Arrivo nella città di Aswan sulla sponda orientale del Nilo; la città più a sud dell’Egitto, vicino al Tropico del Cancro. La luce aumenta, la temperatura sale e il Nilo cambia aspetto. Vedo dune di sabbia colossali che costeggiano la sponda opposta, il fiume si allarga puntellato da una moltitudine di scogli di granito e di isole. Alcune sono riserve naturali protette, poche sono abitate. Cerco di capire cosa vuol comunicare il fiume in questo slargo naturale, forse il più bello e luminoso, perché il Nilo detta la vita e qui raggiunge la sua massima espressione.
Aswan è la città più colorata e più calma del Paese, ma non è piccola, gli abitanti sono oltre 400.000. La chiamano 'il gioiello d’Egitto' e prima ancora di scoprirla si intuisce perché. Il miscuglio di storia e di modernità si rivela via fiume, tra le isole, in un via vai di traghetti e feluche.
Questa era la zona che marcava il confine col territorio nemico della Nubia, il regno di Kush. Un crocevia di carovane di elefanti che arrivavano dal sud portando oro, pelli di leone, piume di struzzo, zanne d’avorio e schiavi; prima per i faraoni, poi per gli harem del Cairo islamico.
Già dalla fine dell’800, dopo l’epoca coloniale, la città iniziò a diventare una località di villeggiatura invernale per le classi benestanti europee. Non c’è da stupirsi, viene voglia di restarci a lungo anche oggi.
Con una feluca attraverso il fiume in un vero e proprio slalom tra isolotti e imbarcazioni, per raggiungere l’isola Elefantina. È la più importante; in epoca faraonica, nel 3.000 a.C. era qui l’insediamento pricnipale della città. Si chiamava Swenet, i copti la ribattezzarono Suan, poi in arabo Aswan, che significa commercio. La città si faceva scudo della turbolenza delle correnti del fiume per proteggersi dagli attacchi dei nemici con l’aiuto di Khnum, il dio delle cascate con la testa di ariete, che sorvegliava il Nilo.
L’insolito nome non ha niente a che fare con i mammiferi. Nessun elefante vive sull'isola. Si pensa che provenga dalla forma dei macigni di granito grigio, nella parte meridionale, che fanno pensare a elefanti in ammollo nell’acqua; qualcuno lo attribuisce alla forma dell’isola, che ricorda una zanna.
A pochi passi dal porticciolo, una piccola scalinata conduce al giardino botanico. Lo realizzò Lord Kitchener quando gli fu assegnata l’isola nel 1890, una volta terminato il servizio per l'esercito anglo-egiziano, di console generale britannico. Si resta a bocca aperta, e la testa si allunga verso l' alto, da farsi venire il torcicollo, per vedere la sommità delle palme reali, sicomori, dum e di ogni altro tipo di pianta. A distanza di più di un secolo gli alberi giganteschi continuano a far mostra di sé in un ambiente stupendo.
Inoltrandosi nell’isola si vedono il Tempio di Khnum e i resti dei templi di Thutmose III e Amenhotep III, distrutti da Muhammad Ali quando impose la religione musulmana.
Ma quel che fa la differenza, e che caratterizza l’isola, è la quieta presenza dei nubiani. Si incontrano ovunque. Nel giardino botanico famiglie intere sostano all’ombra, mentre frotte di bambini vanno incontro ai turisti con il sorriso, per salutare e fare un selfie ricordo. I nubiani sono belli e affascinanti, con la pelle scura, i lineamenti pronunciati e gli occhi chiari, in molti casi azzurri; una fisionomia che li rende differenti dal resto degli abitanti dell’Egitto.
“È il popolo più antico, onesto e gentile dell’Egitto” - spiega la guida - “sono i primi abitanti dell’Africa sub sahariana della valle centrale del Nilo, con una tradizione e una lingua proprie, che mantengono vive ancora oggi. Vivevano più a sud; sono stati costretti a trasferirsi quando fu costruita la Grande Diga. I loro villaggi ora sono sommersi dall’acqua.”
