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FOREVER YOUNG
MANDORLI
IN FIORE
DI GIOVENTÙ

di ANDREA ALOI

I francesi definiscono birichinamente “nombrilistes” quei film così danzanti sull’ombelico dell’autore da risultare splendidamente superflui e, quel che è peggio, noiosi. Anche se poi c’è ombelico e ombelico e regista e regista, non hanno forse ampiamente pescato negli intimi precordi Truffaut e Fellini? Valeria Bruni Tedeschi, notevole attrice, arrivata alla sesta regia, dopo esercitazioni di puro “nombrilismo”, vedi “I villeggianti” del 2018, ha fatto centro a cinquantotto anni con “Forever Young-Los Amandiers”, vibrante, tenerissima rivisitazione dei suoi primi passi nell’arte della scena alla scuola di recitazione del Théâtre des Amandiers di Nanterre diretta da Pierre Romans. Amandiers, mandorli da far fiorire alimentando il calore di una vocazione ultimativa, che dev’essere profondamente testimoniata, perché “non è un passatempo recitare, è pericoloso, difficile: è la vita che dovreste rappresentare”.



Lo spiega Patrice Chéreau, direttore e anima tutelare del teatro a nord-ovest di Parigi, quando, con i dodici allievi rimasti dei quaranta che avevano superato la prima scrematura, si accinge a “montare” un’opera giovanile di Čechov, “Platonov”. È il 1986, l’anno di Chernobyl. Per resuscitare i vent’anni delle tempeste e dei sogni Valeria Bruni Tedeschi, in sceneggiatura con Noémie Lvovsky e Agnès de Sacy, ha scelto Nadia Tereskiewicz, una bionda, appassionata Stella, che non esita a denudarsi, letteralmente e non solo, davanti alla commissione d’esame. Nel branco si lega subito alla rossa Adéle (Claire Bretheau), di gagliarda simpatia, e al talentuoso Victor (Vassili Schneider), ma sono ragazzi, si muovono in onda unica, incollati in una piccola comunità di destino e già abbastanza strutturati, pur con tutti i turbamenti del caso. Alcuni corrono, Edje (Frank Noam) sta per diventare padre, la moglie sua ha l’aids e la malattia nuova e allora implacabile ghiaccia le vene di un gruppo di ragazze che scoprono, per via di amorazzi comuni, di correre il brutto rischio: paura e rabbia, a vent’anni no! Stéphane (Oscar Lesage) e Claire (Eva Danino) svettano per bellezza, sanno però che non basta e Claire, poi, nel “Platonov” in allestimento deve interpretare un’anziana, ruolo in cui se la caverà più che bene. La formosa Juliette (Liv Henneguier) ha una carica comunicativa speciale e basta vederla scatenata negli esercizi di risveglio emotivo che il gruppo esegue a New York, al mitico Actor’s Studio, emozionante tappa di formazione, per capire che ha i numeri giusti.



Qualcuno è rimasto fuori, una ragazza (l’espressiva Suzanne Lindon) accetterà un posto di cameriera al bar del Théâtre des Amandiers pur di stare vicina alle tavole del palcoscenico. E c’è poi un tipo bruno esistenzialmente ai margini, benché dentro alla scuola di recitazione, ciondola malmostoso, spegne con l’eroina la rabbia verso un padre abbandonico e il disagio di una povertà vera. Si atteggia a uomo che ha assaggiato l’amarezza del vivere, non gli è servita per indurirsi, però, è un cristallo fragile. Etienne (un Sofiane Bennacer di immediata antipatia) è il tipo che può piacere a una ragazza con qualche istinto di crocerossina, una da “io ti salverò”. Stella, giusto lei che è un sole di vita e - con magione de luxe e maggiordomo - sta al capo opposto della scala sociale, se ne innamora, ci prova inutilmente. Etienne, con l’aria dell’eterno inconciliato a cospetto di un mondo cattivo, le promette di riscattarsi. Vincerà l’eroina, col suo classico corredo, la morte, e Stella ne uscirà straziata: meglio avrebbe fatto evitandone le spire, ma i vent’anni sono l’età perfetta per “errare”, nel senso duplice di sbagliare e di vagabondare in sé.



