Sulla rotta dei mulini, dei canali e delle piste ciclabili, tra tante sorprese e poche delusioni, torno da un breve e intenso tour dei Paesi Bassi con due domande che ancora attendono risposta: perché gli olandesi risparmiano sulla grandezza dei lavandini e sulla profondità dei gradini?

Torno anche con la voglia di tornarci con più tempo a disposizione, perché questo piccolo paese affacciato sul Mare del Nord mi è parso -anche grazie a una finestra di clima favorevole in un maggio per il resto piovoso - un luogo aggraziato e ridente e i suoi abitanti mai immusoniti o seriosi, ma piuttosto propensi a godersi la vita nel rispetto degli altri.

La piccola Olanda, posizionata in un imprecisato nord Europa, entra a pieno titolo nei miei ricordi di bambina per essere uno dei paesi che partecipavano a “Giochi senza Frontiere” e anche per avermi ispirato nella scelta di un costume di Carnevale, completo di cuffietta e zoccoli, di cui per fortuna non restano documenti fotografici. Poi sulle sudate carte universitarie l’Olanda di Erasmo e di Anna Frank si è palesata come uno dei paesi fondatori della CECA, la comunità europea del carbone e dell’acciaio, nucleo storico dell’attuale Unione Europea.

Negli anni a venire, quando anche prima dei voli low cost si viaggiava tanto per capitali europee, la sirena di Amsterdam che risuonava di inimmaginabili libertà a luci rosse e fumo di marjuana non mi aveva mai attratto e la prima volta che ho messo piede su terra olandese è stato pochi anni fa per passeggiare sulla spiaggia di Cadzand, in gita di un giorno da Bruxelles, restando abbagliata dallo spazio, dal vento e dai lidi protetti dal plexiglas. Il mare uno sfondo grigio che arrivava come un potente aerosol di iodio.

Il piccolo tour in auto organizzato dall’amica expat è cominciato alla vigilia di un lungo ponte e ha pagato il prezzo di un traffico intenso. Ma appena lasciata l’autostrada e superato il confine tra Belgio e Olanda su un percorso alternativo, sono miracolosamente apparse in mezzo alla pianura le prime piste ciclabili, le simpatiche casette col tetto spiovente e una nutrita popolazione di cavalli, mucche, oche e asini che pascolavano tutti insieme appassionatamente.

Da questo momento sono entrata nel “Nederlandse mood”.
A Rotterdam, che merita un discorso a parte e almeno un paio di giorni dedicati, ho dormito in una house boat, visitato le famose case cubiche, ammirato la straordinaria architettura contemporanea che si rispecchia sull’acqua, patito la nausea da velocità su un taxi del mare, pagato 4 euro per tre fermate di tram e mangiato marocchino sulla Witte de Withstraat, la strada della movida. Piccoli assaggi di una città che restituisce senso alla parola innovazione e che ci ha salutato con una colazione fortuitamente fatta nel quartiere residenziale di Coolhaven che, affacciato su un laghetto, sembra la versione europea del Truman Show.

Amsterdam, per quello che ho visto in un solo giorno, è la giostra che mi aspettavo. Una città intasata di turisti e dominata dalle biciclette, che alterna sfacciatamente antico e moderno: qui un Beghinaggio, lì una Condomerie, e tutto tenuto insieme da una ragnatela di “gracht” (canali) che nonostante le loro acque luride conferiscono un fascino particolare a ogni scorcio.

Ma la città è anche grandi piazze, arterie, parchi e una metropolitana da urlo: il Museumplein con le sue chilometriche file per entrare al Van Gogh o al Rijksmuseum, la Damplein (piazza della diga, una parola che ricorre frequentemente nella toponomastica) con il Palazzo Reale che la regina ha preferito lasciare in uso al museo delle cere e a vari uffici, la zona dei teatri e quella delle librerie… ovunque un formicolio di persone, biciclette, tram, insegne, semafori.

Il caos controllato e funzionante della capitale morale del paese mi rammenta che qui lo spazio è poco e che in Olanda, su una superficie di circa 42mila chilometri quadrati (l’equivalente di Lazio, Abruzzo e Campania) vivono 18 milioni di abitanti raggiungendo una densità abitativa tra le più alte in Europa. Per questa gente che nei secoli ha sottratto il suolo al mare, la pianura è il panorama abituale e la montagna un desiderio da esaudire: forse anche per questo “Le otto montagne” di Paolo Cognetti (“De acht bergen” nella traduzione olandese) risulta tra i libri più venduti del momento.

Per fortuna all’imbrunire la passeggiata sui canali si svuota, la gente si sistema con un bicchiere nello spazietto fuori casa, la luce del tramonto mette fascinosamente fine alla giornata. Dopo aver cenato in un ristorante all’aperto, con venti minuti e due linee di metro torniamo al nostro Social Hub, un albergo in periferia a ovest del centro storico. Fa parte di un gruppo di hotel (quasi venti in Europa di cui un paio in Italia) che dà grande attenzione agli spazi comuni per socializzare: salottini, bar, bigliardino e pingpong, palestra e campetto di basket, in un ambiente modernissimo e confortevole dove ogni cosa è pensata per ridurre l’impatto ambientale (compreso il fatto che al rubinetto della doccia è applicato un contatore che rileva quanti litri di acqua hai consumato per lavarti).

