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LA STRANEZZA
SE IL CINEMA
SI INCHINA
AL TEATRO
E A PIRANDELLO

di ANDREA ALOI

 

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Cento minuti di cinema-cinema in onore di un gigante del teatro, Luigi Pirandello, e in amore di una Sicilia di luce e d’ombra. Senza le impettite concettosità che possono aureolare la figura del drammaturgo, entrando piuttosto nel suo “laboratorio” creativo con empatia e sensibilità. “La stranezza“ del palermitano Roberto Andò, scritto con Ugo Chiti e Massimo Gaudioso e prodotto da Angelo Barbagallo con Rai Cinema e Medusa, che lo distribuisce senza parsimonia, è un film squisito, magistralmente girato. E una fettina dei meriti va innanzitutto a Leonardo Sciascia che al giovane Andò aveva regalato la biografia di Pirandello curata dallo studioso Gaspare Giudice. Vanno anche sottolineate le scelte del casting. A fianco di Toni Servillo, un Pirandello prodigiosamente mimetico, regala infatti crepitante brio alla storia di un momento cruciale per il Maestro la coppia Valentino Picone e Salvatore Ficarra, nei panni rispettivamente del mite Sebastiano (Bastiano) Vella e di Onofrio (Nofrio) Principato, guitto sublime, erede del Franco Franchi dell’episodio “La “Giara” nel pirandelliano “Kaos” dei fratelli Taviani. Due necrofori con la passione del palcoscenico, dalle bare - anzi, sicilianamente, dai tabbuti - alla filodrammatica.



“Ho in mente una stranezza, che sta diventando quasi un’ossessione”. Settembre 1920, Luigi Pirandello, già rinomatissima gloria letteraria, è sceso da Roma alla natia Girgenti per consegnare all’ottantenne Giovanni Verga il discorso che ha scritto per celebrare il suo compleanno. Il padre del Verismo (gli dà voce l’ottimo Renato Carpentieri) non ne vuol sapere di uscite pubbliche, di encomi solenni, si sente accantonato, ingiustamente visto che nello stesso anno sarà nominato senatore del Regno, e amicalmente imputa al drammaturgo di aver “messo una bomba sotto un edificio che abbiamo costruito: la realtà”. Sante parole, l’insonne Pirandello è uomo del Novecento, di fantasmi si nutre, di nudo, lucido pessimismo, di pungenti cogitazioni “freudiane” sulla crisi dell’Io. Sarà caso o destino, ma è nato in contrada Caos (ancora!), vicino al bosco Càvusu. Il maestro che ha già consegnato alla storia “Il fu Mattia Pascal" ha appena portato a teatro una commedia, “La signora Morli, una e due”, ma si sente la vena in secca, vive un periodo tristo, l’anno prima ha dovuto lasciare in una clinica per malattie mentali la moglie Maria Antonietta Portulano, incombe sulla famiglia una pesante crisi economica. “La stranezza” di cui dice a Verga lo tormenta, patisce quella inquietante afasia creativa, quel ribollire di un “qualcosa” che non riesce a depositarsi sulla pagina. Serve un’ispirazione, una piccola luce, un’occasione per superare il frangente, amareggiato ulteriormente dalla morte dell’amata balia Maria Stella (Aurora Quattrocchi) poche ore dopo il suo arrivo a Girgenti. Per la cronaca e la Storia: ai tempi non era ancora passata dal nome di origine araba all’Agrigento d’ascendenza latina, così ribattezzata nel ’27 secondo i desiderata del regime fascista. La “stranezza” diventerà “Sei personaggi in cerca d’autore”, pièce così teatralmente rivoluzionaria da suscitare, tra i primi spettatori, un certo scandalo.



