DA CALVI
A AJACCIO
NELLA CORSICA
DEL MISTRAL

Monsieur Mistral non demorde. Martedì decidiamo di andare a Corte e, se resta tempo, ad Ajaccio. Corte ci sorprende in positivo: antica capitale, sede universitaria piena di angoli caratteristici, oltre alla stupefacente cittadella sulla rocca. Già sulla porta di uscita dal parcheggio un adesivo con su scritto 'Francais de merde' ci avvisa del clima indipendentista. Nemmeno qui il mio amico Gianni può fare sfoggio del suo francese in quanto i cittadini locali preferiscono parlarci in corso, lingua che a noi sembra un dialetto tosco-calabro-genovese. Qui è fortissima l’impronta del generale, statista, rivoluzionario e indipendentista Pasquale Paoli (al secolo Filippo Antonio Pasquale de’ Paoli), u Babbu di a Patria, illuminista allievo di Genovesi e Filangieri, fondatore della Repubblica Corsa e promotore di una Costituzione - cui contribuì nientepopodimeno che Jean Jacques Rousseau - considerata dagli studiosi la prima costituzione democratica moderna, punto di partenza per le più note consorelle Americana e Francese.


(Corte)


Sì fa tardi. Ajaccio è lontana, ma decidiamo di andare pur sapendo che potremo fermarci solo per un’ora. Del resto – direbbe Mujer – la vita è viaggio, non meta. E noi ce lo godiamo il viaggio verso Ajaccio, osservando i paesaggi che attraversiamo nel cuore di quest’isola selvaggia e montuosa che ci sorprende ogni giorno di più: in alto una cima ancora innevata a metà giugno, forse un ghiacciaio sul monte Cinto, 2700 mt sul livello del mare; sotto di noi un corso d’acqua intento a farsi strada tra le rocce. Poi il percorso ci porta in quota e penetriamo, per un lungo tratto, in un folto bosco che mi ricorda quello di Accettura, in Basilicata. Che alberi saranno? Faggi? Castagni? Il mio amico sicuramente lo sa, ma rinuncio a chiederglielo perché è preso da un problema di lavoro e sta chattando da mezz’ora per cercare di risolverlo. Del resto non importa, tanto poi me ne dimenticherei. Benedico invece la pensione, che mi ha affrancato da certi affanni, e apprezzo il viaggio in auto, che mi consente una libertà di scelta di tempi e luoghi che altri mezzi non lasciano.



Non possiamo dire di aver visitato Ajaccio: ci abbiamo passeggiato per un’ora tra il porto e il mercato, abbiamo preso un gelato e siamo passati sotto la casa natale di Bonaparte, l’unico corso più famoso, anche se qui meno venerato, di Paskal Paoli (la “s” di Paskal i corsi la pronunciano “sh”, come un Pasc…cale napoletano). Sulla via del ritorno una telefonata dall’Hotel Le Bastia annuncia il ritrovamento dello zainetto perduto e noi, per festeggiare, appena rientrati a casa ci scoliamo una bottiglia di bianco e un mezzo litro di acquavite di nespole comprata a Corte. In tre, sempre perché Mujer è astemia.


(Ajaccio)


Mercoledì proviamo la spiaggia di Ile Rousse, stupenda, sabbia bianca e mare turchese. Verso l’una il mistral torna a soffiare forte, alzando sabbia e scoraggiandoci dal tuffarci. Alle quattro rientriamo e ci prepariamo per la cena prenotata al famoso agriturismo di Lavatoggio (per i locali Lavatogghju), Chez Edgard. Difficile giudicare la cena, guastata dal vento freddo e dal fatto che non ci fosse posto al coperto (cosa della quale non eravamo stati avvisati). A prezzo fisso (45 € a persona) ci servono zuppa, torta salata, un piatto di carne a scelta, formaggio e dolce. Grande abbuffata, ma il condimento del vento freddo rende la serata poco piacevole.


(Calvi)


Mujer insiste che lei lo sapeva che la Corsica è ventosa e io, masticando un’Aspi Gola, ribatto che non avevo idea di un tempo così, a giugno, in un’isola del Mediterraneo. Del resto, da quando siamo in pensione io e Mujer non perdiamo occasione per contrastarci. Per fortuna non piove e il vento è l’unica seccatura. Tra Calvi e la risalita del lato orientale di Cap Corse scegliamo la più vicina Calvi, che per la verità ci piace assai, con il suo porto snob, la imponente, immancabile cittadella, i vicoli colorati a ridosso del porto. Una costruzione diroccata nella parte alta è segnalata come la casa natale di Cristoforo Colombo, che però sembra certo sia nato a Genova. Forse qui vivevano suoi parenti e lui ci ha abitato da piccolo per un po’. Ci può stare, visto che Calvi all’epoca era territorio genovese. La cosa è controversa. Bisognerà chiedere un arbitrato al nostro Ministro della Cultura che, a quanto pare, ha un feeling particolare col navigatore genovese e non teme di avventurarsi in fantasiose ricostruzioni storiche che superano i limiti spazio temporali.


