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Raissa
e Gorbaciov
i post-sovietici


Ricordo di una leadership
che voleva riformare l'Urss

Una recensione di
SILVIA GARAMBOIS

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Prima che restino solo due righe nei libri di storia... Chi è stato Gorbaciov, anzi, chi è stato Michael Sergeevič Gorbaciov, detto “Misha”, nell’immaginario di una generazione occidentale, europea, che dei leader russi - fino alla sua dirompente comparsa sulla scena mondiale - conosceva soprattutto il loro essere mummificati (Breznev, Andropov…), già in posa da vivi per le statue?

La storia avanza per date e per eventi, e Gorbaciov “appare” all’inizio degli anni Ottanta, delfino di Andropov ma subito fatto fuori dalle gerarchie, che al suo posto scelgono invece Kostantin Černenko. Gorbaciov è allora solo “vice”, ma così si presenta alla lady di ferro Margaret Thatcher, che lo definisce “an unusual Russian”. E gli apre le porte dell’Occidente… Ma per tutto ciò, per chi ha voglia di seguire le tappe del suo governo, la glasnost, la perestrojka, fino al golpe (Gorbi durerà solo sei anni: pochi per la Russia) e infine a Sanremo, basta Wikipedia.


Michail Gorbaciov
e il caos necessario


di Laura Miani e Luigi Lusenti



Prospero editore
18 euro

“Michail Gorbaciov, il caos necessario. Testimonianze, riflessioni e suggestioni sull’uomo della perestrojka” di Laura Miani e Luigi Lusenti (Prospero editore, euro 18,00) racconta invece di noi, noi Occidentali, europei, italiani, di fronte alla novità che arrivava da Est. Un collage di incontri ravvicinati con il leader russo, di ricercatori, imprenditori, poeti, scrittori, musicologi, filosofi, dirigenti d’azienda e pubblici, sindacalisti della Cgil e giornalisti.

Molti giornalisti: dell’Humanité come del settimanale serbo Pečat, ma soprattutto italiani. E, tra loro, alcuni che nel curriculum hanno anche l’Unità, il giornale che a Mosca ha storicamente mantenuto un “presidio” non solo politico: Maddalena Tulanti, Marco Brando, Antonio Polito, Paola Rizzi. Citato - con particolare verve critica da Pierluigi Battista - anche Giulietto Chiesa, che in quegli anni con Fiammetta Cucurnia di Repubblica compose un autorevole tandem. Fra le possibili testimonianze sarebbe stato interessante leggere quella di Sergio Sergi, che per la medesima Unità da Mosca fu corrispondente nel pieno della Perestrojka.





Tra gli intervistati c’è chi, come Brando, ha incrociato Gorbaciov mentre passava in taxi o ha potuto stringergli la mano al Teatro Bolscioi (dove il giornalista era inviato per “Sorrisi e Canzoni”), presentato dalla segretaria di redazione dell’Unità Franca Canuti, che assisteva insieme a Gorbaciov e al marito Gianni Cervetti – di cui nel libro c’è una interessante testimonianza – al concerto diretto da Riccardo Muti.

Ma c’è anche chi, come Paola Rizzi, che professionalmente ha sempre avuto altri ruoli, si ritrova a intervistarlo per due volte, il primo incontro per l’Unità proprio al Bolscioi con Muti, e dove ricorda un pubblico che tributa pochi applausi al leader (ma nell’articolo scrive il contrario, chissà quale memoria, quella orale o quella scritta, è più veritiera). Ma il ricordo vero è quello della fame nera, dei negozi vuoti, tanto che la Scala si era portata dietro i viveri per far mangiare artisti e maestranze (e giornalisti al seguito). Ma è al Bolscioi, incontrando Gorbaciov dietro le quinte del teatro insieme agli artisti, che scopre in lui, così come nella moglie Raissa, “una personalità oltre che carismatica anche molto, molto empatica”, “dal punto di vista della comunicazione era rivoluzionario”.

