PROFESSIONE
DETECTIVE
LA GENOVA
VIOLENTA



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Uno era il cronista, l’altro il poliziotto. Passano gli anni, molti, e quei due tornano a incrociarsi con le tasche piene di ricordi. L’occasione è una intervista ed è da lì che sentono - Roberto Orlando, il giornalista (prima al Lavoro e poi a Repubblica) e Flavio Bottaro, ex investigatore della polizia - la voglia di rimettere indietro le lancette e sfogliare vent’anni di storia della Squadra Omicidi di Genova. Inchieste, violenze, morti, traffici di droga, finti medici, salvataggi in extremis, fino ai casi rimasti impressi nella memoria collettiva come quello del serial killer Donato Bilancia e quello della tragica fine di Carlo Giuliani al Social Forum. Nasce così il libro “Professione detective” edito da De Ferrari e firmato da Orlando e Bottaro con la prefazione di Giuseppe Gonan (dirigente della sezione Omicidi di Genova dal 1992 al 1998) e di Alessandra Bucci (stessa carica, rivestita dal 1999 al 2011).


(Donato Bilancia)


Era una Genova diversa dalla città di oggi, quella che va dai primi anni Novanta agli anni Duemila, con un centro ancora popolato di palazzi fatiscenti, con periferie degradate dove la criminalità organizzata trovava i suoi spazi d’azione. E le indagini molto spesso, nel tempo senza telecamere nelle strade, smartphone e social, partivano dal “fiuto”, dall’attenzione ai particolari, di un investigatore. C’è per esempio l’omicidio in un night del luglio 1994. Dalla radio l’allarme per tutte le volanti: “Colpi d’arma da fuoco in via XII ottobre, night club Alcaraz”. “Ricevuto, siamo qui vicino, andiamo subito”. Sembra di sentirle le sirene bucare la notte. L’ uomo a terra è una vecchia conoscenza delle forze dell’ordine, accanto il suo amico in ginocchio gli tiene la mano, intorno le luci del locale tutte accese e “un silenzio spettrale”. Per Bottaro quel caso segna un primo salto nella carriera, diventa “mobiliere”, cioè passa dalle Volanti alla Squadra Mobile, sezione Omicidi. A seguire, altre indagini che abbiamo lasciato nelle pagine dei quotidiani di allora: il pensionato, ex finanziere che insegue un uomo che si è impossessato della sua auto e, attaccandosi alla portiera, viene ucciso nell’impatto della vettura in velocità contro dei cassonetti. Il caso di Antonella che in realtà non si chiamava Antonella, ma Luigia, ex infermiera del San Martino, massacrata di botte nel basso in cui si prostituiva e rimasta agonizzante per ore. O quello della commercialista murata viva in una cabina dell’Enel.


(La questura di Genova)


Storie lasciate alla deriva della memoria e altre invece che ricordiamo meglio: come il serial killer Donato Bilancia, 17 omicidi, tredici ergastoli e una vita finita al tempo del Covid. I delitti erano collegati dall’arma: una Smith&Wesson calibro 38. Nel capitolo dedicato a questa indagine si comprende la complessità del caso e l’urgenza di frenare quella terribile scia di sangue che ha lasciato le luci degli uffici della questura accese fino a tarda notte. Il libro scritto a quattro mani da Roberto Orlando e Flavio Bottaro vuole rendere merito a tutti coloro che hanno lavorato spesso "dietro le quinte" ma che pure sono stati fondamentali nel risolvere i casi. Da queste pagine emerge il lavoro di una squadra, l’intuito nel leggere tra le parole e anche i silenzi dei testimoni, la prontezza nel collegare gli indizi, il coraggio di intervenire in situazioni drammatiche anche quando coinvolgono qualcuno che porta una divisa, vedi il caso di Saverio Galloppo, 47 anni, che dopo la separazione ha ucciso moglie e i due figli di 8 e 4 anni prima di uccidersi con la stessa arma.


("Professione detective" di Flavio Bottaro e Roberto Orlando
De Ferrari edizioni, euro 16,15)


In “Professione detective” si ricostruiscono con un altro sguardo, quello di chi ha indagato, vicende che hanno catalizzato l'attenzione mediatica e altri meno noti, ma ugualmente importanti per i loro risvolti umani o per le soluzioni investigative. In vent'anni, la “squadra” si è occupata di una media di 10-15 omicidi all'anno, per un totale di almeno duecento inchieste, quasi tutte risolte. Fra i momenti tragici e carichi di tensione, svetta il pomeriggio del 20 luglio 2001 in piazza Alimonda quando nell’ultimo giorno del Social forum muore, colpito dal proiettile sparato da un carabiniere, un ragazzo di 23 anni, Carlo Giuliani: “Il ragazzo a terra aveva un foro sullo zigomo, appena sotto l’occhio. Si capiva che era stato provocato da un colpo di arma da fuoco. La folla intorno cominciava a crescere. Qualcuno gridava…” si legge tra le pagine di “Professione detective”. E più avanti: “Come attestano le perizie, un proiettile finisce contro il cornicione del campanile della chiesa (e il segno lasciato da questo colpo verrà individuato proprio durante l’incidente probatorio in piazza Alimonda), l’altro centra in pieno un sasso lanciato nello stesso momento da un altro manifestante, poi devia e colpisce Giuliani al volto. Nel suo percorso fatale, il proiettile sfilaccia il bordo del passamontagna del ragazzo e lascia tracce del calcinaccio che aveva colpito un attimo prima. Giuliani cade, l’autista del Defender fa manovra per uscire dall’angolo e passa due volte, la prima in retromarcia, sul ragazzo a terra. L’autista racconterà al Pm di non averlo visto”.


(Un murale dedicato a Carlo Giuliani)


Le perizie però non raccontano la stessa dinamica, quella redatta per conto della famiglia Giuliani portava a un’altra ricostruzione (il carabiniere, Mario Placanica, avrebbe sparato ad altezza del volto di Giuliano e che non ci sarebbe stata deviazione del proiettile per l’impatto con il calcinaccio). “Non ci sono angoli bui. La nostra ricostruzione - si legge nel libro di Bottaro e Orlando - ha resistito durante tutti i passaggi giudiziari, fino alla Corte europea di Strasburgo per i diritti dell’uomo. Il caso è stato archiviato, l’indagato (il carabiniere Mario Placanica ndr) non è mai entrato in un’aula di Giustizia: era stato accertato l’uso legittimo dell’arma da fuoco e la legittima difesa”.

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