SIRACUSA
TRA MARE
E ANTICHI DRAMMI

Se avete a portata di mano l’album Latinista, il CD di Roy Paci - Aretuska del 2010, provate a riascoltare il primo brano, 'Intro available'. Ebbene, verso la fine dei 39 secondi, quella voce che scandisce “In Italia ego sum latinista” è la mia. Mi chiamò un amico, Lucio, a inciderla in uno studio di registrazione bolognese. Mi divertii moltissimo, ma ora mi viene in mente che, se al posto mio ci fosse stato il Direttore di Foglieviaggi, o uno dei suoi (e miei) carissimi amici, suoi sodali di fede calcistica, avrebbe sicuramente pronunziato, senza farsi notare: “Ego sum Napolista”. ...


Proprio come quando, nel secolo scorso, durante il giuramento delle reclute, alla fine del CAR, alla stentorea domanda del Superiore: “Lo giurate voi?”, un certo numero delle centinaia di coscritti non urlava “Lo giuro”, ma una vanteria assonante, quasi sempre falsa, che precedeva la cultura leghista di qualche decina d’anni: un ridicolo "l'ho duro".


Io no, io urlai “Lo giuro”, nel giugno ’68, perché ero un ragazzo perbene, così come ho detto “ego sum latinista”, anche perché sono nato a Salerno. Ecco, per un latinista ma anche grecista, insomma per un filologo classico, la gita a Siracusa in occasione degli spettacoli dell’INDA, l’Istituto Nazionale del Dramma Antico, è un obbligo ma anche un piacere. Poi, il fatto che sia stato eletto, proprio l'altra domenica, il nuovo sindaco di Siracusa, dal cognome non divisivo (o intrinsecamente divisivo?) Italia, significherà certo qualcosa.

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Nel 2009, a Siracusa, ci eravamo andati addirittura a rappresentare una commedia ‘magnogreca’, "Questi Caratteri", ispirata ai Caratteri di Teofrasto, con la compagnia “I Kalokagathoi”, diretta da Francesco Puccio, per l’Università Federico II di Napoli. Fummo molto sfortunati, perché a Palazzolo, dove dovevamo

mettere in scena la nostra commedia, pioveva a dirotto; fummo costretti a rappresentarla in un salone dell’albergo, con evidenti disagi.

A Palazzolo, quest’anno, sono andati meritatamente gli studenti del Laboratorio Teatrale dell’Università della Campania Vanvitelli, con un bellissimo Filottete. E quindi torniamo a Siracusa, actually. Perché, prima di sera, prima delle fatidiche 19.30, orario di inizio degli spettacoli, c’è la giornata intera da far passare.

La si può trascorrere anche al mare, per esempio al Lido Arenella, accogliente e pieno di comodità. Con un mare degno del nome ‘mare’. Ti portano a destinazione, con ragionevole cifra, tassisti e tassiste, tassisti da generazioni, pronti a dare indicazioni, a spiegare qualcosa della storia, ma anche della realtà odierna, segnata dal covid ma già ripartita. Storie di turismo garantito e da conquistare. La chiacchiera diventa dialogo aperto, non esibizione di luoghi comuni, sempre istruttivo.

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Oppure si può visitare Ortigia, cioè un luogo a forma di quaglia … e come non citare il mio autore culto, Tolomeo Efestione, detto Chenno, cioè proprio la quaglia, o non pensare ai cugini Posalaquaglia, di totoiana memoria? Si cerca la granita di mandorla o l’arancino, qui ancora maschile (a Palermo decisamente femminile)

e intanto si trovano tracce di miti i più vari: manichini adattabili a rappresentare figure colorate e indecifrabili; sirene pronte per spot pubblicitari; addirittura richiami a Partenope, quest’anno scudettata; fino al Duomo investito da un Sole sicuramente pagano, pronto a rivendicare l’antichità dei raggi di Helios sull’illuminazione artificiale notturna!