Il secondo incontro è all’aeroporto di Milano, 1994, Gorbaciov non aveva più incarichi politici, clima rilassato, presenti ancora Cervetti che era suo amico con la mitica “Franchina” (ancora la segretaria dell’Unità di Milano), e qui la cosa più interessante è il ritratto di Raissa: “La moglie di Gorbaciov – scrive Rizzi – era deliziosa -. Sarà un aspetto un po’ da ‘celebrity’ oleografico, ma effettivamente si avvertiva che tra loro due chi occupava più spazio nella stanza era Raissa. Spazio emotivo, carismatico, spazio di socialità. Si avvertiva che era lei il baricentro. Aveva una modalità molto moderna dal punto di vista della First Lady sovietica, che prima semplicemente non esisteva. Se lo è inventato lei questo ruolo, con grande capacità di comunicazione. Ruolo che poi è di nuovo scomparso con i successivi leader russi”.





“Io non ho mai incontrato personalmente Gorbaciov”, scrive Polito, che seguì però passo passo per 'Repubblica' l’avventura del leader russo: “L’ho seguito, per ragioni professionali, durante qualche sua visita in Italia. L’impressione che dava come persona era sicuramente straordinaria, di una grande personalità. Un uomo di grande energia, di grande ottimismo, di grande comunicativa”. “Per me – scrive Polito – Gorbaciov è stato una personalità di prima grandezza nel Novecento. Il fatto che sia stato sconfitto è indiscutibile, ma non è stato sconfitto solo lui personalmente, è stata sconfitta l’idea di Paese che voleva portare avanti”. E ragiona: “Anche Napoleone sarebbe uno sconfitto, visto che dopo di lui c’è stata la Restaurazione. Però Bonaparte ha cambiato per sempre il modo di governare e legiferare in Europa”.

Maddalena Tulanti, corrispondente da Mosca per l’Unità (come era stato prima di lei Giulietto Chiesa), arriva nella Capitale russa quando tutto è finito: 1994, “tre anni dopo che la bandiera rossa era stata ammainata dal pennone del Cremlino”. Quando, soprattutto, Mosca voleva dimenticarsi di Gorbaciov.

“Io l’ho conosciuto personalmente – Tulanti frequentava la sua Fondazione, dove prendeva il tè con la marmellata insieme a Raissa e dove sapeva quando entrava e mai quando usciva - e mi sento di poter dare un giudizio anche come uomo, a partire dal rapporto con la moglie che tutti chiamano Raissa ma io voglio ricordarla con il suo nome intero, Raissa Maksimovna Titarenko. L’apporto di questa donna, non solo all’immagine ma anche alle scelte politiche del leader del Cremlino, ha significato molto. Per restare sul piano dell’immagine, per la prima volta abbiamo conosciuto la moglie di un leader sovietico. Raissa è stata fondamentale per mostrare l’umanità di Gorbaciov, faceva politica, col suo corpo, con il suo sorriso, con la sua intelligenza. Una cosa mai accaduta prima. Una cosa davvero rivoluzionaria. Come rivoluzionario era il fatto che un leader del Cremlino girasse tra la gente, a Mosca o nel più sperduto borgo del Paese, sempre mano nella mano con Raissa”.





Per chiuderla in politica, invece, riprendiamo da “Michail Gorbaciov, il caos necessario” il contributo di Luciana Castellina. Tutti - o quasi – sostengono che l’Occidente non ha aiutato Gorbaciov, lo ha lasciato solo. Castellina è durissima. Come quando non seppe rispondere a un compagno russo che chiedeva “perché vi occupate tanto di Amazzonia e non allo stesso modo della Russia?”. Una critica, dice Castellina, che le brucia ancora.

La seconda autocritica riguarda il disarmo unilaterale di Gorbaciov, quando ritirò le truppe del Patto di Varsavia dai Paesi dell’Est Europa, “si aspettava lo facesse anche l’Occidente ma non lo fecero, anzi i Paesi della Nato passarono da dodici a trenta”. “Non abbiamo preso sul serio l’idea che l’Europa fosse matura per uscire dalla logica dei due blocchi praticando una politica di demilitarizzazione. Fu solo Berlinguer che fece un tentativo in questo senso quando parlò della terza via […] Eppure la posizione di Berlinguer non passò, non passò neppure nel Partito Comunista italiano che lasciò in minoranza il suo stesso Segretario”.

“Io, da parlamentare europea, ho visto come lo hanno trattato, a Bruxelles come a Washington, muovendo subito alla conquista dell’Est Europa. Noi abbiamo distrutto il sogno gorbacioviano”.




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