GUERNICA
IL MARTIRIO
DI UNA CITTÀ
NEL FUOCO

Lo ha reso celebre il quadro di Pablo Picasso, ma il bombardamento a tappeto sulla cittadina basca di Guernica, di cui oggi, 26 aprile, ricorre l’anniversario, è stato in realtà l’inizio di una fase nuova delle guerre nel mondo: quella in cui ben presto sarebbero stati più numerosi i morti civili di quelli militari.

E un ruolo fondamentale lo ha avuto l’aviazione. In realtà il primo bombardamento aereo su una popolazione civile risale al 1929 ed è avvenuto sulla piccola cittadina nicaraguense di Ocotal. Qui le truppe statunitensi che avevano invaso il Nicaragua erano bloccate dai guerriglieri di Augusto Cesar Sandino, il Generale di Uomini Liberi. Per riuscire a sganciarsi gli statunitensi decisero di bombardare a tappeto Ocotal e riuscirono così ad uscire dalle difficoltà. Ma certo l’aviazione era ancora a livelli rudimentali, se li confrontiamo con quelli della Divisione Condor nazista appoggiati dagli aerei da guerra di Mussolini che operarono a Guernica. Il Nicaragua è un Paese lontano e piccolo. E soprattutto nessun Picasso dipinse Ocotal.


(Guernica oggi)


Così oggi ricordiamo Guernica, la cittadina basca che contava prima del bombardamento circa 7 mila abitanti, ma che era strategica perché in quella zona del nord della Spagna si trovavano importanti industrie metallurgiche, fabbriche di armi e miniere. E perché i baschi erano sostanzialmente a favore della Repubblica e andavano puniti. Lo aveva detto chiaramente il 19 luglio del 1936 in una riunione con alcuni sindaci della vicina Navarra il generale golpista Emilio Mota: “Bisogna seminare il terrore, dare la sensazione di dominio, eliminare senza scrupoli e tentennamenti tutti coloro che non la pensano come noi”.

Alle motivazioni del generalissimo Franco, gli alleati nazisti e fascisti aggiungevano la loro esigenza di sperimentare armi e metodi di guerra nuovi. Così l’inferno su Guernica (Gernika, in basco) scattò nel pomeriggio del 26 aprile 1937, precisamente alle 16.40. Giorno ed ora non vennero scelti a caso. Era il momento del mercato settimanale e oltre ai consueti abitanti della cittadina si affollavano contadini della zona che venivano a vendere i loro prodotti e acquirenti di paesi vicini che facevano la spesa per la settimana. Il nome dell’attacco fu scelto dai tedeschi “Operacion Rugen”, castigo.


(Guernica, Picasso - Museo Reina Sofia)


La tattica sperimentata fu scientificamente crudele. Prima i bombardieri lanciarono ordigni pesanti e granate in maniera metodica, area dopo area dell’abitato. Poi gli aerei da caccia mitragliarono la folla terrorizzata che cercava scampo sotto qualsiasi edificio o protezione, nelle cantine o nei sotterranei. Infine gli Junkers 52 lanciarono 3 mila bombe incendiarie pesanti in modo che gli edifici e le costruzioni si sgretolassero su quelli che vi avevano cercato rifugio. C’erano 300 case a Guernica, il 71% furono distrutte totalmente, il 7 % gravemente danneggiate, il 22% con danni parziali. Secondo il governo basco ci furono 1654 morti e 900 feriti, anche se il numero preciso non si è mai saputo. Tutti civili. Il vice comandante della Divisione Condor, il nazista Von Richthofen, scrisse sul suo diario: “A Guernica mi sono comportato in modo maleducato”. Ma Franco tentò di nascondere la realtà e in una intervista a Radio Salamanca il giorno dopo disse: “Abbiamo rispettato Guernica come rispettiamo ogni spagnolo. I rossi hanno distrutto Guernica per lanciare una campagna di propaganda che avevano già preparato”.


(Guernica dopo le bombe)


Ma a smentirlo ci pensò un giornalista inglese di The Times, George L. Steer, che si trovava nella regione come inviato di guerra e che vide da lontano le fiamme che bruciavano la cittadina. Corse là e si trovò nel mezzo dell’inferno. Passava in strade con cadaveri fatti a pezzi o carbonizzati, entrò nell’ospedale e contò 40 cadaveri di donne in un mare di sangue. Trovò i resti di una bomba aerea con disegnata un’aquila tedesca e un’altra con la scritta Roma. Fu lui a testimoniare quel che era successo davvero e leggendo il suo articolo, pubblicato in Francia da L’Humanité Pablo Picasso che era a Parigi decise che avrebbe dipinto il quadro che continua a parlarci di Guernica. E di una guerra che non uccide più solo i militari, Ma soprattutto i civili. Perché ormai il campo di battaglia non è tanto il fronte o la trincea, ma tutto il territorio del nemico, a cominciare dalle città abitate dalla popolazione civile.

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