CAPITAN FRACASSA
RISCOPRIRE
UN FILM DI SCOLA

Si può scrivere una specie di recensione a un film uscito oltre trent'anni fa? In questo caso l'occasione può essere l'anniversario dei 70 anni di Massimo Troisi, che grazie a Mario Martone ha fatto ricordare che il più anticonformista tra gli attori napoletani vestì anche i panni della più tradizionale maschera napoletana: Pulcinella.



Si tratta de 'Il Viaggio di Capitan Fracassa' di Ettore Scola, del 1990. Un film che vive di atmosfere, citazioni ironiche, variazioni sul tema, aperti anacronismi. La riscrittura cinematografica del romanzo di Théophile Gautier avviene infatti attraverso il richiamo all’opera 'Il Convitato di pietra' di Giacomo Tritto, compositore napoletano del ‘700, per ritagliare su Massimo Troisi il personaggio originario di Scapino trasformandolo in un Pulcinella-Leporello. Scola cioè retrodata la commedia di Tritto (e implicitamente lo stesso Mozart-Da Ponte) di oltre un secolo con una forzatura a prima vista bislacca, ma a ripensarci neppure troppo insostenibile, visto che di un secolo prima era proprio l’opera-matrice di Tirso de Molina.



Alla splendida ultratrentenne Ornella Muti nel ruolo di Serafina si fa esplorare fino in fondo la sua vena malinconica, in un sensuale antagonismo con la giovanissima e candida Isabella - Emanuelle Béart, per la prima volta in una produzione internazionale. Tutti gli altri interpreti compongono un cast sontuoso: Vincent Perez nel ruolo di Fracassa, Ciccio Ingrassia, Remo Girone, Claudio Amendola, Jean-François Perrier, Giuseppe Cederna (prima della rinoplastica, tanto da fare apprezzare meglio le varie battutacce sul “nasino” di cui finisce vittima nei successivi film di Salvatores) e vari altri, con Renato Nicolini in un ruolo minore.



Il cerusico che dopo la visita al Barone ferito, alla domanda se sarebbe sopravvissuto, se ne va dicendo “adda passà ‘a nuttata” già nel 1600 l’ho trovata una battuta geniale. Tuttavia, leggere le critiche apparse all'epoca dell’uscita del film, con in testa il caposcuola Morandini, passando per Kezich e vari altri, crea un moto di sorpresa: poiché ci si trova di fronte ad osservazioni impietose, analisi demolitive, talora giudizi feroci. Ma il dato interessante è che si criticava nello Scola del 1990 certi modi, scelte e forme espressive, che sono progressivamente diventate dominanti nei decenni successivi.



Il teatro nel teatro, e il cinema sul teatro, con gli stessi protagonisti che non riescono a uscire dalla parte nella vita, in un gioco di specchi che quasi stordisce lo spettatore; un passato immaginario che ammicca alla favola e al presente, più che al realismo della rappresentazione storica; un film interamente girato a Cinecittà, con fondali volutamente a vista ed effetti cinematografici primitivi - la nebbia, la pioggia, la neve - e tanto altro che all’epoca fu considerato poco più che un esercizio di stile. Forse aveva agito un sistema di aspettative: questo film, infatti, non raggiunge i vertici di 'C'eravamo tanto amati', 'Una giornata particolare', o 'La famiglia'; non è davvero un film storico, come 'Il Mondo nuovo' dello stesso Scola, ma neppure ammicca ai film fantastorici di Monicelli o alle atmosfere oniriche di Fellini. In realtà, non solo nella produzione di Scola, sembra un’opera del tutto eccentrica e originale.



In realtà, pare che Capitan Fracassa fosse un’ossessione del regista di Trevico. Del resto, la morte per inedia di Matamoro già compariva ne 'La Terrazza', con la neve finta e il resto (a proposito, ma quanto c’è ne 'La Grande Bellezza' de 'La Terrazza'? Per molti versi ne sembra il sequel). Pare che quando Scola era bambino, durante la guerra, fosse solito leggere il romanzo di Capitan Fracassa al nonno ormai cieco: era diventata evidentemente la sua madeleine.

Peraltro, è il film che conclude la collaborazione di Troisi col maestro irpino, dopo 'Splendor' e 'Che ora è', e la scena finale come Pulcinella davanti a un pubblico di popolani nella Parigi del XVII secolo è decisamente memorabile. In un'epoca nella quale i film pretenziosi, inutilmente verbosi, privi di verve, gelidi, sono presentati al pubblico come capolavori irripetibili, fa veramente specie che un film come questo, che certo già risente dell'estetica postmoderna, sia stato così clamorosamente stroncato dalla critica (pure con stilettate francamente fuori luogo verso un maestro del cinema italiano). Però, a leggere i blog di cinema contemporanei, si scopre che questo film così bistrattato a suo tempo in realtà ora comincia a conquistare un suo pubblico tra i giovani, e viene annoverato tra i classici.

E non sarebbe neanche la prima volta che succede una cosa del genere.

Press ESC to close