AMARCORD
DA BAMBINO
I TRATTORI
DELLA BASSA

Le immagini di migliaia di trattori allineati per protesta sulle strade d’Europa mi hanno provocato una botta di nostalgia. Ma ancor di più, mista a invidia, la rivelazione di Michele Serra in tivù: “Io – ha detto a Piazzapulita – di trattori ne ho due”.


(Un Allis Chalmers)


Spiego: Il mio primo trattore l’ho guidato, diciamo così, a otto anni. Nel senso che un mio cugino, Giuseppe, mi aveva preso sulle ginocchia e mi aveva fatto tenere in mano il volante. Sensazione bellissima. Mai dimenticata. E infatti, man mano che sono cresciuto di trattori ne ho guidati parecchi, diventando uno degli operai di mio nonno e mio zio, nella Bassa mantovana, alla confluenza dell’Oglio nel Po. A San Matteo delle Chiaviche (nel senso di chiuse, per regolare l’altezza delle acque), dove trascorrevo tutte le estati, finita la scuola.

Il primo trattore di cui mi ricordo era un Allis Chalmers. Americano, progenitore della Piccola della Fiat. Sgalembro come nessun altro. Talmente leggero che, se aveva qualche rimorchio, ogni volta che si partiva alzava le ruote anteriori di almeno un metro: un gran divertimento, ogni volta. Aveva una doppia alimentazione. Per avviarlo si doveva aprire il rubinetto della benzina. Solo quando il rumore era tondo, segno che il motore era sufficientemente caldo, si apriva il rubinetto del petrolio, chiudendo quello della benzina. Quando, dopo il tramonto, si tornava dai campi, cercavo di rientrare dallo stradone in discesa, perché provocava lunghe fiammate dal tubo di scappamento accompagnate da scoppi che sembravano schioppettate.


(Landini Testa Calda dal sito batteriepertrattori)


Il secondo fu il Landini Testa calda (niente a che vedere con il segretario della Cgil). Così chiamato perché l’accensione del motore, che aveva un solo pistone, enorme, prevedeva una procedura molto particolare. Quasi ancestrale, nella sua primordialità. Quel trattore aveva sul davanti un blocco di ferro che doveva essere arroventato con un bruciatore a gas: un vero lanciafamme. Una volta che la testata era calda a sufficienza, a mano si provava a far girare il volano, cioè una pesantissima ruota posta sul lato del trattore. Non era semplice, e si faceva gradualmente, in modo da muovere il pistone che solo quando riusciva a vincere la pressione interna faceva compiere al volano prima un giro, poi un altro e un altro ancora, sempre più forte. Come una locomotiva. L’accensione del Landini si sentiva a chilometri di distanza. Era il segno che cominciava la giornata di lavoro, dall’alba al tramonto. Nelle sere d’estate, quando i campi dovevano essere irrigati, il ritmo dei vari Landini che prelevavano acqua dai fossi accompagnava le notti della Bassa. D’autunno, durante il giorno quei giganti venivano impiegati nell’aratura dei campi. Erano tanto potenti da trascinare quattro vomeri che affondavano le lame nella terra a una profondità di quaranta centimetri, quasi accarezzandola.


(Tratto Same 480 - da usatomacchine.it)


Più avanti, con il progresso, arrivò il Same 480 con quattro ruote motrici. Fu un’emozione. Le ruote anteriori mi arrivavano quasi al petto. Guidarlo era un piacere: per la prima volta avevo tra le mani un mezzo potentissimo, che si conduceva con un dito grazie al servosterzo. Una goduria che non c’era neppure su tutte le auto. Tutto un altro mondo, da quando, anni prima, accompagnavo mio nonno a bordo dello sgranatoio. Il granoturco, allora, si raccoglieva e poi si “sgranava” ancora sulle aie dei piccoli coltivatori. Le mietitrebbie vennero più tardi. Si andava, nelle nebbie del settembre inoltrato, con questo mezzo rudimentale, che anni di onorato servizio avevano profumato di grano. Il posto di guida era scoperto, come nelle macchine ottocentesche. Le frecce erano ai lati del parabrezza e si levavano come le orecchie di Pluto, con una lucetta, che in quelle nebbie si poteva soltanto intuire. Preistoria.

La mia carriera di macchinista è finita dopo il liceo. Dai trattori, con il passare degli anni, l’attenzione si è spostata sulle trattorie. Ma ogni volta che sento un Landini - ce ne sono ancora, in campagna – mi viene una botta di nostalgia.

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