La Libia
il petrolio
l'Italia
Gheddafi e il Grande Affare
una lunga alleanza
Una recensione di
SILVIA GARAMBOIS
È lì, a un passo, la Libia. Quella che l’Italia – di Giolitti, di Facta, di Mussolini – rivendicava come Colonia italiana. Eppure nell’immaginario collettivo (di questo millennio) è l’Europa di là dalle Alpi - la Francia, la Svizzera, l’Austria - a essere “a un passo”, mentre quel braccio di mare che ci separa dall’altra costa, quel “mare nostrum” che è diventato immenso cimitero di migranti, più che unire ci divide.
Come se un colpo di spugna avesse cancellato dalla memoria collettiva italiana un secolo intero di conquiste e ritorsioni di guerra (i ventimila italiani di Libia costretti a lasciare ogni bene nel 1970, che non è poi così tanto tempo fa) insieme ai rapporti economici strettissimi, fatti di petrolio e di gas che sempre ci legano. E di migranti che lasciamo in mano, bendandoci gli occhi, a torturatori e stupratori in cambio di due lire.

Sotto la sabbia
La Libia, il petrolio, l'Italia
di Giampaolo Cadalanu
Laterza editore
20 euro
“Sotto la sabbia - La Libia, il petrolio, l’Italia” di Giampaolo Cadalanu (editori Laterza, euro 20, pagine 253) ci riporta violentemente con i piedi per terra, in questa terra, obbligandoci al ricordo. Non si raccontano le Colonie qui, ma la Libia di Gheddafi, quella con la quale l’attuale generazione di italiani ha avuto a che fare fin dall’inizio. E tornano pagina su pagina nomi e luoghi delle cronache giornalistiche, c’è Simone Veil e l’Europa che sta a guardare, c’è Barack Obama che “guarda da dietro”, c’è la Francia che vuole fare l’affare. Ma c’è soprattutto questo personaggio visionario e impermeabile ai diritti umani, che rende ricco un Paese poverissimo e che ci accompagna per metà del libro, mentre per l’altra metà è un fantasma dietro le quinte di un Paese incapace di ritrovare oggi equilibri politici e economici.
I grandi casi di cronaca che diventano storia, recuperati e raccontati con la penna agile di un giornalista: Cadalanu, per oltre trent’anni inviato di “la Repubblica” nei teatri di crisi di mezzo mondo, era lì, testimone al mercato di Misurata quel 20 ottobre del 2011, nella folla di fronte alle spoglie di Gheddafi “adagiato su una stuoia gialla, in uno stand di macelleria, dove ancora erano in vista i ganci per appendere gli animali”. Con gli elementi per smentire le versioni ufficiali sulla sua fine. Ma comunque fosse andata, come annunciò il segretario generale della Nato “dopo 42 anni il regno della paura del colonnello Gheddafi era arrivato alla fine”.

La trama del libro è tutta legata al grande “affaire” del Petrolio (e, in tempi più recenti, dei “respingimenti” dei migranti, passando da Maroni a Minniti a Salvini: con le testimonianze rese ai processi dai migranti torturati) ma emergono alcuni episodi che vale la pena ricordare.
A partire dal Mig-23 dell’Aeronautica militare libica ritrovato sulle montagne della Calabria, ufficialmente caduto il 18 luglio 1980 perché aveva finito la benzina ed era precipitato. Ma troppi dati riporterebbero invece l’abbattimento dell’aereo alla stessa data della strage di Ustica, il 27 giugno, con il Dc9 precipitato nel Mar Tirreno meridionale con i suoi 81 passeggeri. Nelle ricostruzioni di Cadalanu non c’è solo la “guerra dei cieli”, di cui molti hanno scritto e parlato, in mezzo alla quale si sarebbe trovato il velivolo dell’Itavia: sarebbe stato Craxi, infatti, ad avvertire Gheddafi già in volo diretto in Urss che stava per finire nella “trappola” sul Mar Tirreno. Per questo l’aereo di Gheddafi arrivato ormai su Malta avrebbe invertito la rotta, mentre gli altri velivoli di scorta del dittatore proseguivano il volo.
Riemerge poi dalle cronache la vicenda della maglietta di Calderoli. “Il 15 febbraio 2006 una improvvida apparizione al Tg1 di Roberto Calderoli, allora ministro per le Riforme Istituzionali, aveva suscitato la rabbia dei musulmani perché – scrive Cadalanu - l’esponente della Lega era apparso in tv indossando una maglietta con la caricatura di Maometto”. “La diffusione delle immagini di Calderoli provocò qualche protesta contro i contingenti militari italiani a Nassiriya, in Iraq, e a Herat, in Afghanistan. Ma la contestazione più accanita si svolse a Bengasi, dove un migliaio di manifestanti infuriati si raccolse davanti al consolato italiano. La polizia libica adoperò i lacrimogeni, poi aprì il fuoco sui dimostranti. Almeno undici persone rimasero uccise, un centinaio ferite, l’ufficio consolare fu devastato e dato alle fiamme”.
La tesi ufficiale non indicò come causa la maglietta, ma il rancore per il passato coloniale… Calderoli comunque si dimise.

E, in questo continua altalena di rapporti che si sgretolano e si riallacciano, come non ricordare la fantasmagorica prima visita di Gheddafi a Roma, con l’incontro con Berlusconi? È datata giugno 2009. Impose “di erigere la sua tradizionale tenda beduina con fregi di palme verdi e bianche sull’erba di villa Doria Pamphili”. Ovviamente non c’era solo la sua di tenda, ma anche quelle dell’harem e quelle della sua guardia personale, tutte donne, le Amazzoni.
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