Pirandello è uomo che teatro respira e pensa, dal teatro viene la svolta che scioglie l’inceppo. Per dare degna sepoltura alla balia si rivolge alla coppia di becchini, che al principio non lo riconoscono e per due aspiranti teatranti è un bel colmo. Bastiano ha scritto un’operuzza, “La trincea del rimorso”, e ha ambizioni drammatiche, difficili da sostenere a guardare la compagnia raccogliticcia e dilettantesca impegnata nelle prove. Spicca il mattocchio che non sa pronunciare una battuta filata e la spezza, con effetto farsesco: “Non ho nessuno, scopo e sono felice”. E la sera della prima nel teatrino di Girgenti - Pirandello assiste di nascosto - Nofrio demolisce da par suo, virando al burlesco, il lavoro “serio” di Bastiano, satireggiando un poco immaginario impiegato del Comune, non ne fa il nome ma la platea pensa ovviamente all’untuoso Mimmo Casa (l’efficace Rosario Lisma), uso a reclamare bustarelle per accelerare le pratiche di inumazione. Mimmo si alza, inveisce, Nofrio non si tace e il pubblico schiamazza, avvinto dalla baruffa fuoriprogramma. Non è finita. Un velenoso attorino, innamorato senza speranze della sarta di scena Santina (Giulia Andò), fa in modo che un billet doux da lei destinato all’amore suo vero, l’infelicemente coniugato Sebastiano, arrivi nelle mani di Nofrio, il di lei fratello, puttaniere e però possessivo nei confronti della donna di casa. Con alti strepiti e lazzi divertiti in platea s’innesca un’altra bagarre tra Bastiano e Nofrio. Autore e attore gettano ciascuno la propria maschera. L’agire quotidiano, la realtà, dilaga in scena, demolendo l’ideale quarta parete che separa attori e astanti. Un’idea illumina PIrandello, la vena riprende a scorrere.



Il 9 maggio del 1921, un anno dopo, il Valle di Roma ospita la prima dei “Sei personaggi”, Bastiano e Nofrio, che intanto hanno fatto pace, sono stati invitati da Pirandello. E assistono sconcertati alle rabbiose proteste del pubblico, in larga parte incapace di digerire quel teatro nel teatro portato dai sei personaggi, un Padre, una Madre, il Figlio, la Figliastra, il Giovinetto e la Bambina, revenants vaganti che irrompono sul palcoscenico e chiedono agli attori, guidati dal capocomico (Luigi Lo Cascio), di rappresentare il loro dramma, una triste storia di morte e separazioni. Ci provano, gli attori, ma non ci riescono. I sentimenti dei sei non rivivono, non ritrovano vita i personaggi. Sotto gli occhi sornioni, traguardanti di Pirandello, giunto al proscenio per i saluti di rito, quasi tutto il pubblico bercia partecipando senza saperlo allo spettacolo, “entra in scena” a sua volta dalla platea con urla di “Manicomio!”. Lo spettacolo a tanti risulta “osceno” e il termine secondo l’etimologia inventata da Carmelo Bene significherebbe “fuoriscena”: una derivazione inesistente e però pirandellianamente “vera”. Il Valle si spopola, Nofrio e Bastiano rimangono chiusi dentro al teatro, si guardano: “Quello che dovevamo fare, l’abbiamo fatto”. Sipario. Pirandello nel ’34 sarà Premio Nobel per la letteratura.

“La stranezza” è stato girato tra Catania, Palermo, Trapani e il borgo medioevale di Erice, inappuntabile la ricostruzione storica, larga la messe di eccellenti attori (il citato Lo Cascio, Donatella Finocchiaro, Galatea Ranzi, Fausto Russo Alesi) impegnati in parti anche minime, un segno d’affetto per il regista, da tanti anni diviso tra regia cinematografica e teatrale, perfettamente a suo agio in questo lavoro sui temi dell’identità e della maschera, già frequentati coi due gemelli di “Viva la libertà”, agra commedia tra recite della politica, equivoci al sapor di paradosso, rimescole interiori e fertili dubbi. Con un traballante leader dell’opposizione e un fratello non in arnese e pur sorprendente, tutti e due nella mani sapienti di Servillo, mattatore onnivoro del cinema italiano.






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