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BABYLON
VITE SPERICOLATE
AL TEMPO
DEL MUTO

di MASSIMO CECCONI

Il regista Damien Chazelle ci aveva ben abituati con un paio di film piuttosto riusciti come 'Whiplash' e 'La La Land' ai quali si accoda ora questo 'Babylon' che, si parva licet, “brilla” più di ombre che di luci.



Bel Air, California, 1926. In una sontuosa quanto pacchiana magione nel bel mezzo del deserto si consuma una grande festa nella quale tutti i controlli inibitori vengono meno. Una sontuosa orgia nella quale, accanto a corpi accaldati e denudati, scorrono fiumi di liquori e chilogrammi di droghe. Per non dire di un enorme elefante che compare in scena quale metafora di ogni eccesso.

In quell’ambiente Jack Conrad (Brad Pitt), una star del cinema muto hollywoodiano al capolinea anche per via dell’arrivo del sonoro, si muove con estremo agio e padronanza della scena. Nellie LaRoy (Margot Robbie), un’aspirante stellina decisamente disinibita, muove i suoi primi passi nel mondo del cinema. Manuel Torres (Diego Calva), un emigrante messicano con modesta funzione di factotum, dichiara la sua passione per i set cinematografici.



Intorno a questi tre personaggi, alle loro vite spericolate, agli intrecci di incontri e scontri, Chazelle costruisce la sua Babilonia cinematografica che molto deve, se non tutto, a Hollywood Babilonia, l’esplosivo libro di Kenneth Anger, pubblicato nel 1959, che si nutre di scandali, orge, stravizi, crimini e misfatti vari.

La prima parte del film, con tutti i suoi palesi e dichiarati eccessi, ricostruisce con divertita partecipazione il mondo del cinema hollywoodiano di quegli anni, con affollatissime sedute di ripresa alle quali partecipano cast faraonici, per quanto sgangherati e improvvisati.



Jack Conrad tiene botta, Nellie LaRoy si annuncia come la nuova star del cinema americano e Manuel “Manny” Torres si afferma come instancabile e creativo produttore esecutivo.

Quando quel mondo fasullo inizia a scricchiolare, anche per via, come detto, dell’avvento del sonoro, la parabola in discesa dei tre protagonisti non si arresta più.



Nel 1952, Torres, che per traversie varie si è trasferito da molto tempo a New York, torna in visita agli studi di Los Angeles nei quali aveva lavorato anni prima. Con il groppo in gola, entra in una sala cinematografica per rivedere con l’immaginazione le scene in bianco e nero della sua passata vita di cinematografaro.

Con oltre tre ore di proiezione, Babylon cerca di “stupire i borghesi”, forse con qualche anno di ritardo, senza aggiungere nulla di nuovo a quanto già si sapeva sulle “malefatte” hollywoodiane e dei suoi protagonisti. Per quanto realistica, ennesima rappresentazione di un mondo fasullo in cui gli eccessi di ogni tipo sono (o erano?) all’ordine del giorno.



Godibilissime le scene più movimentate e colorate, alquanto stereotipate le figure dei personaggi che sembrano solo abbozzate. Accade, a più riprese, di cogliere un che di déjà vu.



Sontuoso, sfarzoso, fine a se stesso.





 

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