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CASANOVA
E UN DOPPIO
DECLINO

di ANDREA ALOI

“Que sera, sera”. Dopo tanto Vivaldi, la voce di Doris Day accompagna al dolce-malinconico finale “Il ritorno di Casanova” di Gabriele Salvatores, quasi il sigillo - o almeno come tale proposto - di una quarantennale carriera dietro la macchina da presa. L’accettazione della senescenza, “quel che sarà, sarà/ non sta a noi vedere nel futuro”, per chiudere le storie parallele di Leo Bernardi (Toni Servillo), acclamato regista che viaggia oltre i sessanta, e Giacomo Casanova (Fabrizio Bentivoglio), avventuriero e libertino quasi in disarmo. Leo non sa, non vuole portare a termine il film tratto dal romanzo breve di Arthur Schnitzler “Il ritorno di Casanova”; il suo alter ego dello schermo (il suo doppio, per restare in uno dei luoghi centrali del “freudiano” scrittore austriaco) non fa pace con un sembiante stagionato, le rughe, le guance cadenti. E al Prospero della “Tempesta” scespiriana Salvatores già aveva affidato l’iniziale epigrafe: “Ora i miei incantesimi si sono tutti spenti. La forza che possiedo è solo mia, ed è poca”.



Mood quasi crepuscolare per un film su un film sovraffollato di riferimenti e temi grandi e ultimativi, l’incedere inesorabile verso l’uscita di scena, il sogno creativo e la dura legge del reale, il gioco e la maturità, la natura labile delle cose, cinema compreso. Dice Leo, in fuga dalla saletta dove l’alacre montatore Gianni (Natalino Balasso) si è caricato l’onere di terminare la post-produzione: “Un film dura finché c’è qualcuno che vuole vederlo”. Il regista che annega nel brodo dei suoi dubbi, ogni inquadratura un bivio e dopo l’ultimo ciak un vuoto. È il Fellini di “8 ½”, ma pure del “Casanova” con Donald Sutherland. E per bocca di Leo risuonano le parole di Hitchcock a una conferenza stampa: “Sapete cosa ha detto una volta? ‘Per voi quello che ho fatto è solamente un film, per me, invece, è tutta la vita’ ”. Appunto. Alberto (Antonio Catania), storico produttore del “maestro” Bernardi, sta sulle spine, “Il ritorno di Casanova” deve essere pronto per il Festival di Venezia e Gianni le canta a muso duro al regista depresso: “Tu hai paura della vita vera, quando un film è finito ti senti perso”. Salvatores sceglie il bianco e nero per le vicissitudini di Leo e il colore per le astute e un po’ bieche gesta di Casanova ospite nella villa di Olivo (Alessandro Besentini). Più chiaro di così.



Tra i motivi esistenziali della crisi di Leo c’è il recente distacco dalla giovane Silvia (Sara Serraiocco), un amore forte, passionale. La ragazza - fa l’allevatrice, i due si sono conosciuti sul set - rimane incinta, Leo, che di Silvia potrebbe essere nonno, manco si vede padre e la liaison di fatto è conclusa. Casanova, com’è narrato da Schnitzler, ha 53 anni ai tempi del soggiorno da Olivo, siamo dunque nel 1778, in pieno secolo dei Lumi. Presto mette gli occhi su Marcolina (Bianca Pianconi), giovinetta piacente assai in tresca col tenente Lorenzi (Angelo Di Genio), un brunetto superbo che ha il difetto, agli occhi di Casanova, da qualche tempo autonominatosi cavalere di Seingalt, d’essere nel pieno del vigore e di aver fatto breccia nel cuore di Marcolina. La fanciulla studia matematica, ha come stella polare Voltaire, guarda al Mondo Nuovo pronto a sgretolare l’Ancien Régime dell’assolutismo sociale e politico e vede Casanova per quel che è, un incipriato damerino che a stento cela la galoppante decadenza fisica (e non solo).



