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La Resistenza
senza montagne


Storia dei gappisti romani
e della bomba di via Rasella

Una recensione di
ROBERTO ROSCANI

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A Roma non ci sono le montagne. Ma non è mancata la resistenza. Al posto delle montagne a Roma, sotto l’occupazione nazista, c’erano le borgate di periferia fatte di operai e muratori dove i sentimenti antifascisti non erano mai morti, c’erano le stradine strette del centro coi portoni e le cantine in cui trovare rifugio, c’era una rete fatta prevalentemente di giovani e c’erano i partiti antifascisti. C’erano soprattutto i Gap, i Gruppi di Azione Patriottica, una struttura particolarissima fatta di piccolissime cellule, tre-quattro persone al massimo, che agivano in autonomia anche se all’interno di un coordinamento fatto di comandanti militari e di commissari politici. L’occupazione nazista nella “città aperta” di Roma durò per la precisione 266 giorni, tra il 10 settembre del 1943 e il 4 giugno del 1944. Meno di un anno, densissimo e tragico.


A Roma non ci sono le montagne

di Ritanna Armeni



Ponte alle Grazie edizioni
18 euro

A questa storia, e al centro di questa vicenda all’attentato gappista di via Rasella, l’azione di gran lunga più clamorosa della lotta al nazifascismo nella capitale, è dedicato appunto “A Roma non ci sono le montagne” scritto da Ritanna Armeni (Ponte alle Grazie, 230 pagine, 18 euro). Libro fedelissimo alle vicende storiche, ma anche romanzo della resistenza romana. Romanzo perché i personaggi storici (Sasà Bentivegna, Carlo Salinari, Carla Capponi, Maria Teresa Regard, Franco Calamandrei, Mario Fiorentini, Lucia Ottobrini ma anche Antonello Trombadori e Amendola) agiscono in diretta con le loro passioni, i loro caratteri, gli amori e qualche volta i conflitti. Sono insomma persone a tutto tondo, non solo degli “agenti” della Storia.


(Via Rasella dopo la bomba)

L’attentato di via Rasella avviene il 23 marzo del 1944, in una giornata piena di sole e con un caldo quasi estivo. Il piano è insieme coraggioso e costruito con tempi millimetrici, mettendo insieme tutti i Gap centrali della città. I protagonisti hanno vent’anni scarsi ciascuno, tutti studenti (qualcuno ancora impegnato da clandestino a tradurre Diderot o Marcel Proust), tutti comunisti. Il sì definitivo ad una azione che voleva dimostrare come Roma non fosse sotto il controllo e il dominio nazista l’aveva dato Giorgio Amendola, che proprio quel giorno, a cinquecento metri da via Rasella, aveva un incontro del CLN con Pertini e De Gasperi nel palazzo di Propaganda Fide, praticamente a piazza di Spagna.

Il meccanismo dell’azione militare era semplice: un carretto di quelli portati dagli spazzini per le strade della città, pieno di tritolo, è a metà di via Rasella, ad accendere la miccia sarà Sasà Bentivegna, intorno a lui tutti gli altri che devono supportarlo, permetterne la fuga, attaccare dopo l’attentato rispondendo alla prevedibile reazione dei nazisti. Al centro del mirino l’XI compagnia del III Polizeiregiment Bozen. Stavano concludendo il loro addestramento e dal giorno successivo sarebbero diventati una unità operativa di polizia nazista (per capirci, erano destinati a fare rastrellamenti, perquisizioni, a catturare gli italiani per deportarli in Germania ai lavori forzati, a terrorizzare i romani).


(Arresti dopo via Rasella)

La cronaca dei fatti come la racconta Ritanna Armeni è tesa: i nazisti tardano, per almeno due volte si sta per decidere di rinunciare all’azione. Poi da lontano, in fondo a via Due Macelli, si sente il passo cadenzato e il rumore degli stivali, il canto che accompagna la marcia dei nazisti. L’azione avviene. Moriranno 33 soldati tedeschi e anche un ragazzo italiano, il garzone di un orologiaio di via degli Avignonesi, poco più in là. Colpire in pieno centro, in una strada stretta e in salita senza avere perdite e senza coinvolgere troppe persone ignare e innocenti è quasi un miracolo.

