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Filologia
di Massimo

Storia e piccole imprese
di un poeta-bambino
nell'antica Roma

Una recensione di
GIGI SPINA

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Chi ha letto l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters sa che rappresenta una sorta di controcanto letterario a un modello antico, quello delle iscrizioni funerarie incise sulla pietra, sia greche che latine, commissionate in genere dai parenti dei defunti (uso d’ora in poi il maschile sovraesteso) per ricordarne la vita, breve o lunga che fosse stata, e permettere che, lette dai passanti ad alta voce, ne prolungassero, anche se per un fugace momento, il ricordo. Iscrizioni che, nella forma letteraria, sopravvivono principalmente nell’Antologia Palatina, mentre per una raccolta più vasta di epigrafi si deve ricorrere a pubblicazioni filologiche, come quella di Werner Peek, utilmente tradotta in italiano col testo greco a fronte.


Filius piissimus

di Valentina Garulli



Dielle editore
11 euro

Solo che Edgar Lee Masters rovesciava lo schema greco e latino. Molte iscrizioni antiche sono in prima persona, come se fosse stato lo stesso defunto a ricordarsi per i posteri. La prima persona dell’Antologia di Spoon River è invece, nella maggior parte dei casi, tesa a smentire, a sconfessare quello che si poteva trovare scritto su ispirazione dei parenti. Chi studia con competenza e passione le iscrizioni funerarie antiche, come Valentina Garulli, dell’Università di Bologna, autrice dell’intenso volumetto "Filius piissimus" (edito da Dielle, Villafranca di Verona 2025), non può non chiedersi per molti testi se non nascondano inconfessabili verità, edulcorate da chi li ha dettati.

(Il monumento in piazza Fiume, a Roma)



Il sottotitolo del volume è: 'Quinto Sulpicio Massimo, il poeta bambino nella Roma del I sec. d.C.'. Partiamo quindi dalla fine, dai nostri giorni e dall’Epilogo (p. 55-58), da una realistica visita a un monumento accompagnata dalla voce esperta di una guida turistica.

Siamo a Roma, “nel terzo millennio dopo Cristo”, nella rumorosa piazza Fiume, proprio al centro, dove c’è una copia in gesso del monumento funebre di Quinto Sulpicio Massimo - presso il Museo della Centrale Montemartini, suggestiva sezione dei Musei Capitolini (via Ostiense 106) c’è l’originale. La voce moderna della guida spiega bene l’eccezionalità del monumento, costituito da una statua del giovane defunto e da una serie coerente di iscrizioni sia greche che latine. Si conclude con questo Epilogo il volumetto, non senza che una nota dell’autrice, seguita dai testi tradotti nel 2000 da Michela Nocita, abbia fornito tutte le informazioni necessarie a ritornare al succo del libro e ai nove capitoli che scandiscono la narrazione della vicenda tragica del giovane poeta.

Era dotato di un talento naturale, ma venne costretto dal padre a uno studio matto e disperatissimo per soddisfare le aspirazioni di ascesa sociale di una famiglia di liberti, cioè di ex-schiavi, depositari, nella Roma imperiale e non solo, delle chiavi per praticare e insegnare la cultura ai giovani cittadini liberi. I titoli dei capitoli aiutano a segnare le tappe del dramma annunziato: La mente nelle Muse; Ostia o “della libertà”; “Ti sia leggera la terra”; Libertà va cercando; La scuola; Il pubblico bando; Il grande giorno; “Dai giochi me ne andai nell’Ade”; Aere perennius.



Gli spunti per immaginare questa storia “verosimile” non sono molti, ma l’Autrice sa dove trovarli. Non sceglie la prima persona di Massimo per ricostruire il plausibile rapporto tossico padre ambizioso (Quinto Sulpicio Eugramo) / figlio devotissimo / madre succube e silenziosa (Licinia Ianuaria), ma la voce consapevole di una narratrice attenta alle diverse personalità. L’ambientazione, del resto, è ricavabile dalle iscrizioni stesse. Una famiglia di liberti di origine greca che ha visto nel figlio, soprattutto il padre, la prospettiva del riscatto completo, puntando sulla partecipazione molto precoce, a dodici anni, alle gare poetiche dei Giochi Capitolini, alla presenza dell’imperatore Domiziano.

Una famiglia che alla morte del ragazzo, altrettanto precoce, ricorda (nella iscrizione latina) la gloria conquistata al concorso, riportando addirittura i versi composti per l’occasione, in una delle tre iscrizioni greche. Le altre due ripetono schemi tipici della mors immatura e della gloria eterna data dalla poesia che sopravvive alla morte. Il monumento davvero insolito testimonia, infatti, la caparbia volontà di Eugramo di sfidare la morte, forse per mettere a tacere i suoi sensi di colpa.

A questi dati la narratrice aggiunge due membri della famiglia fondamentali nel tentativo di contrastare l’autoritario Eugramo, incapace di rispettare i tempi del figlio: la nonna Omonea, madre di Eugramo, che rende la lingua greca familiare al ragazzo, e lo zio Atimeto, fratello di Eugramo, che accoglie a Ostia il giovane poeta nei rari momenti di libertà in cui riesce a sentirsi ragazzo, mentre gioca con i cuginetti. Figure di contorno, come il medico Asclepiade, contribuiscono a rendere realistica, nella narrazione dell’Autrice, la vita di liberti di origine greca, orgogliosi della propria storia e cultura, nella Roma imperiale. Era stato Orazio a fissare in un famoso verso (il 156 della prima epistola del II libro) questo rapporto: Graecia capta ferum victorem cepit = la Grecia conquistata conquistò il selvaggio vincitore.



