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PUTIN
IL LAMBRUSCO
E I VINI
DI CRIMEA

di NEREO PEDERZOLLI

Il Lambrusco rischia di trasformarsi in un vino della discordia, dopo il putiferio scatenato da Silvio Berlusconi con l'annuncio che ha regalato “al suo amico Putin” qualche bottiglia del vino simbolo dell’Emilia. Un putiferio mediatico e politico intorno alle bottiglie di un vino che è tra i meno costosi in assoluto, e sugli scaffali delle enoteche spesso non raggiunge gli otto euro. Produzione intensiva, assolutamente “pop” con quasi 150 milioni di bottiglie annue, tutelate da specifiche DOC e altrettante denominazioni territoriali.

ibridi 2 Un paesaggio in Crimea

Regalarlo a Putin sembra un controsenso. Anzitutto perché il belligerante zar russo è un grandissimo intenditore di vini, Lo confermano autorevoli e documentate fonti giornalistiche e la stampa internazionale. Anche quella che si occupa più di vino che di strategie belliche o di colloqui bilaterali tra potenti. Putin ha ospitato più volte anche Silvio Berlusconi. Nei festeggiamenti compare spesso il buon bere. Memorabile è rimasta la visita di Silvio Berlusconi nel settembre 2015 all’azienda vinicola Massandra, in Crimea, cantina fondata nel 1786 e ritenuta la più blasonata della Russia. Si estende per oltre 11 mila ettari, ha otto specifiche cantine e una potenza produttiva difficilmente quantificabile. Custodisce tra la vastità dei vigneti residenze e testimonianze zariste. Legami storici con antichi coloni d’origini liguri, monaci genovesi che portarono sulle sponde del Mar Nero varietà di viti occidentali, piante che a loro volta s’incrociarono con viti ancestrali, tipologie nate proprio sulle pendici caucasiche del monte Ararat, la culla viticola per eccellenza. Cantina ora decisamente putiniana, dove riposano bottiglie dal valore inestimabile, molto più longeve e fascinose di un onesto Lambrusco.

Torniamo alla visita di Berlusconi. Si narra che in quella occasione sia stata stappata una bottiglia di un Jeres de la Frontera - vino spagnolo di grande longevità - imbottigliato nel 1775. Non solo. Il canale satellitare russo RT ha messo su YouTube un video in cui compare Berlusconi che prende in mano una bottiglia del 1891 e chiede in inglese a Putin “Possiamo berla?”. Altro che Lambrusco. Una bottiglia come quella può valere quanto 15 mila bottiglie del versatile rosso emiliano.

genoma editing

Putin non è solo un collezionista e intenditore di vini. Ha sempre incentivato anche la produzione locale, per evitare massicce importazioni di vini a basso prezzo, riservando agli oligarchi solo le griffe più esclusive con prezzi stratosferici. In pieno conflitto la Russia non ha minimamente cessato di sviluppare la vitienologia. La conferma viene dai vivaisti italiani. Una miriade di cantine dei territori già ucraini - la Crimea è penisola nel Mar Nero, zona annessa alla Russia dal conflitto del 2014 - continua a chiedere forniture di barbatelle (le piantine di vite) di varietà internazionali, ma anche particolari cultivar caratteristiche dei territori dolomitici. Anche perché i ristoratori russi devono fronteggiare rincari del 40% sul prezzo dei vini d’importazione – che giungono nelle enoteche dopo triangolazioni commerciali complicatissime - orientandosi così verso le bottiglie di vino autarchico, prodotto in Russia. Ma per soddisfare le richieste interne bisogna progettare nuovi quanto vastissimi vigneti. Gli spazi certo non mancano. Neppure i finanziamenti: la carenza è solo di barbatelle indenni da malattie.

ibridi 2 Vallagarina

Nei giorni scorsi ai vivaisti trentini (tra i più attivi in Italia, assieme al centro di ricerche di Rauscedo, in Friuli) sono state chieste ingenti forniture di viti, da mettere a dimora possibilmente prima delle gelate invernali. A Marco Vacchetti, vivaista trentino di Pietramurata e grande sperimentatore, è arrivata la domanda di oltre 40 mila viti di Marzemino, il vino della Vallagarina e Rovereto, in aggiunta a diverse tipologie di viti ibride (Solaris e Johnniter). Sempre alta e inconsueta è la richiesta della Russia viticola di un’altra varietà del Trentino: il Rebo, incrocio ottenuto negli Anni ’30 da un genetista di Padergnone, minuscola borgata tra Trento, Toblino e Madonna di Campiglio. Vite Rebo, dal nome del suo creatore Rebo Rigotti, che riuscì a incrociare Merlot con Teroldego per poi vendemmiare uve a bacca rossa, pregne di carattere e di facile coltivazione, anche in terre lontane dalle Dolomiti. Crimea compresa: non a caso il Rebo è vino rosso tra i prediletti di Putin.

Il presidente russo lo ha offerto a quello francese, in uno dei primi incontri con Macron che tentava di scoraggiare l’invasione russa dell'Ucraina. Vino Rebo, produzione decisamente putiniana, vinificato con tutti i carismi del caso nella tenuta di Usaba Divnorskoye, cantina custodita in una delle dimore predilette da Putin, un palazzo che fu al centro dell’ultima inchiesta di Navalny. In un contesto tanto ricercato il Lambrusco pare proprio un vino fuori luogo. Quasi quanto le improvvide esternazioni di Berlusconi.



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