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Occhetto e la Bolognina, la svolta del Pci

Una recensione di
FABIO ZANCHI

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I libri più importanti, più preziosi, sono quelli che riescono a stabilire la verità delle cose. Così, leggendoli, uno si fa un’idea precisa ed evita di contribuire a diffondere fake news. Piccole o grandi che siano. Il libro che Walter Dondi ha dedicato alla svolta che ha sancito la fine del Pci e l’inizio di un’altra storia, “L’ultima domenica del Pci”, racconta com’è andata davvero la svolta della Bolognina. Di cui Dondi, cronista dell’Unità di Bologna, in servizio quella domenica, fu testimone oculare. Suo lo scoop giornalistico che scosse le fondamenta del Partito, stupì gran parte del gruppo dirigente e prese in contropiede l’intera stampa nazionale.


L'ultima domenica del Pci

di Walter Dondi



Bibliotheka edizioni
14 euro

Il 12 novembre 1989 sembrava una giornata come un’altra, a Bologna. È vero, appena tre giorni prima a Berlino era crollato il Muro. Achille Occhetto, il segretario del Pci, aveva salutato l’evento come “la fine della guerra fredda” e una “occasione per la sinistra”. Proprio Occhetto, quella domenica, sarebbe arrivato al quartiere della Bolognina per partecipare alla celebrazione del quarantacinquesimo della battaglia partigiana. Dondi era di turno da solo in redazione. Gli telefonò il capocronista Giancarlo Perciaccante inviandolo a seguire l’intervento del segretario.

Il suo racconto è interessante per più di un aspetto. Il principale, com’è ovvio, riguarda il fatto in sé: ossia le ragioni che portarono Occhetto a quella scelta, spiegate dallo stesso Occhetto nell’intervista che l’autore gli fece – il 14 gennaio di quest’anno – raggiungendolo nella sua casa romana e pubblicata in questo libro.

(Achille Occhetto alla Bolognina)


Gli altri aspetti non sono meno importanti, e riguardano un modo di fare giornalismo di cui Dondi è autorevole protagonista. L’Unità, finché è arrivata nelle edicole nella veste originaria, stroncata dalla decisione di Matteo Renzi di chiuderla, non è stata solo l’organo del Pci, ma un grande quotidiano. E i suoi giornalisti sono stati cresciuti a una scuola professionale molto rigorosa, attenta alle origini politiche quanto al rispetto della realtà che si raccontava in quelle pagine. La storia dello scoop della Bolognina lo dimostra. Occhetto aveva scelto di parlare in quella sede, davanti ai veterani della Resistenza, così come Michail Gorbaciov “prima di avviare i grandi cambiamenti che ha intrapreso in Urss, ha incontrato i veterani della guerra antinazista” - come ha chiarito lo stesso segretario del Pci. Durante l’incontro Dondi si annotò parole significative: “Da tutto questo traggo l’incitamento a non continuare su vecchie strade, ma a inventarne di nuove per unificare le forze di progresso”. Espressioni che all’orecchio allenato del cronista dell’Unità imponevano un approndimento.

Fu così che Dondi, tirandosi dietro anche un collega dell’Ansa lì presente, per tre volte domandò a Occhetto cosa volesse intendere e se fosse possibile un cambio del nome del Pci. Alla fine il segretario ammise: “Tutto è possibile. Scrivete che tutto è possibile”.

(Massimo D'Alema e Valter Veltroni)


Il cronista aveva ben capito. Anzi, aveva capito ciò che altri non avevano e non avrebbero voluto comprendere. E per fortuna andò avanti per la sua strada. Che non fu del tutto facile. A Roma, al giornale, non era reperibile il direttore Massimo D’Alema, felicemente impegnato a veleggiare al largo del Circeo insieme al giornalista Federico Geremicca. Irreperibile il vicedirettore, Renzo Foa; Piero Sansonetti, il caporedattore, era di riposo. Responsabile di turno a Botteghe Oscure c’era solo Claudio Petruccioli, che parve “colto di sorpresa dal fuoriprogramma di Occhetto” e dunque raccomandò prudenza. A complicare le cose, la decisione dell’Ansa di lanciare una notizia da Bologna con un titolo anodino. Risultato: grazie a Marco Demarco, caporedattore di turno all’Unità quella domenica, il pezzo di Dondi con le parole di Occhetto uscì. Il giornale del Pci dette un “buco” a tutti, ancorché con un titolo prudente in prima pagina e con “il” titolo vero solo in sesta pagina: “Il Pci cambierà nome? ‘Tutto è possibile’”.

Tempi difficili, quelli, soprattutto per chi lavorava al giornale del Partito. Ma la vicenda vissuta in prima linea da Dondi richiama altri esempi nella storia del giornalismo. Quello del corrispondente dell’Ansa da Berlino Est, Riccardo Ehrman, che il 9 novembre 1989 fu l’unico professionista a chiedere al portavoce del governo della Ddr, Günter Schabowski, se da quel giorno i cittadini della Germania Est avrebbero potuto chiedere il passaporto e andare, liberi, a Ovest. L’episodio è citato, in questo libro ricco di particolari. Un altro esempio che torna alla mente è quello della vaticanista dell’Ansa, Giovanna Chirri, che fu la prima a comprendere e divulgare la notizia delle dimissioni di Papa Ratzinger. Lui aveva parlato in latino e lei, unica, aveva tradotto quelle parole che avrebbero segnato un’epoca. Un po’ lo stesso ha saputo fare Dondi, dipanando quelle (non in latino, ma comunque complicate da intendere) di Occhetto.



A proposito della Bolognina e di quella scelta, in questo libro ci sono almeno altri due particolari che vale la pena sottolineare. Il primo: contrariamente alla vulgata diffusa da tutta la stampa, la Bolognina non è una sezione dell’ex Pci, ma la “sala del quartiere Bolognina – come ben precisa Dondi – dove si è tenuta una iniziativa unitaria alla quale hanno preso parte tutti i partiti e le organizzazioni antifasciste”.

Il secondo: l’idea della svolta comunicata in quell’occasione, Occhetto la maturò a Mantova. In visita a Palazzo Te, fu molto impressionato dalla Sala dei Giganti, dipinta da Giulio Romano. Le immagini del crollo di un mondo, come racconta lo stesso Occhetto, furono “per me un ulteriore elemento di ispirazione per evidenziare la fase di travolgente mutamento rappresentato dal crollo del Muro”. Un altro piccolo scoop del cronista Walter Dondi.




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