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UN BEL MATTINO
LA VITA
TRA DECLINO
E GIOIA

di ANDREA ALOI

Sandra, traduttrice e interprete, è vedova da cinque anni e ha una vita fin troppo tranquilla, divisa tra lavoro e accudimento della piccola Linn e del padre Georg gravemente malato. Non ha ancora quarant’anni, un cuore in inverno e l’impressione di aver lasciato la vita sentimentale dietro le spalle. Sembra quasi impossibile nella struggente Parigi primaverile che vediamo all’inizio di “Un bel mattino”, tenero e implacabile film di Mia Hansen-Løve, quasi coetanea della protagonista, cui dà anima con sensibilità e profonda dedizione d’attrice Léa Seydoux, una diva planetaria qui con tanta voglia di giocarsi un complesso ruolo tessuto di chiari e di scuri, inattese dolcezze e dolori da attraversare fino alle soglie di una nuova maturità.



Si vedono libri, tanti libri, scaffali pieni a casa della figlia e del padre (Pascal Greggory, un veterano del cinema francese), professore di filosofia colpito dalla inesorabile sindrome di Benson che lo sta accecando e relegando in un marasma mentale senza uscita. “Era quello che più amava, leggere, e adesso non riesce più a farlo”, dice Sandra reduce dall'ennesima visita al genitore nella casa di riposo a Montmartre dove è stato portato dopo un penosissimo viaggio in diverse strutture assistenziali una più triste dell’altra e un primo ricovero all’Hôtel-Dieu, il più antico ospedale della capitale. Montmartre lì accanto e zero possibilità di goderne, la contiguità tra l’infermità, la dura vecchiaia e la vita “normale”, piena degli altri, la sconfitta anche del migliore intelletto davanti alla fragilità del corpo: “Un bel mattino” arriverà, ma prima nessuno sconto, fin dall’incipit.



Sandra e Linn (deliziosa Camille Leban Martins) si recano a trovare la bisnonna quasi centenaria, volto dagli occhi vivaci solcato e macchiato dal tempo, quasi un campo di battaglia, un trattato epidermico sulla vecchiezza. “Non esco più, la parrucchiera viene in casa, passano a tagliarmi le unghie”, racconta lucidamente l’anziana, ha accettato la sua condizione, il fisico si è arreso però le resta una mente in gamba. Non così il padre, fatica ad aprire la porta alla figlia e ormai si fa imboccare, l’ex moglie Françoise (Nicole Garcia) invita Sandra e la sorella Elodie (Sarah Lepicard), in modi che appaiono bruschi ma è solo sano realismo, a cercare una struttura dove ricoverarlo, Pascal ha una compagna che ama teneramente, Leila (Fejria Deliba), ma è cagionevole e non può farsi carico di lui, risultando così l’unica donna non coinvolta, tra parenti e infermiere, nelle cure.



Sandra è triste, desolata, vedere il padre brillante professore così lontano da se stesso la tortura, trova un suo diario dello sprofondamento nella malattia, una scrittura che si fa via via tremolante, una resistenza tenace ma inutile. Poi si apre, merito di un incontro fortunato, uno spiraglio, Sandra rivede il vecchio amico Clément (Melvil Poupaud), si frequentano, lo va a trovare nel suo ufficio-laboratorio: fa il cosmochimico - non l’astrofisico, puntualizza - cerca polveri dello spazio di comete o asteroidi e le analizza con lo spettrometro di massa. Le parole tra loro si fanno confidenti, Clément sta simpatico a Linn, si accende la passione e l’uomo avrà modo di stupirsi che un corpo come quello di Sandra, una Venere assoluta, sia rimasto “addormentato per così tanto tempo”.



