VENGO ANCH'IO
VIDEOTRIBUTO
A JANNACCI
E I SUOI PARD

La testimonianza più sorprendentemente affettuosa è quella di Vasco Rossi, profondo conoscitore dell’opera omnia di Enzo Jannacci che rievoca, spesso commuovendosi, in un’appassionata dichiarazione di amore e di riconoscenza totali. Alla figura e all’opera di Enzo Jannacci è dedicato il bellissimo film di Giorgio Verdelli “Enzo Jannacci-Vengo anch’io”, che racconta come nessuno mai il fascino assoluto della complessità umana e artistica di un poeta, guitto, saltimbanco, medico, genio infinito delle patrie musiche e non solo. Una persona, per rubare il verso di una canzone di Fabrizio De André, vocata e votata a vivere e a creare in “direzione ostinata e contraria” come nessun altro.



Se il filo rosso conduttore è affidato al figlio Paolo, che conferma nei confronti del padre non solo il fortissimo legame di sangue ma anche e soprattutto la complicità tra musicisti che insieme, sul palco e nella vita, hanno condiviso momenti di perfetta creatività, ci sono poi le testimonianze degli amici/complici di sempre come Cochi Ponzoni, Diego Abatantuono, Massimo Boldi e Paolo Rossi, ai quale si deve un’aneddotica impareggiabile di momenti e situazioni condivise con il grande Enzo. E non mancano, in un ricchissimo recupero di immagini di repertorio vario, i rapporti fraterni con Giorgio Gaber (l’un per l’altro Nasone e Cialtrone, come narra la leggenda) e Dario Fo, compagni imprescindibili di un lungo viaggio che ha attraversato gran parte della seconda metà del nostro ‘900.



Ci sono poi i duetti straordinari con Guccini e Ligabue, lo stesso Vasco Rossi e Claudio Bisio, Mia Martini e Milva, per non dire della curiosa presenza in trio con Eros Ramazzotti ed Enrico Ruggeri. Su un tram, insostituibile e milanesissimo mezzo di locomozione, viene raccolta la testimonianza di Roberto Vecchioni che considera Jannacci come il più grande cantautore della nostra musica, perché unico per creatività e per spiazzante vitalità. Sempre Vecchioni sostiene che il tram sia una perfetta metafora della vita: la gente sale (nasce), scende (muore) e nel mezzo un flusso interminabile di volti e di corpi che accompagnano il viaggio.



Sullo stesso tram sale anche Paolo Jannacci per accompagnarci in un viaggio simbolico nelle vie di Milano, con sovrapposizione di immagini più antiche dove su altri tram compariva lo stesso Enzo. Tra gli amici scomparsi non poteva mancare la figura di Beppe Viola, forse il più complice tra i complici, a cui si deve per altro una mitica intervista a Gianni Rivera, realizzata naturalmente su un tram. Del resto Gianni Rivera è persino citato in una delle canzoni più struggenti e impegnate di Jannacci, quella “Vincenzina e la fabbrica”, asse portante della colonna sonora del film di Monicelli “Romanzo popolare”, per il quale Jannacci e Viola collaborarono anche alla sceneggiatura. Uno dei più bei film del cinema italiano, come sostiene a ragione Diego Abatantuono. Al tifo calcistico in veste rossonera è ispirata pure la testimonianza del grande bluesman Fabio Treves che, accanto a Jannacci, frequentava lo stadio di San Siro, rigorosamente nel settore “Popolari”.



Il film di Verdelli corre via per 97 intensissimi minuti in cui si respira tutta la straripante geniale umanità di Jannacci, le sue bizzarrie, le sue idiosincrasie, le sue spesso contradditorie convinzioni. Tra i ricordi, che si intrecciano a restituire una personalità ricca di sfumature, spicca quello di Paolo Tomelleri, jazzista insigne, compagno di mille esibizioni, che rievoca un esilarante episodio accaduto a Norimberga alla fine degli anni ’50 del secolo scorso, quando con Jannacci e Luigi Tenco, tra gli altri, costituivano la band che aveva accompagnato Adriano Celentano in una breve tournée in terra tedesca. A Dori Ghezzi spetta di ricordare l’amicizia di Enzo con Fabrizio De André. Oggi per la Siae, dopo qualche tribolazione di percorso, la canzone “Via del campo” risulta essere composta da De André per il testo e da Jannacci per le musiche.



In tutta questa affascinante e strabordante materia, Giorgio Verdelli, giornalista di lunghissimo corso, si muove con sapienza e partecipazione, districandosi anche con creatività visiva, tra le infinite sfaccettature del personaggio per il quale si intrecciano comicità e tragedia, ironia e dramma, grottesco e poesia in una gamma di colori di linguaggio che spesso rasenta la follia pura, tipo il sublime verso “Silvano Non Valevole Ciccioli” che si offre per l’interpretazione di una intera équipe di esegeti.

Se un peccato veniale va indicato è quello di non aver dedicato spazio allo Jannacci degli esordi, quando si esprimeva esclusivamente in lingua milanese. Componimenti come “Ti te sé no”, “M’han ciamà”, “Andava a Rogoredo” o “Sei minuti all’alba” fanno parte di un’autentica antologia poetica che il film ha un po’ trascurato. Non mancano invece tutte le sue canzoni più note al grande pubblico, si ascolta persino un inedito, ci si diverte alle elucubrazioni del dr Jannacci e della sua compagnia cantante e recitante. Non poteva certo mancare poi Paolo Conte che con Jannacci ha condiviso canzoni, emozioni e clima culturale.



Peccato che il film sia stato programmato nei cinema solo per l’11, 12 e 13 settembre. Urge recuperarlo attraverso altri canali per cantare in coro le canzoni e applaudire alla fine della proiezione per tanta, persino sconcertante commozione. Si segnala, per pignoleria, una curiosità: nei titoli di coda la ballata “Addio a Lugano”, interpretata nel film da un inedito quintetto composto da Gaber, Jannacci, Silverio Pisu, Otello Profazio e Lino Toffolo, viene attribuita a Fausto Amodei (che l’ha più volte cantata), mentre l’autore del testo (1895) è notoriamente Pietro Gori, che si avvalse per la melodia di una musica popolare. Ma tant’è. Giusto a chiusura del film, compare la bella faccia di Renzo Arbore che senza titubanza alcuna afferma che Enzo Jannacci è il numero uno in assoluto. Anche grazie al film di Verdelli è veramente difficile dargli torto.

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