Sulla collina che sovrasta l’isola Elefantina sul lato occidentale si vede il Mausoleo di Agha Khan III (il Sultano Muhammad Shah, morto nel 1957), costruito in granito rosa, mentre la tomba è di marmo bianco di Carrara. “Il motivo per cui l'Aga Khan venne ad Aswuan” - racconta la guida come consiglio per qualcuno di noi un po' agée - “è che soffriva di dolori ossei e reumatismi, motivo per cui stava sulla sedia a rotelle. Dato il fallimento dei più grandi medici del mondo, uno dei suoi amici gli suggerì di visitare Aswuan per il clima mite in inverno. Gli anziani nubiani, esperti di medicina, gli consigliarono di seppellire la metà inferiore del corpo nella sabbia tre ore al giorno per una settimana. Il Sultano seguì alla lettera il consiglio e dopo sette giorni tornò in albergo a piedi.” Sarà pure una favola, di certo il posto lo è.
Il villaggio nubiano vero e proprio, Nagaa Suhayl Gharb, è più a sud del Mausoleo sulla stessa sponda. Le case si vedono dal fiume e sono particolarissime. Una massa di mattoni colorati, uno accanto all'altro, dipinti in colori vivaci che si riflettono nell’acqua del fiume. Un contrasto forte con la sabbia gialla del deserto alle spalle.
Tutto cambia procedendo ancora verso sud. Il caldo è sempre più secco e il Nilo diventa inespressivo, come un canale gigantesco. La corrente non c’è, l’acqua è ferma. Sono sulla strada che attraversa la vecchia diga in cui anche l'Italia, dopo gli inglesi, ha messo le mani con i suoi ingegneri. Provo un sentimento di tristezza, anche se questa costruzione ha risolto molti problemi per quasi cinquant’anni. Proseguo sulla Aswan-Abu Sìmbel Road per una decina di chilometri e il panorama è decisamente diverso.
Se si attraversa l’autostrada, guardando a sud, si può intravedere il profilo delle Crocodiles Islands e dal lato opposto, in lontananza, quel che resta dei templi di File. Proprio sotto di me, a poche centinaia di metri, le barchette a vela del fishing club di Aswuan si allontanano verso il largo, in quello che non sembra un lago ma un mare vero e proprio, il Lago Nasser.
Ora sono sulla Grande Diga di Aswan (Sadd el-Ali) a oltre 800 km dal Cairo e a 80 dal confine con il Sudan. Le dighe sono due ma la Grande Diga è un’opera monumentale impressionante. Contiene quasi 20 volte la quantità di materiali da costruzione utilizzati per la Piramide di Cheope. Se l’Egitto è stato sempre ammirato per i monumenti antichissimi, la Grande Diga è un’opera di ingegneria moderna tra le più importanti a livello internazionale. Il simbolo della nuova era.
Qualche numero per capire l’imponenza dello sbarramento e la pressione che deve sopportare: è lunga 3.600 metri, alta 111, con una base di un chilometro che ospita i tunnel per 12 turbine. Metà della produzione genera elettricità per il fabbisogno nazionale, l’altra è utilizzata per l’irrigazione agricola.
La visita è consentita, si può fotografare ma sotto la presenza vigile delle guardie armate. Le colline intorno sono piene di antenne, radar e missili; se la Diga cedesse, gran parte del territorio egiziano verrebbe spazzato nel Mediterraneo. All’estremità occidentale si innalza una gigantesca torre a forma di fiore di loto che stride con paesaggio circostante. Si tratta del monumento all’amicizia dell'accordo tra Egitto e Unione Sovietica per la costruzione della Diga.
Se i benefici della Diga sono stati enormi per gli egiziani, le conseguenze ambientali negative lo sono state altrettanto. Per citarne qualcuna, la diminuzione della produttività della pesca lungo il fiume; della fertilità dei terreni a valle della diga, perché senza inondazioni il limo non raggiunge il suolo; la scomparsa di specie che migrano lungo il corso del Nilo e l’aumento della salinità delle acque proveniente dal Mediterraneo.
Infine, lo spostamento dei monumenti che sarebbero stati sommersi dall’acqua del Lago Nasser in posti più sicuri. Quello del Tempio di Abu Sìmbel ha richiesto un’imponente operazione internazionale. Talvolta l’uomo riesce a imporsi, sfidando la ciclicità naturale degli eventi, senza provocare danni.
(4. fine)