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FAIRYTALE
QUATTRO DEMIURGHI
E L'INCUBO
DEI TIRANNI

di ANDREA ALOI

“Ho lavorato per anni negli archivi in Russia, in Giappone, in Germania, è la mia grande passione”, ha confessato. In Aleksandr Sokurov, potente e visionario regista russo, la Storia, il Potere e il Tempo sono il fulcro, la ragione prima del suo fare cinema, dal capolavoro “Madre e figlio” (1997) al travolgente “Arca russa” (2002), girato in un unico piano sequenza al Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, un viaggiatore e uno straniero in visita al tempio dell’arte russa e “avvolti” dai dipinti nella storia del grande paese. Dal “Faust” Leone d’Oro a Venezia (2011) alla trilogia “Moloch”, “Toro” e “Il Sole”, dedicati rispettivamente a Hitler, Lenin e all’imperatore giapponese Hirohito.



Il satanico Führer torna adesso nella schiera dei potentissimi protagonisti di “Fairytale-Una fiaba”, con Stalin, Churchill e Mussolini, 78 minuti immersi in un limbo spettrale e livido. Una magia, un incubo. Il settantunenne Sokurov non gira film per palati rovinati dai fast movie, generoso e intimamente, assolutamente artista quanto può esserlo un’anima russa, si prende il suo tempo, inventa, sogna e gira come dipingesse e la musica si fa immagine. Un autore che sa coltivare il suo granello di follia. Putin, è naturale, non lo ama, anzi, fa in modo che venga ignorato.



I quattro demiurghi, tra i massimi forgiatori della Storia del XX secolo, “interpreti” lo sono davvero e parlano nelle rispettive lingue madri (Mussolini è stato doppiato da Fabio Mastrangelo). Sokurov ha impiegato due anni di ricerche in tutto il mondo per ricavare da filmati d’archivio i loro gesti ed espressioni che meglio si confacessero alla storia che voleva narrare, un lavoro di artigiana minuzia, rivendicato nei titoli di testa: “Per questo film sono stati usati esclusivamente materiali d’archivio senza l’uso di deep fake o altri mezzi di intelligenza artificiale”. La caccia è stata fruttuosa, i padroni del mondo nell’oltrevita hanno molti fratelli e in “Fairytale” - fiaba cucita nell’ombra che si schiude sulla misteriosa frase "Hai strangolato Satana, portatore di passione, con le corde divine della tua sofferenza” - vagano talvolta insieme, dopo essersi risvegliati da un sonno non proprio eterno, addirittura tre o quattro Mussolini o Churchill, si sfiorano, si toccano, si guatano con sospetto e malizia, spesso si accusano l’un l’altro di puzzare, urinano e cacano.



Straparlano (copione di Sokurov con dosati tocchi grotteschi) irriducibili, congelati nella Storia che hanno ”fabbricato” spendendo milioni di vite umane. Così Hitler è istericamente in fissa con gli ebrei ed è convinto che Stalin sia “un ebreo caucasico, un ebreo raro”, si rammarica: “Perché non ho bruciato Parigi?”, consola sfocate vedove di guerra ridotte a fantasime: “La Germania vi darà pane e un uomo”. Mentre il miles ingloriosus Mussolini, camminando tronfio di fianco a una interminabile teoria di cadaveri nota: “Qui sono io e la mia Claretta”. I quattro sentenziano, non comunicano. “I comunisti sono primitivi, “Il comunismo è teoria, il fascismo è realtà”, “La religione è una malattia psichica”. Sono intossicati dalle loro stesse parole. Povera cosa è forse il Potere?



Siamo in una plaga sproporzionata di stordenti verticalità, vicina alle illustrazioni di Gustave Doré, con alti archi cadenti come nelle stampe di Piranesi sulle rovine romane e un’enorme cava di funebre marmo bianco. È un’aria angosciante di vite che non riescono a morire, forse la più conturbante resa cinematografica di un sogno sospeso tra la materialità e il nulla. I leader si presentano uno alla volta all’enorme portone del Paradiso, chiedono ad alta voce che gli sia aperto, ma si intravede solo una luce accecante, non sono accolti. Ci va vicino solo Churchill, con un’arietta furba, ma niente da fare, deve tornare a consolarsi, in attesa di istruzioni della Regina, pensando all’Impero britannico. Tra le guest star del limbo di Sokurov ci sono Napoleone, che di aquile imperiali se ne intende e, nelle prime scene, si rianima anche Gesù Cristo.



