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LA PIRAMIDE.
SCIENZA
AI PIEDI
DELL'EVEREST

di STEFANO ARDITO

 

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Quanto tempo serve a un ricercatore per arrivare al suo laboratorio? Un’ora in treno? Un viaggio in auto schivando gli ingorghi cittadini? Qualcuno, più fortunato degli altri, se la cava con una passeggiata. Per arrivare alla Piramide, il laboratorio italiano ai piedi dell’Everest, il viaggio è nettamente più lungo.

Prima di tutto bisogna arrivare a Kathmandu, la capitale del Nepal, e dall’Italia sono più o meno dodici ore di volo. Poi meno di un’ora, su un elicottero o su un piccolo aereo, conduce alla pista di Lukla, 2800 metri, affacciata su un burrone che pare senza fondo. Segue una settimana a piedi, tra gradinate scavate nella roccia, foreste, villaggi e ponti sospesi su fiumi impetuosi.


(Uno yak carico verso la Piramide - foto Ardito)


Da Namche Bazaar, la “capitale” degli Sherpa, si continua verso il monastero buddhista di Tengboche, e poi tra pascoli sorvegliati da vette da favola come l’Ama Dablam e il Lhotse. Oltrepassata Lobuche, con i suoi alberghetti per trekker, un cartello suggerisce di piegare a sinistra. Ancora dieci minuti in una forra, poi la valle si apre davanti a un’astronave fatta di metallo e di vetro. L’altimetro segna 5000 metri giusti. Benvenuti alla Piramide.

Nella sua nascita, come in molte belle storie italiane, si mischiano il genio, la tenacia e il caso. Negli anni Ottanta un ricercatore americano punta un teodolite sulle due cime più alte del mondo, e poi afferma che il K2, ufficialmente 8611 metri, potrebbe superare gli 8848 metri dell’Everest. È una fake news, ma lo si scoprirà solo più tardi.


(Esperimenti di fisiologia a Kathmandu - foto Verratti)


La notizia fa scatenare Ardito Desio, il geologo che ha legato il suo nome nel 1954 alla prima ascensione del K2, e che spinge per il ritorno della scienza italiana in Himalaya. La Piramide dovrebbe essere installata in Tibet, ma viene dirottata verso il Nepal dopo la strage che insanguina nel 1989 Piazza Tienanmen. A inaugurarla, a 93 anni suonati, arriva in elicottero Desio.

Da allora, a occuparsi del laboratorio, è il Comitato Ev-K2-CNR diretto da Agostino Da Polenza, un imprenditore e alpinista di Bergamo. In 25 anni la Piramide, gestita in collaborazione con il NAST, l’Accademia delle Scienze nepalese, ospita 520 missioni scientifiche, e ricercatori di 143 università e altri istituti di tutto il mondo.


(Il Kangtega dalla Piramide - foto Ardito)


“Abbiamo misurato due volte l’Everest, ci siamo occupati di scienze della Terra, di flora e di fauna, di antropologia e di fisiologia d’alta quota. Negli ultimi anni è diventato fondamentale il lavoro sul clima, con gli studi sull’inquinamento ad alta quota” spiega Agostino Da Polenza.

Al centro del lavoro, sempre più, c’è il cambiamento climatico. L’inquinamento che si forma sulle pianure dell’India viene spinto a nord dai monsoni, si deposita sui ghiacciai dell’Himalaya, ne accelera lo scioglimento. Questo mette in gioco la sopravvivenza di oltre un miliardo di persone che vivono in Nepal, India, Pakistan, Cina e nei Paesi vicini. “All’inizio ci sentivamo autosufficienti, ora sappiamo che la Piramide è anche cooperazione allo sviluppo” conclude Da Polenza.


(Il ponte di Phunki, sulla via per la Piramide - foto Ardito)


La Piramide, oltre che unica al mondo, è un prodigio di tecnologia. Isolata, lontana, immersa nell’aria sottile dei 5000 metri, dev’essere autosufficiente. “Ho passato qui due mesi all’anno, con l’impressione di essere in Antartide o su Marte. Tenere d’occhio i sistemi di comunicazione, i sensori collegati ai satelliti, l’impianto solare che fornisce energia richiede professionalità e attenzione. Le macchine sono importanti, ma c’è sempre bisogno dell’uomo” sorride Gian Pietro Verza, guida alpina e responsabile tecnico del laboratorio.

Nel 2015, purtroppo, il lavoro della Piramide si è interrotto, perché una diatriba con il CNR ha bloccato i finanziamenti. Alla fine è stato raggiunto un accordo, e intanto Da Polenza aveva iniziato a collaborare con la Fondazione Minoprio, un ente della Regione Lombardia. Poi il Covid-19 ha stretto il Nepal in un lockdown durissimo.


(Vittore Verratti e il suo team a Kathmandu - foto Ardito)


In questo periodo, il tecnico nepalese Kaji Bista ha garantito l’integrità della struttura e il funzionamento dei sensori che inviano dati da remoto sul clima. Alla fine di ottobre del 2022, dopo due anni e mezzo di assenza, Verza è tornato alla Piramide. Qualche giorno più tardi lo ha raggiunto la prima missione scientifica del nuovo corso, diretta dal professor Vittore Verratti dell’Università Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara.

Una ventina di docenti, ricercatori e laureandi, appartenenti a dodici università e sette centri di ricerca italiani e stranieri (nell’elenco anche due strutture nepalesi, l’Omkaar Polyclinic di Kathmandu e il Mountain Medical Institute di Namche Bazar) hanno studiato la fisiologia dell’adattamento umano all’alta quota. Nella prossima primavera, torneranno altre missioni scientifiche. Il laboratorio ai piedi dell’Everest è vivo.






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