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Dall'Emilia
a San Pietroburgo

Via dall'occidente
alla ricerca
dell'autenticità

Una recensione di
FABIO ZANCHI

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“Parto per non sentirli più i vostri discorsi” si legge sulla quarta di copertina. Più chiaro di così Tiziano Bisi, autore di “Dalla via Emilia a San Pietroburgo”, non sarebbe potuto essere. Ed è un viaggio lunghissimo, il suo. Condensato in 365 pagine in cui non c’è niente, ma proprio niente di turistico. Il filo rosso, nobile, è quello della letteratura russa, Dostojevskij, Puskin, Achmatova, Gogol. Il mezzo preferito, quello più avventuroso: il pullman delle badanti che dall’Occidente tornano a casa. La lingua, quella aspra, rabbiosa e tormentata che gli fa dire anche cose che potrebbero risultare sgradevoli. Del tipo: “Mi sono stancato del modello occidentale. Ma non vado dove vanno gli italiani. Gli italiani non vanno mai dove vado io. Per me il viaggiare è un atto sacrale. Mistico. È uno stancare il corpo. Uno sfiancare i muscoli. Un disintegrare la mente. Mentre gli italiani che sono gregge di pecore manipolate, che sono manichini, che sono individui consumatori, vogliono andare da A e B nel minor tempo. Prediligono le comodità. Vogliono la vita comoda”.


"Dalla via Emilia a San Pietroburgo"

Tiziano Bisi

Quodlibet edizioni
euro 17,10

L’origine del suo impulso (fortissimo) a viaggiare sta in un disgusto notevole dei suoi simili. Lo dice lui: “Dopotutto, in Italia, non rimane nient’altro da fare oltre alle otto ore in ufficio. Nient’altro che un lavoro meccanico da muli! Tu, animal laborans, non te ne accorgi. Eppure i padroni, i colleghi persino, ti derubano degli anni migliori. Gli amici si aggrappano a un lavoro purchessia. Tumulati come scimpanzé in una banca, una fabbrica, un ufficio postale, una scuola pubblica. Ci guadagnano niente”. E allora? “Io pianto tutto e tutti in asso. Mi tolgo dai piedi. Fuggo di qua. È il mio sogno. Addio!”



(Lungo la via Emilia)


Parole eccessive, non c’è dubbio. Eppure Bisi le ha messe davvero in pratica. E questo libro racconta le sue esperienze di viaggio dal 2008 agli anni del Covid. Prima di quella data, ha prevalentemente vissuto on the road, girando per il mondo, disdegnando il più possibile l’aereo. Alla ricerca dell’autenticità perduta – sono parole sue – stanco del modello occidentale si è diretto nell’Est Europa. Unica bussola, la letteratura. L’obiettivo: acquisire qualcosa che non si può avere restando sempre fermi dove si è nati. È così che si è regalato un’esperienza di viaggio “scomposto, esperienziale”. Per niente turistico.



(San Pietroburgo)


Nella sua visione estrema Mosca era una tappa troppo poco interessante. Meglio San Pietroburgo: più affascinante, dove si possono fare esperienze particolari, nei luoghi di "Delitto e castigo", tra facce kirghise, tagike, turkmene e notti passate in letti senza materasso “bersagliato da zanzare che nidificano nelle crepe del soffitto”. A qualcuno potrebbe suscitare perplessità questo vagare tra scomodità evidenti e pensieri inquietanti (“Una rivoluzione senza plotoni di esecuzione non ha alcun senso”: citazione di Lenin gettata lì, tra una riga e l’altra). E però Tiziano Bisi, in una delle tante interviste cui si è sottoposto dopo che il libro uscì, ha chiarito che lui nei suoi viaggi cerca “l’uomo nero. Per portare alla luce quello che era nel profondo della mia coscienza occidentale. L’attenzione è puntata su chi è borderline, contro la lobotomizzazione del genere urbano”. Di qui i suoi incontri con i barboni, i reietti che compaiono numerosi nel libro.

Ne esce una mappa senza confini, che va da Bologna a Murmansk e Teriberka, suggestiva per i richiami storici e letterari, in un itinerario che di tortuoso non ha soltanto le vie infinite che l’uomo percorre alla ricerca di se stesso.

Nota finale: il libro, che ha un timbro fortemente tendente al nero, è dedicato a “Giuliana e a Enrico, i miei cari genitori. Con amore e gratitudine”.




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