Per i non addetti ai lavori lo scorso 15 settembre è stato forse un giorno qualunque. È invece un data da ricordare, e, credo, con molta preoccupazione. Visto che, di questi tempi, a sanzione si risponde con altra sanzione, a partire da quel giorno la Cina, il più grande paese produttore ed esportatore di antimonio grezzo e lavorato ha imposto un divieto di esportazione, salvo approvazione da parte delle autorità. In altre parole, per motivi di sicurezza nazionale e rispondenti all’impegno assunto di non proliferazione di armi (nucleari e non), la Cina si riserva il diritto di decidere se e a chi vendere antimonio e i suoi derivati.
La notizia non è una sorpresa: la stampa internazionale ne parla da tempo. L’agenzia Reuters ne dà ampio spazio già lo scorso 15 agosto, un mese dall’introduzione del provvedimento. Dieci giorni dopo ne parla anche il Sole 24 Ore. Diciamo pure che il mondo è stato allertato. L’antimonio è un minerale che si usava già nell’antichità per la cosmetica. Oggi l’utilizzo è molto vario: la maggior parte viene utilizzata in dispositivi per ritardare il propagarsi di fiamme, come negli estintori. Ma l’applicazione in campi oggi strategici sta crescendo rapidamente: nella costruzione di vetri fotovoltaici, nelle batterie di auto, nei missili ad azione infrarossa, nelle comunicazioni, nel settore aerospaziale, nell’elettronica, in alcune armi nucleari, nei visori notturni, per l’indurimento di proiettili e nella costruzione di carri armati. Settori che oggigiorno occupano spazio nei telegiornali e dibattiti politici.

L’antimonio si estrae dalle miniere o può essere recuperato da batterie usate. Si ottiene anche dal processo estrattivo e dalla lavorazione dell’oro. Nel 2023, la Cina ha estratto quasi il 50% della produzione mineraria mondiale ed è stato il maggiore esportatore mondiale di prodotti derivati. Tuttavia, al netto delle esportazioni, il paese rimane fortemente dipendente dal minerale, visto il ruolo che ha negli altri settori di applicazione del minerale e in cui la Cina è molto presente, a volte anche in maniera dominante. Ma la Cina non è l’unico paese che estrae antimonio; seguono il Tajikistan, per circa il 25% della produzione mondiale, oltre alla Russia, Vietnam, Myanmar e l’Europa, tutti in misura minore. Una forte limitazione nella produzione è data dalle limitate capacità di lavorazione del materiale, in cui la Cina ha un ruolo di leadership rendendo i paesi, qualora avessero anche riserve importanti, dipendenti da essa per la lavorazione.
Già prima dell’annuncio cinese, i prezzi del prodotto grezzo e lavorato stavano subendo pressioni al rialzo. In poche parole, non stiamo parlando di un fulmine a ciel sereno. E perché l’elettore americano dovrebbe essere interessato alla questione? Anche gli USA hanno miniere di antimonio, ma l’ultima è stata chiusa nel 2001. Oggi il paese è interamente dipendente dall’importazione e di questa quasi il 65% proviene dalla Cina. Ora, data l’importanza dell’antimonio per il settore militare, è evidente che ogni rallentamento nella fornitura avrebbe conseguenze deleterie per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti (e mondiale).
La riapertura della miniera chiusa è divenuta strategica ma la ripresa dell’attività estrattiva e la lavorazione non saranno possibili prima del 2028, ammesso che si riesca a superare tutti gli ostacoli posti dalle normative ambientali vigenti. Inutile dire che le riserve esistenti sono insufficienti per soddisfare da sole le esigenze industriali americane. Fra i 50 minerali considerati strategici da parte dell’ente di ricerca del Ministero degli Interni degli Stati Uniti, (US Geological Survey, istituito nel 1879) secondo il Center for Strategic and International Studies (CSIS) la Cina è il più grande fornitore mondiale di 26. Considerando che il paese ha già posto vincoli sull’esportazione di altri minerali essenziali per prodotti ad alta tecnologia, è forse una questione di tempo che, in base a come agiranno o reagiranno altri stati, simili vincoli all’esportazione vengano estesi anche ad altri minerali. È evidente che la strategia cinese, da tempo avviata, di controllare le catene di produzione di settori strategici, sta avendo i suoi effetti.

È difficile dire se si sta assistendo ad una semplice guerra commerciale tra la Cina ed altri paesi, soprattutto gli USA, in risposta alla numerose sanzioni e limitazioni in essere nei settori dei semiconduttori e l’Intelligenza Artificiale (IA) o se l’approccio cinese è solo il tentativo di avere un ruolo fondamentale nel limitare la proliferazione di armi, anche nucleari. Se pure fosse solo questa l’intenzione, pensate alle conseguenze sul piano geo-politico. È un dato di fatto, comunque, che le riserve naturali di antimonio sono molto limitate e l’estrazione, comunque in calo, oltre ad essere poco redditizia avviene principalmente in Cina. Il termine di “terra rara”, in questo caso, si applica alla lettera, e il paese che ha miniere e riserve sicuramente eviterà che il prodotto venga esportato. Senza trascurare che là dove si estrae fuori dalla Cina sono paesi ad essa vicini o appartenenti al gruppo dei BRICS (di cui la Cina è uno dei paesi fondatori). Si sta andando, quindi, incontro a una ridotta disponibilità globale di un minerale fondamentale per molti settori e molti paesi? Che ne sarà del futuro delle industrie interessate? Come reagiranno il Pentagono e le Difese dei paesi alleati? Che scenario geo-politico si potrà definire nel prossimo futuro? Domande a cui i candidati nelle presidenziali USA potrebbero almeno tentare di dare risposta.
(7. continua)
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