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LA COSPIRAZIONE
DEL CAIRO
L'EGITTO FRA DUE
ASSOLUTISMI

di MASSIMO CECCONI

Egitto ai nostri giorni. Adam è un giovane che ama studiare, malgrado debba aiutare il padre nella conduzione di una faticosa e povera attività di pesca. La sua volontà di approfondire gli studi coranici viene premiata con l’ammissione alla prestigiosa università di al-Azhar, che rappresenta in Egitto la più importante istituzione per la cultura religiosa islamica.

Dal suo piccolo villaggio di pescatori, si ritrova all’interno di una grande scuola/comunità nella quale convivono numerose e diverse scuole di pensiero, rappresentate da vari maestri di pensiero. Accade che, poco dopo il suo arrivo, muore il grande Imam, capo religioso indiscusso, con una conseguente competizione per la sua successione.



Negli affari religiosi, già di per sé complicati e sfaccettati, si inserisce la volontà del governo egiziano di favorire la nomina di un religioso che sia malleabile e rispettoso del potere temporale. Il presidente egiziano Al Sisi, anche se non viene mai nominato direttamente, è la figura di riferimento, come dimostrano tutte le fotografie che arredano gli uffici pubblici e tappezzano la grande capitale. Si mette così in moto un meccanismo cinico e perverso, manovrato dai servizi segreti, che ha come scopo screditare ed escludere candidati non graditi al potere politico.



In questa strategia di manipolazione si muove con consolidata perizia il colonnello Ibrahim dei Servizi, che arriva a reclutare proprio Adam per realizzare, dall’interno dell’università, i voleri dei suoi superiori. Ne conseguono nefandezze e omicidi a cui il giovane studente partecipa suo malgrado, subendo minacce e ricatti di varia natura.

Stante le premesse e il tessuto del racconto, il finale del film è persino troppo consolatorio. Adam torna alla sua attività di pescatore e quando l’Imam del suo villaggio gli chiede cos’abbia imparato nei mesi trascorsi a Il Cairo, il ragazzo evita di dare risposta.



Thriller politico, “La cospirazione del Cairo” conferma il clima vigente in quel Paese che anche noi ben conosciamo per le vicende di Giulio Regeni e Patrik Zaki. Il conflitto tra il potere temporale e quello religioso sta alla base di un malessere diffuso e si combina in una competizione che vira sul filo del rasoio, sempre prossima a deflagrare nelle profonde contraddizioni sociali.

Va da sé che la scena è totalmente dominata dall’universo maschile che controlla sia i dogmi religiosi che i cordoni del potere. La figura femminile è marginale e accessoria. Il film, premiato per la migliore sceneggiatura allo scorso Festival di Cannes, è stato interamente girato in Turchia poiché il suo regista Tarik Saleh, di nazionalità svedese con origini egiziane, è stato bandito dall’Egitto dopo aver realizzato la precedente opera “Omicidio al Cairo” (2017), che descriveva la corruzione della polizia e della politica.



Con “La cospirazione del Cairo” Saleh affronta un tema altrettanto scottante e attuale per un Paese che sembra essere sempre sull’orlo di una guerra civile e religiosa. La tensione del racconto si stempera a tratti in qualche manierismo di troppo.

 

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