Il rapporto cresce, si amano, ma Clément ha moglie e figlio, non è pronto allo strappo e già lo spettatore s’immagina il solito maschio vile e profittatore che lascia e riprende l’amante a piacimento. Non sarà così, è un bravo Cristo, ma Sandra dovrà masticare solitudine e sconcerto e riaffogarsi nel solito train de vie con l’aggiunta di un’incombenza cruciale, deve occuparsi dei libri di Pascal. In qualche misura liberarsene. Tanti li terrà con sé, altri finiranno a casa di un’allieva del padre (Elsa Guedj) e giusto lì vediamo Sandra e Linn impegnate ad aprire gli scatoloni, per la bimba un gioco - dove va Hannah Arendt? e Kafka? ma questi libri di uno che si chiama Hegel sono scritti in tedesco! -, per la madre un passo verso l’elaborazione di una prossima perdita: “Mi sento più vicina a lui attraverso i libri che parlando con la persona che vive ormai in quella camera all’ospizio”. Il corpo tradisce il padre e tradisce Sandra perché Clément vive ancora con la moglie, racconta bugie con Linn che accenna una zoppia (inesistente) per attrarre l’attenzione.



Passano mesi, Clément ha scelto Sandra per sempre. Insieme vanno da Pascal e partecipano al coro, animato da un gruppo di scout, che riunisce i degenti della casa di riposo nel salone. Magistrale, senza limiti espressivi, Léa Seydoux dona a Sandra un riso che si fa pianto quando il padre partecipa come può al canto dei degenti: eccolo l’uomo fiero, il filosofo caustico, è già lontano, indifeso. Tutto scorre, le spine e i crucci fanno il loro dovere e pungono, la quiete e gli affetti danno il loro miele. Una vita si spegne, un’altra torna a germogliare. Sandra vuole una promessa di dolce morte da Clément nel caso venisse in futuro a trovarsi in una situazione come quella del padre, ha paura di guardare su internet, teme di incubare una malattia ereditaria. Clément l’abbraccia: proviamo a essere felici per il tempo che ci resta.



Si chiude così un film dalla trama visiva classica e carico di un surplus di significato per Mia Hansen-Løve, che nel 2020 ha perso il padre colpito proprio dalla sindrome di Benson. E ben incardinato nella poetica della regista parigina, già attrice negli anni giovanili in due film di Olivier Assayas. Si pensa in particolare al suo “Le cose che verranno” (“L’avenir”, del 2016). Isabelle Huppert è Nathalie, intellettuale impegnata e professoressa con la pretesa di “modellare” il pensiero dei suoi studenti grazie al pensiero dei grandi filosofi, cui si è votata. La hybris dell’intelletto, vanto dell’essere umano, pure qui verrà sconfitta da due abbandoni, muore l’anziana madre che lei curava e il marito la lascia per un’altra. Il disorientamento la costringerà a scoprire un nuovo senso di vita.



Come Sandra anche Emmanuelle (Sophie Marceau), la protagonista di “È andato tutto bene” (2021) di François Ozon, si deve affacciare sul crollo fisico del padre (André Dussollier) che le chiede di aiutarlo a morire. Figlia e padre sull’orlo dell’abisso, stessa storia in “The father-Nulla è come sembra” (sempre 2021) con Anthony Hopkins e Olivia Colman. L’affinità di quest’ultimo film con “Un bel mattino” è ancora maggiore e però solo per l’esoscheletro della storia (una figlia amorevole e un padre in drammatico declino), perché nel notevole film d’esordio del francese Florian Zeller la malattia si fa essa stessa cinema tendendo tranelli allo spettatore con le “visioni” del padre ormai sprofondato nella demenza senile, mentre nel film di Mia Hansen-Løve l’afflizione corporale è messa in tensione col passato di intellettuale di Georg in una narrazione naturalistica. E se “The father-Nulla è come sembra” vive drammaturgicamente del confronto Hopkins-Colman, “Un bel mattino”, fatte salve la formidabile interpretazione di Léa Seydoux e la bella prova di Pascal Greggory, è un film più corale. Distribuisce in Italia in poche copie Teodora, quindi grazie allo streaming.



 

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