Penso che un'opera d'arte, o una mostra che ne raccoglie tante, sia una casa che un autore invita ad abitare. Anche se non è lì ad aprirti la porta, la chiave per entrare è già nella serratura, o a portata di mano. Basta sollevare il tappetino, guardare nella ciotola di fiori accanto all'uscio o sopra lo stipite.
La mia è in un quadro, che ho aggiunto alla mostra “Le tele di Penelope”, che fa tappa a Roma al museo Andersen, dopo aver esordito in uno stupendo ex convento medioevale di Salerno. Un'edizione riveduta e corretta. Un altro doppio sogno. Il mio e quello di Penelope che trascino in questa nuova avventura.
Entrambi ci ridestiamo ammaliati e spaesati di fronte allo spettacolo delle statue giganti, custodite nelle sale al piano terra, che per anni un visionario scultore ha continuato a modellare e rimodellare inseguendo il miraggio di una città ideale di pace e bellezza. Una profezia irrealizzata di vittoria che ci aggredisce e ci annega, come l'eco di una guerra che non finirà mai. Nel pozzo delle nostre sconfitte.

Quella di Penelope è la sensazione di essersi arresa al suo destino di moglie in attesa, proprio mentre cominciava a scoprirsi diversa: aver accettato il massacro dei Proci e la vendetta di Ulisse consumata con il linciaggio delle sue ancelle, e aver collaborato a nasconderne le tracce.
Il quadro di cui parlavo nasce da qui. Si intitola “Il fulmine sepolto”. È una suggestione rubata ad una mostra di antichi bronzi votivi ancora in scena al Quirinale. Vengono da un tempio annesso a un complesso termale a S,Casciano. Un santuario abbandonato, le sue reliquie sepolte, proprio dopo la caduta di un fulmine. La maledizione di un Dio infuriato, colto in fallo nella sua impotenza a esaudire le speranze di guarigione racchiuse negli ex voto dei malati che lo invocavano immergendosi in quella piscina termale. Quei tesori riemergono come se gli scavi archeologici avessero segato le sbarre di fango che li imprigionavano. Tesori che non aspirano alla bellezza dell'Olimpo, ad un'immortalità da superuomini ma raccontano la tragica forza della fragilità e dell'imperfezione di noi mortali qualunque.