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L'ORO DEL RENO
CACCIA AL TESORO
E VITE ADRENALINICHE

di ANDREA ALOI

 

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Il titolo è wagneriano. “Rheingold”, l’Oro del Reno, del turco-tedesco Fatih Akin, è un biopic che sembra un ottovolante di violenza lanciato ai cento all’ora, variegato, stordente e perfino a tratti buffo, alla Guy Ritchie. Non potrebbe essere altrimenti, cerca infatti di contenere in 138 adrenalinici minuti la vera vita sul rasoio del rapper curdo Xatar, ovvero “il pericoloso”, all’anagrafe Giwar Hajabi, oggi quarantunenne imprenditore, editore e musicista apprezzato assai in Germania - la sua patria adottiva - e non solo. Una vita che ne contiene almeno tre o quattro, dai patimenti quand’era bambino nelle carceri di Khomeini in compagnia dei genitori, grandi musicisti curdi, all’arrivo salvifico a Parigi e quindi a Bonn, dal giro dello spaccio alle prigioni siriane (con plus di tortura).



Così “Rheingold” è in un colpo solo una storia di formazione, un faro puntato sulla drammatica condizione esistenziale dell’emigrazione (tasto sensibile e cruciale nella filmografia di Akin), un heist movie con caccia al malloppo, che è poi l’oro del titolo, e un discreto numero di azioni belliche e/o malavitose. Il tutto è accompagnato dal rap autentico di Xatar e abbondantemente condito di botte, soprusi, paura. Un mix ispiratore per il regista: “La violenza è uno strumento di lavoro per i gangster ed è anche qualcosa che ci affascina, forse per la curiosità di sapere perché noi umani usiamo violenza contro i nostri simili. La violenza è una cosa strana e a volte alcuni tipi di musica diventano molto fisici, ascoltare musica può diventare un’esperienza fisica, proprio come la violenza. Per questo credo che abbia senso mettere in relazione questi due elementi molto differenti”.



Del resto a farlo ci pensa anche la cronaca spicciola, nelle settimane scorse la Questura di Monza e Brianza ha messo in sorveglianza speciale il giovane trapper monzese Simone Rizzuto, conosciuto come "Mr. Rizzus”. Voleva "tagliare la gola” (parole sue) al conduttore di “Striscia” Vittorio Brumotti, e aspettarlo sotto casa "per fargli la festa” perché aveva denunciato in tv lo spaccio nel capoluogo brianzolo, un settore produttivo con ogni evidenza molto caro a Mr. Rizzus. E gli esempi potrebbero essere diversi, rap e trap covano nei casi peggiori una subcultura che dalle rime passa al crime. Chiusa la parentesi.



Provando a mettere in fila le tappe salienti di “Rheingold”, una storia che sullo schermo viaggia a ritmi serrati tra schegge di passato e presente, abbiamo, dopo la buia parentesi di Giwar bambino, un giovane immerso nel clima umanamente torrido del classico ghetto urbano, vessato dai soliti gaglioffi e voglioso di riscattarsi attraverso il pugilato, a suon di ganci e diretti somministrati da un maestro curdo della noble art, nel caso da intendere come arte della sopravvivenza. Giwar ormai adulto (Emilio Sakraya, attore di origini marocchine e serbe, è perfetto nel ruolo e somigliante all’originale) si fa un nome nel giro dello spaccio, gettando in comprensibili ambasce la madre Rasal (Mona Pirzad) e il padre Eghbal (Kardo Razzazi). Peccato che perda da autentico pollo un bel po’ di cocaina affidatagli dallo Zio Yero (Ugur Yücel), tipino che non si accontenta di scuse contrite. Urge risarcirlo e così entra in gioco l’oro del titolo, rocambolescamente rubato a Stoccarda. Il concreto miraggio porta Giwar e i suoi sodali in Siria. La legge anti spoiler vieta qualsiasi approfondimento, ma non di spiegare che Giwar in carcere - stavolta in Germania - diventa Xatar: riesce a incidere dietro le sbarre il suo primo cd “Number 415”. Ed è subito svolta.



“Rheingold” sa di discreta rivincita pure per il quasi cinquantenne Akin, deludente con “Oltre la notte” (2017) e “Il mostro di St.Pauli” (2019), lontano dai successi di “La sposa turca” (2004) e del delizioso “Soul Kitchen” (2009). La picaresca, drammatica parabola di Xatar tiene, cavalca, senza lasciar vedere i punti di sutura, tra molti generi, la brutalità dello sradicamento è resa efficacemente e il resto lo fa l’ottimo mestiere registico di Akin. Insomma, vedibile. Frutto di una coproduzione tra Germania, Italia e Olanda, il film è distribuito in Italia da I Wonder Pictures, con sprezzo del pericolo si direbbe, visto il momento, più favorevole alle riprese dei successi dell’annata nelle arene estive. A parte, ovviamente, “Barbie”, bambola seducente e pure sospinta da un marketing coi fiocchi.






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