Dopo le due grandi città, il terzo giorno andiamo a farci un’idea dei piccoli centri nella provincia dell’Olanda settentrionale. Il primo si chiama Broek in Waterland e sembra davvero il paese delle fate. Collegato dai soliti canali al grande lago artificiale di Markermeer, ha casette in legno antiche anche due secoli, giardini curatissimi, una chiesa, un maneggio e pochi turisti di età ancora più avanzata della nostra ma rigorosamente in bicicletta. Siamo a soli 15 chilometri da Amsterdam ma sembra di essere su un altro pianeta, al punto da non riuscire a trovare un locale aperto per un caffè e qualche altra esigenza personale.

Dopo una sosta tecnica nella vicina Monnickendam, dove a mezzogiorno il campanile della chiesa si anima con uno spettacolino tipo quello dell’Orologio astronomico di Praga, solo che qui a mettersi in moto non sono gli Apostoli ma una giostra di cavallini, ci dirigiamo a Marken.

Un tempo isoletta nel lago, ora è collegata alla terraferma da una strada che oltre alla parte carrabile ha una pista ciclabile leggermente sopraelevata, quasi a voler suggerire che le due ruote meritano un trattamento migliore delle quattro. È un posto decisamente più turistico degli altri due, dove il parcheggio è a pagamento e dove bisogna scansare le ondate di turisti che si riversano dai barconi sul porticciolo.

Qui veniamo in contatto con i famosi “poffertijes”, tipiche frittelle di grano saraceno, preparate al momento da una simpaticissima coppia locale (lui alla piastra e muto, lei tutta dedita alla soddisfazione del cliente e agli incassi) che ci racconta di venire spesso in Italia in vacanza e di avere come vicini di casa una famiglia di Gragnano.

Il giro per Marken, tra canali e ponticelli, case di nuova costruzione a predominanza verde, ancora cavalli e festival dei panni stesi, ci mostra una volta di più con quanta cura gli abitanti tengano le abitazioni e quanto vivano i loro spazi esterni, sempre accessoriati di piante e fiori, panchine di legno, tavolini e zoccoletti appesi al sole.

La tappa successiva è Edam, sì proprio la patria dell’omonimo formaggio, un altro centro costruito sui canali, dove le case alternano facciate in legno perfettamente verniciato ad altre in cui i klinker risultano finalmente belli. Le auto ci sono, ma restano parcheggiate perché anche qui ci si muove a piedi, in bici o con la barchetta.

Con altri pochi chilometri siamo a Volendam, sicuramente il posto più famoso della zona. Quello che era un tranquillo porticciolo di pescatori è ora una meta turistica molto gettonata, proposta come escursione giornaliera da Amsterdam.

Oltre il centro storico, caratterizzato dal Doolhof, un labirinto di stradine e vicoletti (dove è stato veramente difficile trovare la “casa del pescatore” prenotata da piattaforma e risultata piuttosto sporchina), c’è una lunga e ariosa passeggiata lungo il porto storico che, superate una serie di improbabili statue e di bellissime case con affaccio sul mare, conduce verso il nuovo porto turistico con tanti locali di ristorazione e intrattenimento. Hanno costruito tanto qui, per realizzare una zona di seconde case, ma hanno costruito bene, chapeau!

L’ultima tappa nel giorno del rientro a Bruxelles è a Kinderdijk, il Parco dei Mulini vicino Rotterdam. Risalenti alla prima metà del 1700, in mattoni, paglia o pietra, i 19 mulini di questo “polder”, una zona prima sommersa dal mare e poi bonificata tramite dighe e canali, servivano per trasportare l’acqua in eccesso verso il fiume. Oggi, riconosciuti come Patrimonio Unesco, stanno lì a uso e pagamento dei molti turisti a testimoniare la secolare lotta degli olandesi per guadagnare terra dove stare.

La presenza di carrettini che vendono prodotti tipici, corredati da personale femminile in abito tradizionale, stride un po’ con l’unico punto ristoro preso d’assalto dai visitatori, mentre il servizio navetta che riporta al parcheggio ci fa aspettare una mezz’ora abbondante sotto un sole diventato cocente. Qui, come in molti altri posti in Olanda, non accettano pagamenti in contanti e una bottiglina d’acqua costa come un panino alle aringhe.

Ma si sa che il costo della vita qui in Olanda è alto, e che la fama di mercanti insegue gli Olandesi da sempre.
Loro, che amano il calcio, la birra e la liquerizia, che sono tolleranti e gaudenti ma pure ordinati e creativi, loro che hanno una lingua impossibile, un governo conservatore e si dichiarano agnostici in alta percentuale, pagano tasse con aliquote molto simili alle nostre, e si godono il benessere.

Mi piace pensare che questa frase trovata su un portoncino a Edam sia la loro filosofia (vincente) di vita: “Se giudichi le persone non ti resta il tempo per amarle”.