Etienne è preciso riferimento all’attore Thierry Ravel, compagno di corso e amore di Valeria Bruni Tedeschi morto nelle stesse circostanze a neanche trent’anni. Sono i giorni che precedono l’atto finale del corso, fervono le prove dei “Platonov”, per il regista Chéreau (un Louis Garrel che dà mostra di sguazzare felice nel ruolo) è una gran scommessa, ha per mano ragazzi in formazione, talvolta persi in altri pensieri e faccende e il testo di Čechov è lungo. Conviene potarlo di una metà e sperare in bene, il direttore della scuola Pierre Romans (Micha Lescot) allestirà una “Pentesilea”, altra imponente opera drammaturgica di von Kleist, per dare piena visibilità, tra gli altri, ad Anaïs (Léna Garrel, è la sorellastra di Louis) rimasta delusa perché la sua parte nel “Platonov” decurtato praticamente non esiste più. Sarà l’amazzone protagonista e subito pensa a come gestirsi il seno destro, ritenuto inutile orpello dalle mitiche guerriere letali con l’arco. Arte, vita, messa in gioco e messa in scena.



Sotto il segno di una stagione ardente (la regista in un primo tempo aveva pensato a “Vivre dans le feu” come titolo del film), Stella rompe in lacrime la sera della prima. La larga mano di Chéreau, per una volta paterno e non irascibile, si appoggia alla sua spalla, la spinge sotto le luci, sul palco. Ciò che avvenne nei fatti, il regista la farà esordire al cinema nell’87 nel suo “Hotel de France”. Vent’anni, Una linea d’ombra è varcata.

“Forever Young-Los Amandiers” non è una rêverie o una passeggiata nostalgica nei “bei tempi passati”, è una vena limpida d’amore e compassione, vive di quella interna necessità che fa lievitare l’arte quando è vera. Insieme a un fresco, valoroso cast concorrono alla bella riuscita - son due ore abbondanti senza un minuto di troppo, a volte fanno capolino, complice l’aria parigina, un clima da “The dreamers” di Bertolucci e profumi di nouvelle vague - la fotografia di Julien Poupard immersa nell’epoca e l’agile lavoro della camera con affabili sapori documentaristici. In tono le sottolineature musicali, a partire da una struggente Janis Joplin, che in “Me and Bobby McGee” sigilla uno dei sentimenti profondi del film: “Freedom's just another word for nothin’ left to lose”, la libertà è solo un'altra parola per più nulla da perdere. Abbondante la pesca nella canzone francese degli anni ’80, da Charles Aznavour a Daniel Balavoine, addirittura un bis per “Guarda che luna”, resa celebre negli anni ‘50 da Fred Buscaglione e ormai diventata preda di mille cover.



Passato in concorso a Cannes, il film è stato con intelligenza accostato, esteriormente, da Michele Anselmi all’eccellente “Drive my car” del giapponese Ryūsuke Hamaguchi. Tratto da un racconto di Murakami, anche in questo caso fulcro è una messinscena da Čechov, lo “Zio Vanja”, completamente diverso è il mood. In sala con 120 copie distribuito da Lucky Red, chissà se “Forever Young-Los Amandiers” si gioverà delle polemiche che hanno investito frontalmente il venticinquenne Sofiane Bennacer sbattuto sulla prima pagina di “Libération” come il più classico dei mostri. Per lui gravi accuse di stupro e violenza da parte di quattro donne, notizie già note durante la lavorazione del film che non hanno fatto deflettere Valeria Bruni Tedeschi, Bennacer doveva rimanere sul set, era indispensabile nel ruolo. L’attrice e regista ha poi difeso il ragazzo, diventato suo compagno dopo le riprese del film, in nome della presunzione d’innocenza, accusando la stampa di linciaggio mediatico.

 

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