Nelle storie parallele di Leo e del seduttore abbiamo così due donne che incarnano il principio di realtà. Silvia è donna del fare concreto, cura e fa partorire le sue mucche, ama trepidamente il regista e, rimasta incinta, si sente chiedere da lui: “È mio?” e risponde secca: “No, è mio”. Marcolina ha il senso pieno della propria dignità, s’infastidisce degli sguardi libidinosi del cavalier Giacomo al suo décolleté, è proiettata in un altro secolo. Uomini abitati da fantasmi (della virilità, del vagheggiamento di una gioventù eterna, di un male di vivere subìto e non affrontato), donne “programmate” per una saggia consapevolezza. A Leo e Casanova servirà una scatto interiore per rendere meno acerba e irriflessa l’esistenza, in un caso attivato dall’Inaspettata presenza di Silvia al Festival in Laguna, una fiera delle vanità in cui porta il ventre tondo e due occhi di dolcezza infinita; nell’altro da un duello all’ultimo sangue fatale per il tenente Lorenzi, dopo aver conquistato con un sotterfugio sagace e però ignobile le grazie di Marcolina: Casanova ha combattuto nudo come un vermetto, si piegherà alla fine sul cadavere dell’antagonista provando una pietas profonda. Per quel giovane morto e per sé. Mulina il fioretto anche Leo, ma il contesto è buffo: rintuzza una pattuglia di giornalisti giunti ad assediarlo in albergo.



Il film nuota in acque cinematograficamente conosciute perché arriva dopo una bella sfilza di film “casanoviani”, la lista è lunga, dalle “Avventure di Casanova” di Jean Boyer (1946) alle caratterizzazioni di Alain Delon nel lavoro di Edouard Niermans (1992) pure questo tratto dal romanzo di Schnitzler, e di Heath Ledger nel 2005, dal Casanova agente segreto e guascone nel “Cavaliere misterioso” di Riccardo Freda con Vittorio Gassman (1948) a “Il Mondo Nuovo” di Ettore Scola (1982) con il cavaliere (Marcello Mastroianni) in viaggio verso l’ultima meta in Boemia, forse il film che più si avvicina a questo Casanova, non solo, come si è visto, per l’età avanzata del coprotagonista. Salvatores non ha l’ambizione di riattualizzare il personaggio del libertino settecentesco o di rileggere il libro di Schnitzler (già ispiratore con “Doppio sogno” di “Eyes wide shut”, ultimo lavoro di Kubrick, film conturbante sui confini dell’eros che disputa, sia detto a scanso di equivoci, un altro campionato).



Se pur immerso in un mare di temi pensosi che potrebbero giustificare un’accusa di “luogocomunismo”, “Il ritorno di Casanova” è un film col dono della levità, ben scritto (da Salvatores con Umberto Contarello e Sara Mosetti), pulito e onesto sull’arte della compassione verso se stessi quando si diventa vecchi e molto se non tutto si trova dietro le spalle, sul viaggio che può portare o meno all’adultità, che è definitiva fuoriuscita dal guscio dell’egoismo. Di agile passo, coi suoi 95 minuti, è ben servito dalla fotografia di Italo Petriccione e dal montaggio di Julien Panzarasa senza sbavature nel raccordo tra i due piani narrativi. Il film stesso, poi, con la figura di Gianni, paga un tributo al lavoro di chi siede davanti a computer e moviola e “traduce”, dà assetto a ciò che il regista ha scelto di girare.



Il montatore del “Casanova” (perfetto Balasso) tende una mano amica a Leo, lo scuote: “I segreti e la solitudine uccidono”, è lui a condurre in porto la nave quando il regista cede a una malinconia così severa da mandare in tilt tutta la domotica del suo ricco appartamento, un pizzico di surrealtà che non stona. Salvatores ha cercato per questo film venato d’autobiografia un cast complice, dall'amico Elio de Capitani (il marchese Celsi) a Marco Bonadei (il giovane regista rampante Lorenzo Marino, ennesimo doppio del film, stavolta del tenente Lorenzi), fino a Fabrizio Bentivoglio, al sesto film col regista milanese, a un pelo dalla gigioneria ma sempre godibile, con la sua rabbia fredda, quegli occhi semi abbassati e le labbra imbronciate da vitellone fuori tempo massimo (a proposito di tormentate immaturità, sono 70 anni giusti dal capolavoro di Fellini). Toni Servillo si dà molto, ha mille toni e qualcosa in più ancora: non è maschera, ma persona. Applausi. Da estendere a Sara Serraiocco per l’interpretazione matura e commovente di una ragazza che sa custodire i suoi sentimenti d’amore, a dispetto delle altalene che capitano nella vita.



Nella lunga, variegata corsa creativa di Salvatores, tra “Mediterraneo” (1991) premiato con l’Oscar e il mezzo insuccesso critico di “Nirvana” (1997, la fantascienza made in Italy funziona poco), i thriller “Io non ho paura” (2003) e “Quo vadis baby” (2005) fino a “Comedians” (2021), “Il ritorno di Casanova” occupa un posto speciale: “È la prima volta che parlo un po' di me, la vita è più importante del cinema”, ha detto. Producono Indiana, Babe Film, Rai Cinema, Edi Effetti Digitali Italiani. In 429 sale con 01 Distribution.

 

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