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TIMORASSO E TORTONA
I SEGRETI
DEL BAROLO BIANCO


di

NEREO PEDERZOLLI

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È un vino bianco tra i più bramati degli ultimi anni. Talmente singolare che sprona schiere di vignaioli a scommettere su un vitigno per certi versi sconosciuto, stanziale solo sul crinale di alcuni colli attorno a Tortona, zona vicino Alessandria che guarda il mare ligure. Perché il Timorasso - sul finire del secolo scorso - era una vite coltivata in appena 5 ettari, ritenuta “ancestrale, minoritaria, destinata a collezioni ampelografiche, pianta poco versatile, altrettanto ritrosa nella garanzia di sane vendemmie, per un vino semplice e di scarso valore”.

Una previsione drasticamente mutata, stravolta, nel giro di appena 20 vendemmie.

La conferma viene dal successo della recente Anteprima dedicata al Timorasso: DerthonaDue.Zero, rassegna che a Tortona sancisce legami tra il vitigno e l’omonima tutela della DOC Derthona.



Gli hangar della storica fabbrica di trattori Orsi hanno ospitato ben 53 aziende vitivinicole orgogliose di proporre il loro Timorasso, coltivato ora su quasi 300 dei 1300 ettari dei Colli tortonesi. Crescita esponenziale, per coltivazione e indiscutibile prestigio. Un successo di pubblico, di critica enologica, ma anche la dimostrazione che questo vino è davvero affascinante. Proprio così.

Basti pensare che nei primi anni del Duemila il Timorasso veniva proposto, in sordina, solo da un manipolo di vignaioli tortonesi, capitanati dall’istrionico Walter Massa, il primo e il più lungimirante custode di questa varietà. Con riscontri subito eclatanti. Spronando ad investire – “senza timore”, giocando sul nome della vite in questione - i vignaioli più intraprendenti, imprenditori agricoli e cantine, non solo del circondario di Tortona. A partire dai coltivatori stanziali dei Colli tortonesi, ma anche e specialmente dai più blasonati produttori delle Langhe, rinomati barolisti: l’intraprendenza viticola di questi ultimi nel cuore del Derthona non è casuale o dettata solo da mire commerciali. I geologi dimostrano come i terreni dei colli di Tortona siano praticamente identici ad alcuni “cru” delle Langhe. E ancora: il Timorasso ha una carica gustativa talmente autorevole che viene definito come “vino rosso travestito da bianco”. Al punto da essere chiamato il Barolo bianco.



Un vitigno unico nel suo genere, per certi versi ancora misterioso e proprio qui sta il suo fascino. Nessuna certezza sull’origine del nome - forse da timido o timorato, in quanto bisognoso di accorte cure colturali - neppure sui suoi legami varietali. Il DNA non riesce ancora a dimostrare legami con altre vitis vinifera. Qualche similitudine con il Sauvignon, ma senza precisi indicatori. In compenso è saldo il legame con Tortona. Lo confermano indagini geologiche e manuali di enologia medioevale.

Nei due giorni di manifestazione, Tortona è stata anche quest’anno teatro di molti appuntamenti, a partire dal grande banco di assaggio dove appassionati e operatori del settore hanno potuto degustare in anteprima i vini dell’annata 2021 proposti dalle 53 aziende presenti, per una produzione complessiva di poco più di un milione di bottiglie, ma con l’obiettivo di arrivare a tre in futuro. “Siamo davvero molto soddisfatti, questa manifestazione si è confermata un appuntamento centrale per diffondere la conoscenza dei vini Derthona ottenuti dal vitigno Timorasso” ribadisce Gian Paolo Repetto, presidente del Consorzio Tutela Vini Colli Tortonesi.



Suolo, microclima, artigianalità dei vitivinicoltori, ma anche vino che basa la sua singolarità sul tempo, la pazienza di accudire la vite rispettando il ritmo delle stagioni, mirare alla qualità, senza fretta proprio perché – ha ribadito Walter Massa, storico cultore del Timorasso – “è il tempo che sancisce la differenza”.

Il Timorasso dà il meglio di sé lungo le sei valli – Ossona, Grue, Curone, Scrivia, Borbera, Spinti – che da nord a sud disegnano questo territorio. Un’area molto vasta, caratterizzata da altitudini ed esposizioni differenti anche all’interno della stessa valle, e terreni argillosi, compatti, costituiti in molti casi anche dalle cosiddette marne di Sant’Agata Fossili, le stesse presenti lungo la dorsale che da Barolo arriva fino alla Toscana.



“Dobbiamo ancora iniziare a raccontare nel dettaglio tutta questa incredibile biodiversità” spiega Gianni Fabrizio, giornalista, uno dei curatori della Guida del Gambero Rosso, considerato il massimo esperto e conoscitore storico del Timorasso. Uno dei futuri compiti della critica sarà proprio quello di indagare tutte le singole caratteristiche che questo vitigno assume all’interno di un territorio così variegato e in grado di regalare così tante sfumature differenti.



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