A dare un profumo dostoevskiano, è un Nazareno franto e sperduto che pare ancora alle prese col Grande Inquisitore. “Ho male dappertutto”, geme, e si lamenta dei ritardi nella sua consegna al Padre. Stalin, imperturbabile, consiglia pragmaticamente di non recargli danno, perché “può esserci utile” e si chiede, col volto che non tradisce una virgola di emozione: “Come sta il mio amato popolo russo?”. Intanto Hitler pensa per un attimo di prendere a calci nel sedere Churchill, fa pure il simpatico e ogni tanto scorre del sarcasmo, come quando un mulino frana miseramente e una voce consiglia: “Chiamate Cervantes”. Ma c’è un altro protagonista, un magma (meravigliosamente animato e dipinto) di anime in pena, un fiume enorme e addolorato, quasi spighe di grano percosse dal vento, un chiaroscuro in cui si individuano volti, il ghigno del Diavolo e un soldato della Wehrmacht. ”Salgo su e ti uccido” sibila quest'ultimo a un Hitler piegato sulle sponde del fiume a braccia protese verso un popolo che di lui non sa più che farsene. Note di musica possente, militare e classica, trascinano le immagini.



“Fairytale”, titolo originale “Skazka”, in Italia è distribuito da Academy Two in poche copie e per ora non è disponibile in streaming. Passato ai festival di Locarno e Torino, in Russia non ha neanche ottenuto il visto di censura. Né approvato, né respinto, pure lui nel Limbo come i quattro. Sicuramente non è stata gradita dall’apparato o dall’ente apposito, il Roskomnadzor - il Big Brother per media e affini -, la riduzione a larva inconsapevole del “piccolo padre” Iosif Džugašvili. Putin ha istituito una commissione per la ripulitura dei testi scolastici di storia, dove latitano gli storici ma abbondano generali e alte gerarchie dei servizi. E di Stalin si deve parlare solo positivamente, è stato il leader che ha guidato l’Unione Sovietica verso la vittoria nella Grande Guerra Patriottica, nonostante diversi errori strategici prima dell’Invasione nazi. Purghe, gulag e lavori forzati, antisemitismo, disseccamento di molte delle più pure voci della cultura russa, l’Holodomor?



Lasciamo stare, glissiamo. Nel Russkiy mir, il Mondo russo, nuova e a un tempo arcaica visione di Putin e dei suoi ideologi, la Storia si scrive à la carte, pizzicando qua e là dal menu. Quindi sì a Stalin e no a Lenin e ai suoi accoliti, colpevoli di aver sancito il diritto alla secessione delle repubbliche nella Costituzione sovietica del 1924, una bizzarra idea fonte di disgregazione, vedi l’Ucraina. Sì al generale Žukov, fiore all'occhiello dell’Armata Rossa, assurto al Pantheon del neo-nazionalismo russo in assurda compagnia di un suo fiero nemico ai tempi della guerra civile post Ottobre, Anton Ivanovich Denikin, uno dei capi dell’Armata Bianca poi rifugiatosi in America. Le sue spoglie sono state trasferìte nel 2005 dal cimitero di Detroit al monastero di Donskoy a Mosca, realizzando così un desiderio dello stesso Denikin e dando sopratutto un segnale forte di ritrovata unione del popolo in nome della patria e del sacro suolo russo. Ogni tirannide ha bisogno di una buona dose di mistica.



Nel presentare qualche settimana addietro “Fairytale" in Italia, Sokurov ha espresso un doloroso disagio: “La responsabilità di un uomo potente che scatena una guerra e cagiona la morte di tante persone anche innocenti non è diversa da quella di chi ha permesso che quell’uomo andasse al potere. Possiamo pure riuscire a fucilare o a impiccare un dittatore, ma che cosa facciamo dei milioni di persone che hanno favorito l’ascesa di quel tiranno? Sì, ho difficoltà a vivere nella Russia attuale. Non solo come artista. Io, come cittadino, posso solo scrivere lettere al presidente, dando un senso alla mia protesta per ciò che sta accadendo in Russia sul fronte della situazione politica e della guerra. Ma da tempo non ricevo più risposte. Sono considerato una persona ‘non grata’, nessuno pubblica più le mie cose. I media dell’opposizione hanno quasi tutti lasciato il Paese. Uno Stato non è libero senza le voci delle opposizioni. Per questo sono preoccupato”.

Ancora una considerazione del regista sul riproporsi di una Russia eterna matrigna verso i suoi uomini migliori, i più onesti e capaci: “Spero che i miei studenti di cinema riescano ad evitare di essere arruolati a forza per combattere quella guerra. Il cinema è un’arte collettiva: servono tante persone, soprattutto capitali ingenti. Per me è sempre più difficile trovarli. Purtroppo ci sono momenti nella storia di un Paese, e questo è uno di essi, in cui un’intera generazione rischia di essere privata dei suoi diritti, della capacità di esprimersi, eventualmente anche di opporsi”.

 

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