Il libro racconta, condensate in queste poche ore di preparazione, attesa, esecuzione dell’attentato, anche le altre vicende che in quegli stessi mesi avevano visto protagonista questo gruppetto di gappisti. Attentati al cinema Barberini pieno di truppe, ai locali della stazione dove si incontravano i soldati tedeschi, ai fascisti. È bello anche il contrappunto all’attentato rappresentato da una parte dalla riunione clandestina del Comitato di Liberazione Nazionale e dall’altra dalla cerimonia fascista per ricordare il 23 marzo come data di nascita dei fasci a Milano, che si svolge chiusa all’interno del ministero delle corporazioni a via Veneto. Il boato lo sentono distintamente sia i comandanti della nuova Italia che i vecchi gerarchi fascisti, come i loro amici nazisti che hanno i loro comandi negli hotel di via Veneto.


(Un gruppo di gappisti romani)

Questa generazione di giovanissimi rappresenta una vicenda umana davvero straordinaria: tutta la loro vita precedente era avvenuta all’interno dell’Italia fascista, in qualche modo il fascismo era l’unica storia politica di cui avevano esperienza. Eppure la spinta antifascista, l’odio contro l’invasore nazista, la scoperta della libertà e del comunismo (sì, tutti e due insieme) cambiano le loro vite.

Un bel libro, una scelta insolita questa di raccontare la storia non come una fiction ma mettendo “carne e sangue”, sentimenti e passioni insieme agli eventi, che è stata possibile anche grazie alle molte autobiografie, ai racconti e ai ricordi che ancora restano di una generazione che quasi non c’è più. Il libro di Ritanna Armeni è mosso anche da qualcosa che invece nelle pagine non c’è. Quell’atto di resistenza e di coraggio è stato uno degli elementi più difficili e divisivi del dopoguerra. I nazisti infatti reagirono all’attentato uccidendo 335 persone alle fosse Ardeatine, pubblicando senza troppa evidenza sui giornali il comunicato a rappresaglia avvenuta. È la prima strage di civili nazifascista in Italia, ce ne saranno molte altre, da Marzabotto a Sant’Anna di Stazzema, del Padule del Fucecchio. Si calcola che i nazisti uccisero oltre 23mila italiani fuori dagli scontri armati. Rappresaglie, assassini, violenze singole o di massa.


(Su uno dei palazzi di via Rasella restano i segni di schegge e fucilate)

Eppure davanti a questo quadro eloquente si volle (da parte fascista, delle destre, ma anche dei partiti conservatori dopo la fine del conflitto) tracciare un nesso di colpa tra l’attentato di via Rasella e la strage delle Ardeatine. Si inventò l’idea che i nazisti avessero chiesto agli autori dell’attentato di consegnarsi per evitare rappresaglie. Non era vero. Qualcuno si appellò alle convenzioni internazionali che invece non contemplavano la possibilità di rappresaglia, prevista invece dai codici militari nazisti. L’argomento comunque comparve nella propaganda di destra contro i partigiani e i gappisti visti quasi come dei terroristi.

Oggi – più lontani nel tempo da quelle polemiche, ma sempre in bilico e sul punto di tornarci, tanto che il presidente del Senato è arrivato a dire che i soldati del battaglio Bozen erano dei quasi pensionati, una specie di banda musicale – questo libro ci restituisce non solo la ricostruzione di una azione coraggiosa e spericolata ma anche il ritratto di una generazione di giovanissimi antifascisti. E la foto di copertina ce li mostra com’erano solo qualche mese più tardi: sembra una foto di classe di liceali eleganti e sorridenti. Avevano tutti combattuto in città coi Gap, qualcuno era stato paracadutato al Nord coi partigiani, qualcun altro aveva combattuto sotto le bandiere della nuova Italia insieme agli alleati. Non avremo mai abbastanza memoria.




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