PAISÀ
E L'ITALIA-PRIGIONE
IMPARARE
DAL DOPOGUERRA

Sono tornati due capolavori da collezione. Restaurato dalla Cineteca di Bologna con altre meraviglie in bianco e nero del cinema italiano, 'Paisà' di Roberto Rossellini è disponibile su diverse piattaforme (RaiPlay, Netflix, Sky Glass). Mentre va in libreria per La Nave di Teseo, con prefazione di Alessandro Portelli, 'Il mondo è una prigione' di Guglielmo Petroni, un grande libro scritto nel 1945, dopo la liberazione di Roma, quando l’autore - scampato a via Tasso dove era stato torturato - uscì dal famigerato terzo braccio di Regina Coeli per iniziare un avventuroso viaggio attraverso l’Italia e dentro sé stesso. Tra i film restaurati di Rossellini c’è anche 'Roma città aperta', ma qui segnalo Paisà perché, rivedendolo, l’ho sentito molto vicino al memoir di Petroni.


(Guglielmo Petroni - foto Facebook dal Palazzo delle esposizioni di Lucca)


Queste due opere hanno in comune non solo il tempo – l’ultimo anno di guerra – ma anche la costruzione a episodi, il linguaggio essenziale, disadorno e la mano ferma dell’autore nel dar vita a un racconto antieroico e antiretorico. Con il film di Rossellini torna un mondo che non c’è più, fotografato nel modo crudo e poetico del neorealismo. Lo rivediamo nelle facce antiche degli italiani, così poco somiglianti a quelli di oggi, ritratti in un momento di passaggio, seguendo l’avanzata degli alleati dalla Sicilia fino al delta del Po. Gente affamata e coperta di stracci intorno a soldati americani che appaiono come semidei, alti e ben nutriti, con le tasche piene di sigarette e cioccolata. C’è la carusa che si fa ammazzare dai tedeschi per avvertire un americano appena sbarcato e rimasto di guardia; e c’è lo scugnizzo napoletano impegnato a vendere signorine e altri svaghi a un poliziotto militare nero, che alla fine lascia correre perché capisce. Ci sono la ragazza romana di buona famiglia che deve darsi via come tante per mangiare, e i partigiani uccisi in laguna e i frati romagnoli che aprono il convento a tre cappellani militari e restano sconvolti nel vedere un prete, un pastore protestante e perfino un rabbino che vanno d’accordo.

È un vecchio mondo scomparso eppure, nei suoi significati più profondi, universali, destinato a rimanere per sempre, per tutti quelli che vorranno sapere che cosa mettono in gioco una dittatura e l’epilogo di una guerra. Magari per scoprire, come accade nel libro di Petroni, che l’ora più tremenda, quella dove si soffre brutalizzati in una cella oppure quella in cui si muore fucilati, è un’ora come un’altra. Anche nel momento supremo siamo in balìa del caso - bastava passare di lì un’ora dopo per non essere arrestati - e dobbiamo convivere con noi stessi. Tirare fuori le risorse interiori che non sapevamo di avere, o lasciare che la mente si difenda girovagando o scoprire "certe verità dell’animo nostro", il cui senso "viene profanato inutilmente ogni volta che vogliamo snudarlo del suo mistero".


(Roberto Rossellini con Ingrid Bergman)


Guglielmo Petroni era nato nel 1911 a Lucca, città di “barattieri” – dice lui – capaci di espiare i peccati di furbizia battendosi il petto nelle chiese ricche e bellissime della città. Era figlio di modesti commercianti di scarpe, dovette lasciare gli studi per aiutare la famiglia e si fece da solo. Frequentò i letterati lucchesi della sua generazione (tra loro Mario Tobino, Romeo Giovannini, Arrigo Benedetti) e cominciò dipingendo; andava a Firenze per incontrare altri artisti al mitico Caffè delle Giubbe Rosse. Quella fu la sua Università, l’educazione pre-politica, scrive Paolo Petroni, curatore di una raccolta di testi di suo padre, 'Lettere da Santa Margherita. Scritti Morali 1930-1986', ora ripubblicati da Succedeoggi Libri. Nel 1938 il giovane letterato lucchese arrivò a Roma, chiamato a lavorare alla rivista letteraria di Curzio Malaparte, 'Prospettive'. Qui si avvicinò all’antifascismo ed entrò nella Resistenza. Quando uscì dal carcere dopo via Tasso, il 4 giugno 1944, volle tornare a Lucca per rivedere i suoi e iniziò il viaggio di fortuna che apre 'Il mondo è una prigione': una risalita dell’Italia e, insieme, una finestra su quella prossima ventura, un po’ come in 'Paisà'.

Il viaggiatore prende passaggi dai camionisti, mangia quello che trova, incontra la crudeltà e situazioni tragicomiche: a un certo punto deve consegnare la carta d’identità per poter dormire nella tana di una volpe … Quello che vede è un paese sbriciolato, dove non sono franate soltanto le case, anche le anime sono venute giù; è una specie di premonizione sul dopoguerra. Tornato a Roma, Petroni ricostruisce l’arresto, gli interrogatori, la tortura: scopre – scandalosamente - che il mondo di fuori non è poi tanto meglio di quello dietro le sbarre. Nel 1974, Petroni vincerà uno Strega con il romanzo 'La morte del fiume'. Ma quel suo primo libro ebbe una storia editoriale tormentata. In un tempo che alla nuda realtà preferiva la narrazione epica, fu rifiutato da due editori – come accadde a 'Se questo è un uomo' di Primo Levi. Quel memoir sarebbe rimasto nel cassetto se nel 1948 Marguerite Caetani non l’avesse pubblicato sulla sua rivista, 'Botteghe Oscure'. Bastò a smuovere le acque e l’anno successivo il libro fu riproposto da Mondadori, su suggerimento di Giacomo Debenedetti.



A sinistra non piacque, fu considerato una sorta di denigrazione della Resistenza. Il libro fu riconosciuto e premiato a Prato come miglior libro sulla lotta di liberazione solo vent’anni dopo. In questa nuova edizione de 'Il mondo è una prigione' si trovano alcune pagine inedite dal diario di Guglielmo Petroni, con il commento a posteriori - in privato, s’intende – reso all’autore da Mario Alicata, critico letterario e dirigente del Pci: "Che ci vuoi fare, tu eri quindici anni in anticipo rispetto a noi".

 

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