardo oggi si schermisca: “È un libretto. Sono puttanate, con qualche puttanata carina”. Ma è solo un vezzo: garantito.
Da raccontatore impareggiabile Guccini riporta in vita un mondo ormai scomparso ma profondamente sedimentato nella memoria. Un universo regolato da norme inflessibili, scandito dall’ironia, fondato sulla programmatica assenza di correttezza formale. Il bar – soprattutto quello di provincia o di quartiere – è “anzitutto, una società turpemente maschilista, dove, contrariamente a certi Club inglesi, non è proibito l’ingresso alle donne, ma dove le donne, prudentemente, si guardano bene dall’entrare”. E lì, in quell’universo no limits, l’umanità esprime tutta la sua primitività, nel bene e nel male. Lì non si fanno prigionieri. Su tutto regna l’ironia, il dileggio, la presa in giro. E guai a prendersela a male. “Proibito offendersi” raccomandava Sergio Staino, fondatore di Tango, uno che di strada ne ha percorsa parecchia, in compagnia di Guccini.

L’ironia del Maestrone tratteggia personaggi leggendari. Tra i frequentatori del bar c’è, com’è ovvio, il play boy. Ne esistono di due tipi. Quello del bar dell’Appennino è uno che “colpisce in silenzio, non si vanta, “perché lì si conoscono tutti e le chiacchiere volano come le rondini in primavera. Il play boy colpisce e tace”. In città, invece, dove il pericolo di incontrare qualche fidanzato o fratello è attenuato, il grande amatore entra verso mezzanotte e fa in modo di essere sentito da tutti mentre chiede “un Vov, per l’amor di Dio! Per dimostrare a tutti che l’assunzione dell’energetica bevanda potrebbe in qualche modo reintegrare le energie fisiche (e morali) perse nell’ultimo certame amoroso”.

C’è poi la figura del Professore, uno che sa tutto di tutto lo scibile umano e non parla: pontifica. E poi l’esperto di tutti i giochi di carte, che commenta, insegna, importuna i giocatori con consigli non richiesti e soprattutto tardivi. E il raccontatore di palle, il mitomane. Accolti da battutacce, provocazioni, lazzi e frizzi ogni volta che ci provano, a spararle più grosse di loro. Irresistibile quanto le leggi dell’essere che allinea nei suoi racconti, Guccini è irresistibile nell’uso di un vocabolario colto, elegante, frutto di studio e ricerca con gusto. Qua e là semina aggettivi e avverbi che rimandano ad altri tempi e letture (“Parlavo così perché leggevo” ha raccontato, della sua infanzia). Spuntano “tantalici esami di latino”, accanto a “fantesche, che compiono sempre rituali esoterici misteriosi” impegnate come sono in rumorose pulizie, mentre il cantautore tenta di dormire dopo una notte insonne. Si trovano “incredibili leccornie” insieme alla “garrula superficialità”. Il punto più alto del lessico gucciniano si raggiunge a pagina 139, là dove si legge: “Nelle pianure… il tuo sguardo può scorrere lene nel piattume a quasi 360 gradi”. Lene, ricorda il vocabolario Treccani, è aggettivo che significa “lieve”, usato da Carducci (“Un oblio lene de la faticosa vita”) e anche da D’Annunzio (“In fondo i poggi leni imitavano il lineamento del mare”). Alzi la mano chi, in vita sua, ha mai usato quell’aggettivo.
Il fatto è che la lingua di Guccini offre un perfetto contraltare al repertorio greve del bar. Una ragione c’è. Anzi, più di una. L’attenzione alla lingua, la ricerca di termini non banali da sempre è stata coltivata da Guccini sia nelle canzoni sia nei suoi libri. Una delle occasioni di maggior divertimento, per lui e per i fortunati che gli stavano intorno, è stata, negli anni, la partecipazione alle nottate del Club Tenco, la rassegna nata per volontà di Amilcare Rambaldi per valorizzare la canzone d’autore. Di quelle nottate, in cui molto si beveva e mangiava, Guccini per vent’anni e più è stato il grande animatore. Insieme ad Antonio Silva, storico presentatore del Tenco, ex preside e come lui convinto della necessità di invecchiare senza diventare adulti. Divertendosi. Goliardi, forse, con un gran rispetto della cultura.

È proprio a Silva che sono dedicati due capitoli di questo libro divertente. Il primo ricorda che insieme a Sergio Secondiano Sacchi, un altro dei fondatori del Tenco, inventarono il “Galeatico”, lingua del tutto inesistente: era il loro modo per sottrarsi al politicamente corretto del Festival, ormai troppo affollato di – ancorché bravissimi – cantautori occitani, catalani, sardi, eccetera.
Il secondo ripropone la lettera che Guccini scrisse a Silva dopo averlo beccato a pronunciare una frase che conteneva un anacoluto (“Un gruppo di tuoi fans ti aspettano”). Occasione d’oro, per Guccini, per contrapporsi al preside in un duello epistolare che naturalmente Silva non mancò di affiggere alla bacheca del proprio liceo, a beneficio dei suoi studenti. Perché quando si scherza si scherza. E la vita è più leggera. Come al bar.