Il libro si legge tutto d’un fiato, perché la storia è avvincente: i paesaggi, le luci, gli odori, i pensieri nascosti si snodano fino alla tragica conclusione con una scrittura elegante, intensa e ricca di sfumature. Qualche corto circuito, cui non so resistere: il sole accecante che accompagna la performance di Massimo mi ha ricordato il sole e il vento che accompagnarono, come è documentato, la celebrazione dell’insediamento alla presidenza degli Stati Uniti di John Fitzgerald Kennedy, il 20 gennaio 1961. Robert Frost, il poeta scelto per l’occasione, non riuscì a leggere per intero l’inedita Dedication che aveva preparato e dopo qualche verso dovette ricorrere alla già prevista The Gift Outright, composta molti anni prima. (vedi qui )

Mi chiedo cosa ne sarebbe stato di Massimo se il sole avesse anche in questo caso turbato la sua esibizione. Avrebbe recuperato la sua acerba adolescenza, guadagnando magari altri anni di vita? E poi, a proposito di padri-padroni, non ho potuto non pensare ad Andre Agassi e alla sua sconvolgente autobiografia, 'Open. La mia storia' (Torino, Einaudi 2011). E ai tanti padri tennisti insoddisfatti (ma non mancano le madri tenniste) che hanno imposto ai figli traguardi e obiettivi non sempre adeguati alla loro personalità.



Una struttura di rapporto familiare, quindi, che si perpetua anche in epoche e contesti diversi e che rappresenta quelle eredità delle “nostre radici” che faremmo volentieri a meno di onorare. Anche io ho studiato per anni le iscrizioni funerarie e non sono sfuggito alla suggestione della ripetizione del nome del defunto, pensando che nominandolo a distanza di tanti secoli in ogni caso avrei aggiunto un piccolo sprazzo di ricordo, una frazione di sopravvivenza. Quello che facciamo, del resto, affidando ai nostri scritti un destino postumo. Non sappiamo se e come ne usufruiremo; sappiamo, però, che quella evocazione, quel ricordo, saranno altrettanto reali.

Torno all’esibizione di Massimo, chiamato a svolgere un tema improvvisato legato al mito di Fetonte, il figlio del Sole, cui il padre aveva consentito, con conseguenze disastrose, di guidare il carro. L’inesperienza di Fetonte era stata punita da Zeus, che l’aveva colpito con un fulmine e fatto precipitare e morire. Massimo - di cui, ricordiamolo, si conservano incisi sul monumento gli autentici versi composti e recitati dinanzi all’imperatore – aveva, racconta l’Autrice, scelto uno degli esercizi preparatori che avviavano alla professione dell’oratore, ma che servivano anche per le composizioni più varie. Una sorta di scuola di scrittura dell’antichità. L’esercizio consisteva nell’immaginare discorsi pronunziati da qualcuno, un eroe, un dio, in una occasione particolare. Così Massimo aveva provato a immaginare il discorso con cui Zeus aveva rimproverato il Sole per aver permesso al figlio di fare qualcosa cui non era preparato. E, questa la suggestiva intenzione immaginata da Valentina Garulli, Massimo aveva intravisto la possibilità di alludere alla sua dipendenza da un padre troppo esigente e per nulla attento ai suoi bisogni di adolescente.

Non voglio svelare di più. I lettori lo scopriranno leggendo come me dall’inizio alla fine, rapiti dalla storia. Sul mito di Fetonte ha pubblicato di recente un bel volume Maurizio Bettini ('Arrogante umanità. Miti classici e riscaldamento globale', Einaudi, Torino 2025). Un tentativo riuscito di mettere in contato l’antico, per come era in sé, e noi che proviamo a leggerlo, interpretarlo, riscriverlo.

(Quinto Sulpicio Massimo)


Proprio con Maurizio Bettini, carissimo amico, abbiamo coniato, serioscherzando, la definizione “filologi dal volto umano”, riferendoci a quei colleghi, non molti, ma neanche pochissimi, che accompagnano allo studio dei manoscritti e delle varianti l’attenzione alle persone, agli umani che hanno prodotto quei testi e agli umani che vi sono rappresentati, senza prevaricarli.

Valentina Garulli scrive a conclusione della sua nota (pp. 61-62): "Il monumento del giovanissimo Massimo è comprensibilmente stato oggetto di molta attenzione in ambito scientifico: si tratta di un monumento ricchissimo di motivi di interesse, dal bilinguismo alle caratteristiche iconografiche, dall’accurato layout alla presenza di un lungo testo firmato dal defunto. Ma la storia umana del protagonista merita non minore attenzione, con tutte le implicazioni storico-sociali e pedagogiche. Chi si imbatte in questo monumento come oggetto di lavoro scientifico non può che essere toccato dalla vicenda di questo ragazzo e della sua famiglia. Così è accaduto a chi scrive, che – nella convinzione che la storia possa e debba continuare a regalarci preziose chiavi per comprendere il presente e le nostre vite – ha voluto dare una forma – indubbiamente soggettiva e fantasiosa, ma accessibile a tutti – al racconto che un monumento funebre di quasi duemila anni fa conserva per chi sappia leggerlo".

Ecco, da oggi abbiamo la certezza – direi, meglio: la conferma – che il nostro gruppo si arricchisce di un’altra filologa dal volto umano. E poi, sono sicuro che chi da oggi passerà da Piazza Fiume a Roma rivolgerà un pensiero affettuoso a Massimo e alla sua sfortunata vita.




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