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L’ora dello spettacolo si avvicina, conviene andare a piedi da Ortigia, poco più di mezz’ora, anche perché, percorrendo il corso Umberto, si fa in tempo ad annotare gelaterie, pasticcerie, ristoranti da testare al ritorno o il giorno dopo. Resti massicci, nel corso della giornata, avevano ricordato poteri decaduti, oggi ridotti


a rovine; ma anche la modernità ha spesso prodotto ruderi, magari un accogliente B&B, forse inaugurato incautamente. Speriamo possa tornare a nuova vita!

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Alla fonte Aretusa, la magia del mito si stempera fra le auto che tentano di parcheggiare per raggiungere qualche bar e le anatre che si rincorrono quasi per volontaria esibizione.

Da secoli, tanti ormai, le folle sciamano verso il teatro, affollando i posti resi comodi oggi dai cuscini. La sede

dell’INDA, in via Matteotti, offre una foto d’epoca, da confrontare con quelle che ogni spettatore può scattare oggi.

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Cosa guarderemo in queste due serate? La Medea di Euripide e La Pace di Aristofane. Piccola notazione: anche nel 2009 c’era la Medea, tradotta da Maria Grazia Ciani e diretta da Krysztof Zanussi. Quest’anno la traduzione è di Massimo Fusillo e la regia di Federico Tiezzi.

Inizi contrastanti, anche dal punto di vista del colore, ma ingannevoli, se si pensa alla fine. Il bianco della Medea, che finirà nel rosso sangue che copre il terreno, e il nero cupo delle armature di Aristofane, che sfoceranno nel rassicurante color grano delle tuniche dei contadini …

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Anche se … anche se, il regista moderno non può che, fatalmente, compromettere quella pace con un nuovo color nero-terrorista, anche un po’ ‘ministeriale’, condito da scoppi e rombare di aerei.

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E non voglio spoilerare. Voglio solo riflettere sul fatto che l’occhio e la mente con cui guardiamo oggi questo teatro antico (riproposto da registi e attori/attrici certamente impeccabili) sembrano risentire dell’effetto sovrapposizione che si prova in maniera lampante nella Cattedrale, dove, al tempio di Atena, del V secolo a.C., voluto da un tiranno, si sostituisce, nel VI secolo d.C. una chiesa cristiana per la Vergine Maria.

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Non potendo rivivere le sensazioni pure e semplici dello spettatore antico, accumuliamo, interpretiamo, usiamo filtri inevitabili. In una parola, traduciamo anche noi, come la Ciani e Fusillo. E dunque, quando vediamo entrare in scena Creonte e i suoi ‘coccodrilli’, quando sentiamo dialogare (per così dire) Medea e Giasone, li rendiamo archetipi e rappresentanti di patriarcati eterni, femminicidi in parte mancati, femminismi precoci.

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L’unico brano nel quale, mi viene da dire, l’orrore antico e moderno si fondono senza possibili distinzioni, anche per lo spettatore, è quello in cui la ‘messaggera’ racconta a Medea gli esiti funesti dell’inganno con cui ha ucciso la nuova moglie di Giasone e il padre di lei Creonte.



E poi, in attesa di una magia da IA, che sicuramente nei prossimi anni farà da padrona, ecco apparire, in entrambe le rappresentazioni, il deus ex machina: una possente gru che solleva in cielo una sera Medea, una sera Trigeo sopra il suo scarabeo.

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Gli spettacoli, come la vita, a un certo punto finiscono. Quasi sempre fra gli applausi, in entrambi i casi. Gli attori si prendono per mano e si inchinano, il pubblico si alza in piedi.

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Pubblico e attori si congedano e simbolicamente si salutano.Poi, a Siracusa, può capitare di incontrarsi di nuovo, parte del pubblico e parte degli attori, sulla via del ritorno, al ristorante Mamma Iabica, gestito meravigliosamente da Gianni e Laura.

E allora, davvero, cultura, sapori e simpatia si sovrappongono e si mescolano con arte mirabile.

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