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TORI E LOKITA
GIOVANI EROI
SENZA SCAMPO

di ANDREA ALOI

 

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I belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne non mollano il colpo, come il vecchio leone Ken Loach. Per i due fratelli, registi e sceneggiatori di storie dure e socialmente non “affabili”, urticanti, il cinema trasuda dal reale e ciò che accade spesso può essere dolore, una scheggia di speranza, un timbro definitivo di esclusione. E il peccato originale nasce dalla marginalità. “Tori e Lokita” - su Sky dopo il passaggio in sala - è un loro film a denominazione di origine controllata, con note di thriller virato al nero pece e la consueta camera a mano a inseguire con partecipe dolcezza di sguardo giovani esistenze difficili, vite verdi presto bruciate. Favolacce.



Il vivace Tori (Pablo Schils) ha undici anni e viene dal Benin, perseguitato in patria come bambino-stregone ha ottenuto i documenti, va a scuola; la sedicenne Lokita (Joely Mbundu) è nata in Camerun, dove ha lasciato madre e cinque fratelli. Ha viaggiato insieme a Tori, sono approdati in Sicilia e poi in una cittadina in provincia di Liegi. Li legano un tenero, solidale affetto e una bugia: Lokita, per ottenere a sua volta i documenti-passaporto, si è fatta passare per la sorella di Tori, che le ha dato più di una dritta in modo da superare l’“esame”, un interrogatorio senza sconti, fitto di domande, alcune a trabocchetto. Che scuola frequentava tuo fratello? C’erano alberi? La prova non viene superata, Tori è tra i salvati, Lokita è destinata a restare tra i sommersi. “Perché non mi vogliono dare i documenti?” chiede disperata e Tori, fratellino di fatto, ha pronta la risposta: “Non ne vogliono sapere di noi”.



Il mondo dell’ufficialità burocratica emargina Lokita, ma quello della delinquenza e della sopraffazione ha già imparato a usarla. Spaccia marijuana, accompagnata da Tori, per conto di Betim (Alban Ukaj) cuoco di una pizzeria che se ne approfitta pure sessualmente.“Mi sento sporca”, “È lui che è sporco” la consola il bambino. Gli immigrati irregolari non sono fantasmi, esistono, sono a modo loro inseriti nella società, poveri corpi-macchina senza diritti e da sfruttare. Lokita è in difficoltà, manda i soldi a casa cercando di sfuggire a Justine (Nadège Ouedraogo) che la tallona perché deve ancora saldare il viaggio dall’Italia al Belgio. Soldi, una manciata di soldi, a segnare il confine tra abisso e decenza. Sempre.



Betim sa fare il suo mestiere di avvoltoio, da ingranaggio di fiducia in una gang di spacciatori promette alla ragazza, angosciatissima e spesso in crisi d’ansia, dei documenti falsi in cambio di tre mesi da segregata. Dovrà accudire nei locali sotterranei di un fabbricato abbandonato una grossa coltivazione di marijuana, senza mai uscire, nessuna o quasi comunicazione con Tori, una cameretta-cella per mangiare e dormire (coi tappi alle orecchie, il rumore dell’impianto di aerazione e è continuo). Viene accompagnata bendata sul posto di lavoro da Luckas (Tijmen Govaerts), un ragazzo dal volto indurito, pretoriano armato della gang. Sono giorni di deprivazione dura, fisica, morale. Con un miraggio, i documenti. Lokita s’immagina, rinchiusa là sotto, di parlare al fratello di vita: “Farò la domestica e vivremo insieme”. E così tanta è la voglia di riabbracciarsi che Tori la raggiungerà, correndo rischi enormi, il suo viaggio nel sottosuolo, tra condotti di aerazione e cancelli, fa palpitare, è un bambino accidenti. Cosa posseggono queste due anime semplici? Nulla, sono persone deboli (non di spirito) che sfidano il mondo. Eppure hanno tutto, un amore fraterno che li ha resi famiglia. Cosa vogliono? Poco, forse meno del giusto ma per loro sarebbe una festa di riconciliazione con la dignità umana.



Giù nell’inferno. E senza più “ritrovar le stelle”, la storia si avvicina a un amaro precipizio. I fratelli Dardenne se la giocano per 88 minuti con una mano registica provetta, non manca suspense, tanto che a Jean-Pierre e Luc è stata quasi rimproverata una ricerca dell’effetto, come se, arrivati più o meno alla boa dei settanta, si fosse indebolita la loro cifra stilistica e autoriale per andare a caccia del pubblico. Altri li hanno bollati come i soliti gauchistes, senza se e ma. “Tori e Lokita”, più che altro, è fin troppo ben costruito, tanto da lasciare talvolta in vista le impalcature e trasmettere un po’ di deja vu. E pare forzato nella sequenza di malasorti che si mangiano vivi il bambino e la ragazzina. Avercene comunque di film così, pur se non raggiunge i picchi di “Rosetta” del ’99 (precariato e lotte tra poveri per miseri posti di lavoro) e “L’enfant-Una storia d’amore” del 2005, entrambi Palma d’oro a Cannes, quest’ultimo narra di una giovane coppia sbandata e di un neonato in vendita ed è stato girato a Seraing, periferia di Liegi, dove i Dardenne sono cresciuti: un posto di ineluttabile tristezza. O di altri struggenti, forti lavori come “Il ragazzo con la bicicletta” del 2011, Grand Prix della Giuria a Cannes, il ragazzo del titolo è il dodicenne Cyril rifiutato dal padre, finito in brutti giri e che trova una madre nuova in una parrucchiera di cuore. E “Il figlio” del 2002, un padre, Olivier, a confronto per caso col responsabile della morte del figlio: qualsiasi idea di vendetta viene a cadere poco alla volta e offrirà al sedicenne Francis, già ospite di carcere e riformatorio, una chance di riscatto.



Sono i film che racchiudono la poetica dei Dardenne, il loro sguardo infinitamente tenero da classico cinema verità su giovani fuscelli abbattuti dalle tempeste di esistenze complicate e segnate da un destino micidiale, tema che ritorna, a livelli meno convincenti, in “L’età giovane” del 2019, con il ragazzino musulmano Ahmed che si radicalizza e progetta l'omicidio della sua insegnante, finendo in galera. Al fondo ci sarà per lui un pochino di luce, quella che proprio manca in “Tori e Lokita”, due eroi senza gloria splendidamente caratterizzati e indimenticabili, in lotta giorno dopo giorno per rialzare la testa, intimamente vicini. La loro canzone è “Alla Fiera dell’Est”, che torna diverse volte nel film, l’hanno imparata in Sicilia e la cantano nel locale di Betim per dare il via alla serata di karaoke. Un momento di commozione pura, eccolo il graffio dei Dardenne.






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