Alessandra Agnoletti:
"Frammmenti di tempesta"
Edizioni LA GRU, 2023
Potrebbe essere utilizzata da subito per dare corpo al titolo schilleriano Sulla poesia ingenua e sentimentale, questa raccolta di Alessandra Agnoletti. In realtà è un po’ una storia capovolta, il diagramma sinuoso di un amore che appare a rigenerare stanchezze ma che non fomenta alcuna ascesa.
Vive di pause e distanze, di esaltazioni per il corpo amato in uno slancio che a volte appare unilaterale, quasi incredulo come incredule sono le parole per dirlo, essenziali, a volte infantili, come per gli amori inattesi di Sandro Penna ma con meno sensi di colpa, con un gioco costante al monologo affettuoso in assenza.
Così la prima parte trascorre tra lo stupore della riscoperta amorosa e il racconto delle attese ripetute.
Non resterò a guardare sulla porta
La nebbia all’orizzonte:
aprirò quella finestra sul retro
al tramonto
ritrovando la via dei campi.
Ma nessun lieto fine per questa storia rubata ad un tempo medio, anzi. In una sorta di canone inverso, l’amore non decolla ma sparisce, con lo stordimento che ne consegue, e da lì la discesa agli inferi della solitudine ritrovata senza averla scelta, il vuoto dell’assenza.
Una volta
mi sono sentita amata,
al sicuro, avvolta (…)
E ancora:
Accanto a te
non provavo
fame né sonno
E lo stordimento si fa immobilità, stupore fissato al paesaggio ormai insignificante
Rimango qui
Inebriata dai fiori di loto
A tre ore di orologio da te
Poi al centro della storia un moto di ribellione, una presa di coscienza, la svolta (e probabilmente il testo più intenso della raccolta):
Non ho voglia di restare
smarrita
nel conflitto
svilito
della realtà.
Io dico
lui dice
nessuno ascolta.
Così si risale, si esce dal vuoto smarrito, si contempla la solitudine come una constatazione dell’essere vivi e feriti. Però le ferite del solitario sono strade percorse da un’umanità dolente.
File di formiche
percorrono le sue ferite
come strade nel deserto.
Così si ritorna. Alla casa natale, agli affetti di sempre, alla figlia, al padre, al paesaggio familiare. A questo ritorno corrisponde, nella terza parte, un cambio dei suoni, un passaggio, si immagina ironico e voluto, a rime fanciullesche, essenziali, le trite parole di Saba, però consapevoli, a raggiungere un happy-end di rime sonore e una nuova consapevolezza.
I luoghi che visiterò
non saranno infiniti
come il desiderio
che avrò di esplorare.
I compagni di viaggio
non saranno numerosi
come le volte che ho desiderato
condividere con qualcuno
il mio dolore.
Ma le speranze
saranno più grandi
delle piccole gioie passate
e come lucciole nell’oscurità
brilleranno
non lasciandomi
mai sola.
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