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Donne
appassionata
rivoluzione


Dieci storie nell'Italia del patriarcato

Una recensione di
SILVIA GARAMBOIS

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Appassionate, senz’altro: con quella passione che muove le donne e la storia. Costruttrici di democrazia: sicuramente, inconsapevoli forse. Quegli “incidenti” nel patriarcato che aprono varchi e consentono a una donna di guidare una università, di dirigere un giornale, di dare una voce così potente alle casalinghe da essere vittima di assalti fascisti e da richiamare decine di migliaia di donne in solidarietà, da essere l’anima della Resistenza e da combattere una resistenza quotidiana contro le leggi che non hanno a cuore le donne e i deboli, fino a definire nuove norme per il fine vita, fino ad accompagnare un figlio al fine vita… Sindacaliste, psichiatre, disegnatrici, chirurghe. Dieci donne diversissime che non volevano essere eccezionali, che si sono ritrovate con la loro vita a segnare punti di non ritorno nella storia di tutte e tutti noi.


Le appassionate
Storie di donne che hanno cambiato il futuro

di Maria Novella De Luca e Simonetta Fiori



Feltrinelli editore
19 euro

“Appassionate” di Maria Novella De Luca e Simonetta Fiori (Feltrinelli, euro 19,00) racconta storie di donne che non avevano scelto nella vita di far parlare di sé (ma sì, è così: molti uomini costruiscono pezzo pezzo carriere con questo fine, delusi e affranti se non arrivano al risultato), ma donne che avevano scelto di scegliere. Dieci donne maledettamente normali, che hanno trasformato le difficoltà nella loro forza (non è forse così per Hardeep Kaur, discriminata da tutti i compagni a scuola, che si è ritrovata a capo dei quattromila braccianti sikh che incrociarono le braccia a Latina?). Dieci donne così normali che raccontano tutte di violenze e molestie subite… La partigiana Teresa Vergalli, la casalinga femminista Nunni Miolli, la giornalista Sandra Bonsanti, la magistrata Gabriella Luccioli, la madre di dj Fabio Carmen Carollo, la psichiatra Giovanna Del Giudice, la disegnatrice trans Fumettibrutti, la rettrice Antonella Polimeni, la chirurga Gaya Spolverato, la sindacalista Hardeep Kaur.

È Teresa Vergalli – nome di battaglia Annuska – la prima. Quasi un ordine storico. A lei il compito mica da poco di spiegare perché nella Resistenza i nomi delle donne non ci sono. I nomi, non le donne. Donne violentate, con il seno ferito da coltelli, i capezzoli amputati, incarcerate e umiliate. E poi scomparse dai libri di storia. Sono solo trentacinquemila le donne a cui lo Stato italiano ha riconosciuto lo “status” di partigiane combattenti. “A volte erano le stesse partigiane a farsi da parte”, racconta Teresa: “In fondo, che abbiamo fatto, non abbiamo fatto niente”. Quante volte le donne si sono fatte da parte? Ora, che Teresa Vergalli non è più tra noi, la sua memoria si fa più pesante, le parole diventano davvero pietre.

(Teresa Vergalli)


Ed è sempre la storia che ci porta agli occhi di Giusva Fioravanti, così facili da riconoscere anche sotto il passamontagna: 9 gennaio 1979, quartiere San Lorenzo di Roma, Radio Città Futura, è in onda Radio Donna, la radio in cui parlano le casalinghe. Mitra e molotov, cinque donne a terra, odore di carne bruciata. Nunni Miolli, che le organizzava, racconta: gli occhi non sono mai guariti, una mano è rimasta offesa, ma a 99 anni ripercorre la forza di quel nucleo di donne che “aveva la forza di alzare la testa dai pavimenti da lavare”. Forse il più dimenticato, tra tanti collettivi politici e culturali femministi, quelle che “odoravano di sugo”, eppure numerosissimo: erano in 50mila alla manifestazione il giorno dopo l’attentato.

(Gabriella Luccioli)


Non è un libro sul femminismo, anzi spesso i testi femministi arrivano dopo, dopo che queste donne hanno cominciato a ragionare sul rapporto tra il loro impegno professionale e le difficoltà d’essere donna. Come Luccioli, rimasta famosa probabilmente per la sentenza Englaro, che ha davvero cambiato la storia civile del nostro Paese, ma la cui carriera – uguaglianza e differenza – è una serie di conquiste “non solo in suo nome”. Tra le prime a entrare in magistratura nel ’63, la prima a entrare alla Corte di Cassazione nel 1988. Eppure non ne diventerà presidente, cursus honorum che sarebbe stato ovvio per un uomo. In cambio la giudice ci ha lasciato sentenze che hanno fatto la storia dei diritti delle donne.

(Antonella Polimeni)


Persino la rettrice Polimeni non aveva i testi del femminismo come guida, ma quelli di medicina. Anche se aveva scelto la medicina “per gli ultimi”. Diventare la prima rettrice a Roma della più grande Università italiana se scegli di curare chi ha meno fortuna sembra davvero una improvvisa frattura nelle leggi non scritte – ma anche scritte, eccome se sono scritte – di un mondo costruito al maschile. Patriarcato, se non è una parolaccia. E da rettrice Polimeni si è occupata anche della violenza e delle molestie tra le aule universitarie: perché alle studentesse non basta essere “di più”, non basta essere “più brave”, se le porte dei vertici nelle facoltà restano chiuse alle donne, e la violenza resta un sottofondo.

(Sandra Bonsanti)


Lasciamo ultima Sandra Bonsanti. Perché la sua “pubblica confessione” di casalinga americana diventata direttrice di giornale – Il Tirreno -, superando oceani e dilemmi, smuove in realtà sentimenti di riconoscenza profonda in chi fa questo mestiere. Perché lei si è occupata di mafia e di P2 quando erano “cose da uomini”, perché è stata maestra vera per una generazione di giornaliste, con l’esempio e con una naturale disposizione alla condivisione e al rispetto degli altri. Anche delle colleghe più giovani. Figuriamoci con le “anzianotte”. Bonsanti ha con semplicità sfatato stereotipi inossidabili, come il fatto che le giornaliste si dovessero occupare di moda e non di politica, e ha scelto il giornalismo invece che carriere pubbliche che forse le avrebbero dato più onori. Certo, una appassionata che ha insegnato la passione.

Così come Maria Novella De Luca e Simonetta Fiori hanno risvegliato quella passione che cova probabilmente in ogni donna. Del resto, quante altre che ci hanno accompagnato nella vita della Repubblica, potrebbero degnamente far parte di questa raccolta di storie?




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