I Custodi
della montagna
Ombre lunghe
e vite in salita
Una recensione di
MARCELLA CIARNELLI
(foto da Pixabay)
C’è anche il Vajont, la colpevole tragedia di cui ricorrono i sessanta anni, a far da sfondo ad alcune delle quindici storie, tra Veneto, Friuli e Trentino, raccontate a Vittorino Mason, scrittore, alpinista e anche poeta, dai 'custodi della montagna', gli ultimi - troppo pochi. “Gente sagace e saggia che sa fare del poco tanto e di due patate una minestra. Uomini semplici che tengono la parola stretta nel silenzio e si riconoscono nella terra in cui vivono”, che hanno offerto allo scrittore la loro testimonianza originale di un mondo che è a rischio scomparsa ma che ancora offre ricordi capaci di farci guardare al futuro con speranza e non solo nostalgia. Certamente non è un caso che molti dei personaggi che animano il libro abbiano avuto come sfondo della vita quella diga, quel monte, quei paesi inghiottiti dall’acqua. Ricorre il ricordo dei morti, tanti. Un legame indissolubile che ha segnato i destini di donne e uomini, amici, parenti, famiglie o di persone che neanche si erano mai conosciute.

"I custodi della montagna.
Vite di ingegno,
calli e silenzio"
Vittorino Mason
Ediciclo editore
euro 17
“I custodi della montagna. Vite di ingegno, calli e silenzi” è il titolo del libro edito da Ediciclo che Mason ha voluto dedicare alle compagne maestose di una vita avventurosa, le montagne, e agli abitanti di esse che gli sono stati fonte nel ricostruire storie ed avventure. Forti, solidi testimoni di una civiltà che rischia di scomparire soffocata dalle opere aggressive degli uomini e dalla loro incuria colpevole. Dall’indifferenza con cui spesso viene avvicinata, con un senso di possesso e di conquista e non di scoperta e difesa. Nasce da qui la necessità di salvare il ricordo di una genìa di umani in via di estinzione, proprio i custodi della montagna che danno il titolo, cercando di “mantenerli in vita con un po’ d’inchiostro”. Almeno.

Storie raccolte grazie ad incontri fortuiti, così per caso lungo i sentieri, o ricercate nel luogo dove esse si sono svolte. Per i protagonisti che sono morti l’autore ha fatto ricorso alla tradizione orale nell’ambito delle famiglie d’origine, sempre più ridotte dalla fine ineluttabile degli anziani, o agli sbiaditi ricordi di chi ha scelto la fuga in città trovando il coraggio di staccarsi (con tanta nostalgia) dai sentieri, dai monti, da ripetitivi gesti e funzioni. I ricordi della compagnia leale e proficua degli animali. Il latte da trasformare in formaggio per sopravvivere in un’epoca in cui la carne era più che un lusso. Gli alberi da far diventare suppellettili o assi per il ripristino dei tetti o la costruzione di una nuova casa o di una stalla. L’erba da tagliare e i giunchi da intrecciare. Le ceste indispensabili per raccogliere ogni cosa. La legna necessaria d’inverno per un fuoco di sopravvivenza mentre fuori nevica. Calli alle mani per necessità, per resistere. Vite sempre in salita. Con fatica anche quando il sentiero lo fai in discesa.

Gli uomini, le donne di cui Mason ha raccolto storie e vita , quelli delle Terre alte che tengono a distanza il forestiero, prendono per mano il lettore e lo portano lassù su vette ormai anch’esse in sofferenza nel disastro ambientale che sta devastando il mondo. Molta nostalgia in un futuro incerto. Ma anche guizzi di speranza. Nel libro c’è la Giota che con una grande cassettiera in spalla e un paio di scufons ai piedi partiva da Erto e passava da un paese all’altro per vendere biancheria intima, merceria e mestoli di legno fatti a mano. O Agostino da Soffranco, cacciatore e guardiacaccia ma anche malgaro a Casèra di Cornia. Le Gaie di Erto, le due sorelle Polonia e Maria, che giravano con le gerle sulle spalle cariche di fieno falciato su in montagna per le poche vacche che avevano in stalla e Beppino de Giambon, un sopravvissuto del Vajont che ha insegnato a Mauro Corona a mungere le vacche e usare la sgorbia.

E poi Genesio da Vezzano, boscaiolo, muratore, cacciatore; e Isolina da Fusine, una vita di solitudine lavorando la terra e filando la lana per farne pantofole. La gente di Lasèn che nel 1921 cavò ghiaccio dalla montagna per salvare la produzione del birrificio e poi Enzo di Astragal, il gelataio che allevava piccioni. Non sono che alcuni dei personaggi trovati, scoperti, riportati ad una nuova esistenza da Vittorino Mason nelle pagine del suo libro. L’invito è a scoprire in quelle pagine gente e civiltà che poco hanno subito il mito della grande città che tanto condiziona i più. Ai “custodi” non togliete l’ombra lunga delle montagne.
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