(Isola Rossa)


La serata è alla scoperta delle stradine e dei ristorantini di Isola Rossa, che non tradiscono le aspettative. Ceniamo a 'Le Grand Bleu', caratterizzato da un enorme ficus all’ingresso. Cibo ottimo. A Gianni è antipatico il cameriere, un bel giovane che, forse preoccupato per gli orari di chiusura della cucina, ci pressa più volte per l’ordinazione. Mujer, non ravvisando nulla di brusco o di ruvido nelle sollecitazioni, difende il ragazzo e sulla cosa discute un po’ con Gianni. Io e Angela, per una volta non coinvolti in questioni con i rispettivi coniugi, ce la scialiamo, la verità. A fine cena paghiamo il conto e il cameriere porta in omaggio limoncello della casa con ghiaccio per quattro. Il gesto dimostra inequivocabilmente la gentilezza del giovane e in qualche modo sconfessa la tesi dell’ancor scettico Gianni. A questo punto Mujer, notoriamente astemia, soddisfatta, leva provocatoriamente il bicchierino di limoncello e inopinatamente lo manda giù. Stupefatto io documento con foto lo straordinario fenomeno e informo immediatamente via whatsapp i nostri increduli figli. Il commento di Betti è: "La cazzimma ha superato l’astemìa!".


(San Fiorenzo)


Torniamo a casa di buon umore, divertiti per la serata trascorsa: è difficile spiegare quanto gradito ci sia, dopo ogni vagabondare, il nostro buen retiro di Monticello.

Venerdì è finalmente calato il vento e possiamo goderci fino a tardi il mare di Isola Rossa. Pensavamo fosse l’ultimo tuffo, perché domani si riparte per Bastia, ma il nostro amico Stephane decide di regalarci un ulteriore giorno in spiaggia, consentendoci di lasciare la casa nel pomeriggio anziché alle dieci come da regolamento. Così sabato verso le cinque, dopo il bagno, salutiamo Monticello e partiamo per Bastia, scegliendo una strada nuova al fine di inserire una tappa-caffè a Saint Florence, o San Fiorenzo, se preferite. Il piccolo borgo sul mare avrebbe meritato più tempo e più attenzione, sia per la sensazione di pulizia, bellezza e accoglienza che ci offre nel poco tempo che vi trascorriamo sia perché ci incuriosiscono i dintorni, uno tra tutti il deserto di Agriates che da qui si raggiunge in barca.


(Monticello)


Ormai è tardi. Ci attende Bastia per l’ultima notte corsa con cena al porto vecchio. Domani, domenica, festeggeremo al bar del porto, con le candeline su una brioche, il compleanno di Mujer; poi c’imbarcheremo sulla nave per Livorno, col suo equipaggio pieno di napoletani che si prodigheranno in gentilezze non appena riconosceranno il nostro accento. Uno in particolare, tracagnotto e dai modi burberi e autoritari, supererà me e Gianni in uno stretto corridoio bofonchiando, in modo scherzoso: "’Sti cazz’e napulitane stanne pe’ tutte parte! Sti terron’e mmerda so’ proprie insopportabili!". Noi lo seguiremo ridacchiando fino al bar del ponte sei.


(Bastia)


Qui lui si volterà improvvisamente e punterà verso di noi il dito: "Caffè?". Il mio amico ci proverà: "Sì, ma se permettete lo offro io!" Il marittimo non se lo filerà proprio e, rivolto al cassiere, intimerà: "Due caffè per i miei amici, sul mio conto!". Mentre prenderemo il caffè Gianni chiederà al nostro ospite come mai tanti campani facciano parte dell’equipaggio. La faccia del nostro nuovo amico s’intristirà: "Io so’ ’e Torre del Greco…" comincerà e Gianni lo interromperà subito: "Io pure! So’ ’e Leopardi… anche se ora abito a Ercolano". S’intrometterà il cassiere: "Io pure so’ d’Ercolane!". "Io di Castellammare…" proverò inutilmente a inserirmi, completamente ignorato dagli affratellati abitanti di quel microcosmo vesuviano fatto di rocce piroclastiche e vapori di zolfo. Avrei forse dovuto dire che sono di Stabia, per condividere l’afflato evocando la compartecipazione della mia città ai fenomeni eruttivi, ma mi uscirà quel misero “Castellammare” la cui eco sento ancora suonare nel vuoto. Il nostro ospite riprenderà il filo: "Io so’ ’e Santa Maria… E allora vuje ’o sapite pecchè jamme pe’ mmare. Fatìca ’nterra, pe’ chi nun vò vennere ’a droga, nun ce ne sta!"


(Bastia)


Ci saluteremo stringendoci calorosamente la mano. Poi Gianni ed io, godendoci la partenza dal ponte più alto, rifletteremo su questo nostro modo, un po’ greco e un po’ massone, di sentirci popolo, e sul fatto che a bordo non ricordiamo di aver mai preso un caffè migliore. Devono averci messo parecchio cuore, nel prepararlo.

Da Livorno guideremo verso casa, con poche fermate e quella faccia un po’ così che abbiamo noi quando finiscono le vacanze belle. La musica in auto sarà boomer, quasi quanto noi. Tra America, Neil Young, Lou Reed, Venditti e Louis Armstrong farà capolino un De Gregori d’annata che ci ricorderà che “dietro a un miraggio c’è sempre un miraggio da considerare, come del resto alla fine di un viaggio c’è sempre un viaggio da ricominciare…”

Io una volta l’ho avuto un miraggio: ho visto acqua dove c’era solo sabbia. Eravamo a Capo Verde, sull’isola di Sal. Ma questa è un’altra storia.

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