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FISHERMAN's
VILLAGE
HAPPy HOUR
A TUTTE LE ORE


testo e foto
di MANUELA CASSARÀ
e GIANNI VIVIANI

11 gennaio 2023

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Tutto sembra vicinissimo in questa piccola isola nel mezzo del Golfo del Siam, di poco più grande della nostra Elba; poi sali su un taxi e scopri che ti costa esattamente quanto all'Elba, anzi in proporzione pure di più.

Per questioni di età mista a un crescente senso di precarietà, abbiamo da subito scartato il motorino, il mezzo più popolare e economico. Abbiamo anche pavidamente sbagliato a non affittare una macchina, scelta che ora ci è preclusa, non essendoci dotati della necessaria patente internazionale.

Col senno di appena una settimana, se mai torneremo a svernare, credo che l'affitteremo, e soprattutto ci sposteremo a sud o a ovest, dove un mezzo è indispensabile per essere autonomi e apprezzare quei luoghi rimasti affascinanti.


Il nord di Samui, i lati est e l'estremo nord est, dove ci troviamo - da dove è da poco partita pure Hilary Blasi, non so se mi spiego - sono quelli più inflazionati turisticamente. Il che è un bene perché garantisce varietà ma anche un male che ha cambiato i connotati a quest'isola la quale, una ventina di anni fa, era sicuramente paradisiaca.

Fisherman's Village, al centro della costa nord, viene descritto come un caratteristico villaggio di pescatori, cosa che forse era agli albori. Oggi è un lungo percorso pedonale, in quello che sarebbe un lungomare, se non fosse che il mare lo s'intravede solo attraverso le entrate dei locali che lo fiancheggiano e che offrono, in un'alternanza senza soluzione di continuità, Happy Hour a tutte le ore, eleganti ristoranti con pesce e frutti di mare in bella vista, boutiques di bikini e frivoli vestitini genere "acchiappo" da discoteca, ripetitivi negozi di souvenir, esotici centri massaggio riconoscibili per la montagna di sandali di ambo i sessi abbandonati all'entrata, dove giovani massaggiatrici dall'aspetto fragile e innocuo aspettano solo di metterti sotto le loro delicate manine per strapazzarti fino a farti rinascere.



Più a sud c'è Chaweng, altro agglomerato urbano, cresciuto parallelo alla famosa spiaggia omonima, una spettacolare ansa ampia tre chilometri. Oltre a quanto sopra, Chaweng ospita la Central Festival, una grande Mall dove si può trovare di tutto e di più, da H&M a Uniqlo, incluso un fornitissimo supermercato di cibo occidentale, dai formaggi francesi al panettone nostrano. Ma soprattutto, a Chaweng, c'è vita. Ci sono un buon numero di sport-bar rumorosi, con cameriere in divisa da cheerleader, un paio di cabaret en travesti' genere La Cages Aux Folle e, nelle retrovie laterali, bar per soli uomini in cerca di infelici donnine di facili costumi. Vero che è anche frequentata da famiglie stile fricchettone con prole al seguito e da amorose coppiette in vacanza, ma lo è soprattutto da maschietti in cerca di compagnia, anche se solo di bevute.

Una sfilza di alberghi a cinque stelle ospita per lo più danarosi turisti russi predisposti allo shopping finto firmato. Tutto sommato, per quel che vale, trovo Chaweng più burina, più equivoca, più incasinata del Fisherman's Village, perciò mi piace meno anche se ambedue per ora li alterniamo; ma datemi tempo di acclimatarmi e cercherò di scoprire posticini più defilati, meno scontati, contando sulle dritte di pagine Facebook come Koh Samui Lovers o Thailand Travel Advice Group, preposte ad aiutare sprovveduti par nostro.


Casualmente la prima sera avevamo scelto il Village. La fame da jet lag ci aveva spinto ad entrare nel primo ristorante dall'aspetto appetibile: "Thai Tapas", gestito da un francese nervosetto, un tipo schizzato a la Louis De Funes, solo più giovane e allampanato. Il cibo era buono, ben presentato, meno fusion di quanto il nome facesse supporre; malignamente mi verrebbe da dire che il concetto di "tapas" si riferiva più che altro alle minuscole porzioni. Un mojito al frutto della passione, una birra locale piccola, una forchettata di capelli d'angelo condita con due capesante di numero su un brodino al cocco, una ciotolina molto "ina" di un ottimo curry e ce la siamo cavata con l'equivalente di 15 euro a persona. Sette giorni e sette cene dopo direi che questa, finora, mi sembra la media serale.

Cifra che può dimezzarsi, o addirittura ridursi a un terzo se, come tutti i travellers che si rispettano consigliano, si opta per il cibo di strada, come abbiamo fatto noi venerdì scorso. Il "night market" per il quale il Village è famoso si ripete ogni lunedì, mercoledì e appunto venerdì.

 



Appena prima del tramonto il posto si popola di baracchini dove si mangia, e bene, con pochi bath. Anche i più guardinghi salutisti faticano a resistere davanti a quei gustosi "pad thai" preparati con destrezza da giocoliere, a quegli sfiziosi spiedini alla brace, a quelle croccanti fritture di gamberoni, alle enormi pannocchie arrostite, ai dolcetti di riso al cocco, alle crepe al "Nutello" (non sono solo le borse e gli accessori firmati ad essere "fake" in Tailandia). Per gli stomaci forti e lo spirito avventuroso ci sono anche insetti piccanti, larve fritte croccanti e persino degli inquietanti scorpioni impalati. Dopotutto, perché no? Meglio uno scorpione fritto che uno nel letto, dico io.

Si mangia e si beve parecchio. Un succo di cocco servito gelato qui costa solo 40 bath. Altrove, a noi è successo al bar della spiaggia, ce ne hanno chiesto 150: quattro euro per una cosa che magari ti cade pure in testa; questo mentre un vigoroso mojito o una margarita, qui al night market, ben fatti e ben serviti in un gran bicchierone, ne costavano solo 100, poco più di una spremuta o uno smoothies alla papaia, al mango o all'ananas, deliziosamente freschi e rivitaminizzanti.

Ma il cocco fresco tira di più. Oltre a farti un rabbocco di elettroliti, ti fa sentire subito ai tropici. E perciò lo paghi quanto il tuo desiderio.

 

L'odore della ganja si spande senza ritegno, un po' dappertutto, al market e non solo. La marijuana è diventata legale di recente, nel giugno del 2022; inutile dire che i negozi sono proliferati come funghi. Da ex sessantottina ogni casuale sniffata è un flashback di giovinezza.

Non manca nemmeno qualche metifica zaffata di durian, frutto che sembra un virus, dall' inconfondibile odore di aglio marcio, che però hai suoi intenditori, tra cui la sottoscritta, ma che davvero sa di putrido. Però, un po' come il cocco, fa subito Estremo Oriente, quindi un consiglio: tanto vale apprezzarlo, perché lo si sente solo a queste latitudini.

 

Conoscendo quanto il beneamato compagno di vita e di viaggi possa essere schizzinoso, mi ero portata avanti prima di partire indottrinandolo con "Street Food Asia", un documentario su Netflix che glorificava la bontà e l'affidabilità del cibo di strada tailandese dove, tra i baracchini di Bangkok, ce n'è persino uno che vanta una stella Michelin.

In qualche modo ha funzionato, perché la sera del suo primo night market il mio fotografo preferito ha spolpato senza un momento di turbamento o di ripensamento un sostanzioso vassoietto ricolmo di costolette ricoperte da un'appiccicosa e alquanto deliziosa salsa barbecue. Potenza della persuasione.



(2 - continua)

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