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LA NOTTE DEL 12
FEMMINICIDI
E OSSESSIONI
POLIZIESCHE

di ANDREA ALOI

 

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“C’è qualcosa di sbagliato nel rapporto tra gli uomini e le donne”. Si sfoga così un agente della polizia giudiziaria di Grenoble in mezzo a un’indagine - ormai arenata - sulla morte di Clara Royer, ragazza barbaramente uccisa a Saint-Jean-de-Maurienne, in Savoia. Mentre rincasava nel cuore della notte, il 12 ottobre 2016, le hanno gettato addosso del solvente dandole fuoco. Una fuga disperata, la torcia umana che si accascia, la vita di una giovane libera, amata dai genitori, negata da quello che in tante cronache viene chiamato “un folle gesto”. Di lì si dipana un film che sfiora il capolavoro, “La notte del dodici” di Dominik Moll, autore anche della sceneggiatura con Gilles Marchand. L’inchiesta sul delitto tocca al capitano Yohan Vivès, 36 anni, appena nominato capo della squadra anticrimine della polizia giudiziaria di Grenoble e la morte atroce di Clara diventa presto un’ossessione, per lui e i suoi uomini, li mette a nudo, tra ardori investigativi e debolezze, fottutissimi luoghi comuni sulle donne che si decidono senza padroni i sentieri dell’amore, mezze frasi che lasciano intendere: se l’è cercata.



Sale la rabbia impotente, Yohan, con l’esperto Marceau, il collaboratore più stretto, si butta avidamente sui minimi indizi, poco o nulla gli rimane tra le mani. È come quando monta in bicicletta e gira in tondo come un criceto sulla pista del velodromo per scaricare la tensione, un frustrante punto e a capo. L’ossessione. Tutti i poliziotti hanno sulla schiena un omicidio irrisolto che li ha sconvolti per sempre. Racconta Marceau: una volta una vecchia è stata accoltellata in casa, si era avvolta in un tappeto per non macchiare di sangue il salotto. Tarli che rodono. Ogni anno in Francia la polizia giudiziaria apre più di ottocento inchieste per omicidio, e quasi il 20 per cento di queste non ha successo. “La notte del dodici” nasce dal libro “8.3 Une année à la PJ" di Pauline Guéna, giornalista che per scriverlo ha trascorso un anno intero seguendo il lavoro della polizia giudiziaria di Versailles. E s’impone con una calma e prepotente lucidità, “pedinando” poliziotti che tra mille debolezze incarnano il Bene, davanti al Male indistinto, tanto più tossico quanto più non si riesce a dargli un volto, a inchiodare un colpevole. Perché di una cosa sono certi Yohan, Marceau e gli altri: è un delitto dai connotati maschili, la violenza estrema, annullante di femminicidi, acidi gettati in faccia, donne arse all’ultimo atto di menti degradate dalla gelosia, da un delirio. L’attesa di una metanoia maschile, di un rinnovamento interiore profondo durerà fino a quando, in una società non plasmata a misura delle donne?



Di tutto questo disagio, ora sottile ora ribollente, “La notte del dodici” s’intride, procedendo sulle cadenze del quotidiano poliziesco, delle notti in appostamento, della scintilla che lascia presagire una svolta, della rabbia davanti all’offesa fisica e spirituale, al dolore dei genitori di Clara. Marceau (Bouli Lanners, notevole), già fiaccato da una separazione, va in burn out, scoppia (“combattiamo il male scrivendo rapporti”) e cerca giustizia per conto proprio, non rispettando le procedure quando alcuni indizi paiono convergere su un giovane tanghero in passato indagato per brutali violenze domestiche ai danni di una precedente compagna. Marcel lascia la polizia, Yohan, un misurato, accorato Bastien Bouillon, alla sua prima, riuscitissima prova da protagonista, deve tener botta e lo fa. Una giudice convinta a riaprire l’inchiesta e una nuova poliziotta gli ridanno cuore e pace, Yohan smette di correre in tondo al velodromo e sale di buona lena in bicicletta su un’erta strada di montagna.



Bisogna vivere, l’esperienza, anche la più severa deve far parte di noi, va accettata. Come scriveva Calvino, la sfida è tutta lì: riconoscere nell’inferno dei viventi ciò che non è inferno e difenderlo e farlo durare. “Clara è stata uccisa perché era una donna”, dice la sua più cara amica. Parole che chiedono una pausa, riflettiamoci su. Di per sè, appartenere al genere femminile costituisce una istigazione a delinquere, a ferire.

“La notte del dodici”, a volerlo classificare esteriormente, è un polar, policier + noir. Lo è, ma va tanto, tanto oltre. Il vissuto dell’anticrimine, i passi dell’indagine, i metodi investigativi seguiti con sguardo anatomico, lo sguardo freddo nella microsocietà maschile della squadra anticrimine lo rendono un piccolo classico del genere; l’indistinta, maligna, oscura compresenza del “demoniaco” nell’acqua già poco limpida in cui i poliziotti si provano a nuotare senza affogare richiamano prove cinematografiche di alto rango, c’è chi ha addirittura scomodato, per la forza dispiegata da Moll nel far campire in partitura il Bene e il Male, “La morte corre sul fiume” (1955), dell’inglese Charles Laughton, mirabile attore nella sua prima e unica esperienza dietro la macchina da presa (uno dei film col bollino “imperdibile”).



Dall’eccelso al più che buono, si potrebbero evocare, sul tema “ossessione del’investigatore”, due film di David Fincher, l’inquietante “Seven” (1995) con Brad Pitt e Kevin Spacey, e “Zodiac” (2007), un ispettore (Mark Ruffalo) e un disegnatore (Jake Gyllenhaal) fuori di testa per dare un nome al “Killer dello Zodiaco”, omicida seriale a San Francisco a cavallo tra i Sessanta e i Settanta. Territori “neri” peraltro frequentati in passato da Dominik Moll, con “Harry, un amico vero” (2000), scritto sempre con Gilles Marchand, commedia dark con un lussuoso Sergi Lopez, vincitore di quattro César, e il recente "Only the animals. Storie di spiriti amanti" (2019), un gioco a incastri imperniato sulla sparizione di una donna durante una bufera di neve e relative, ben strane, figure sospette. “La notte del dodici”, distribuito da Teodora Film, meritava un’uscita più coraggiosa, con più copie.






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