Il suono di una fisarmonica accompagna una performance su un palcoscenico che più bello non si può: la scalinata e i portici dell’Istituto degli Innocenti costruito nel 1400 su progetto di Filippo Brunelleschi. In scena gli attori delle Compagnie Malviste, un gruppo di donne straordinarie in sottoveste bianca. Poco dopo il suono grave e pastoso di un sax baritono che fa da sottofondo musicale di altri momenti del vastissimo programma della tre giorni dell’Alzheimer Fest.

Il via alla festa è stato dato da un concerto d’organo di Simone Stella nella basilica della Santissima Annunziata. La musica, mi chiedo e cerco di darmi una risposta, sarà una componente importante della cura? Si, mi dicono, la musicoterapia produce effetti molto positivi sui malati di Alzheimer, riuscendo ad arrivare anche dove sembrano esserci poche speranze di sollievo per chi ha gravi compromissioni a livello cognitivo. Poter godere delle melodie e a trarne giovamento complessivo sono proprio le persone affette dal morbo di Alzheimer. Musica, canto, ballo e danza fanno parte integrante degli strumenti di cura. Ma ne fa parte tutta l’arte, in qualunque modo declinata risulta di una efficace utilità estrema, non a debellare la malattia, per cui non esiste cura né farmacologica né clinica, ma a mitigarne gli effetti.

L’Alzheimer Fest ha fatto tappa a Firenze. Da cui il titolo della sesta edizione: “Rinasci-Menti, l’arte della cura”. La Festa è sempre stato un viaggio, un grande gruppo di oltre 1.200.000 persone che, con il loro sforzo comune, coinvolgono tre milioni di familiari solo in Italia. È un’occasione di incontro per familiari e ammalti. A simboleggiare il viaggio un camper colorato parcheggiato in piazza. Il tema del rapporto tra cultura e malattia è dunque il tema della festa. Le arti, la bellezza svolgono un ruolo fondamentale per combattere la solitudine e il declino cognitivo. L’Organizzazione mondiale della Sanità e il Piano nazionale prevenzione 2020-2025 incoraggiano la costituzione di politiche sanitarie basate sul dialogo tra cultura, educazione e socialità. Ogni famiglia con un ammalato d’Alzheimer tende a rinchiudersi nel privato. L’obiettivo della Festa è sviluppare, favorire il dialogo tra tutti gli attori che lavorano in questo contesto e soprattutto l’informazione alle famiglie su quanto è possibile fare. In piazza Santissima Annunziata e dentro l’Istituto degli Innocenti la cultura viene declinata in varie forme, dalle fotografie di persone colpite dal morbo ai vari stand, dove si dialoga, si fa musica, si gioca, ad una sorta di anfiteatro delimitato da balle di paglia, gazebo, installazioni artistiche, tra cui spicca un cavallo rosso gigante.

È l’incontro di quanto esiste dell’approccio all’Alzheimer non farmacologico, fatto di mille altri percorsi che non quello farmacologico, esperienze che mirano al benessere e a migliorare la qualità della vita degli ammalati e dei familiari. Tutto questo viene mostrato e raccontato in piazza. Si diceva dell’arte. La Toscana dal 2020 ha dato vita ad un sistema dei musei per l’Alzheimer, a cui aderiscono più di venti organizzazioni che rappresentano oltre sessanta musei in tutto il territorio regionale. Sono realtà diverse, dai musei d’arte, di storia naturale, orti botanici, musei archeologici, etnografici e scientifici, biblioteche, dai musei grandi e affollati con migliaia di visitatori ad altri piccolissimi. Alla Festa viene distribuito un opuscolo dove provincia per provincia sono elencate tutte le realtà museali che aderiscono.

C’è chi ha ricreato in alcuni centri Alzheimer, come quello dell’ospedale Briolini di Cazzaniga, nel bergamasco, stanze adibite proprio a museo, con foto di famosissime opere d’arte abbinate ad una stoffa di un colore predominante che si ritrova nel dipinto. Chiediamo ad Annamaria Morandi, educatrice professionale del Centro Alzheimer dell’Ospedale Briolini, che per aiutarci a capire l’utilità e gli scopi di questo museo in miniatura, ci simula una seduta con un ammalato virtuale. “Ora ti faccio toccare con le mani questa stoffa. Che sensazione ti da, di benessere, ti rilassa, o altro? Mi sai dire che colore ha la stoffa che stai toccando?”. “È rosso”. “In questa immagine (è un Raffaello, ndr) dove ritrovi il rosso”? “Nel manto”. “Bello, bello. Il rosso è un colore freddo o caldo”? “Non saprei”. “Tocca bene, guarda bene, ti do un aiutino … ca…”. “Caldo”.

A cosa serve? “Innanzi tutto per il rilassamento, la rievocazione, la storia dei ricordi, in particolare per gestire i disturbi comportamentali, l’agitazione, l’apatia, a ridurre anche l’aggressività. Tante volte per delle allucinazione i pazienti possono vedere o immaginare delle cose che in realtà non esistono. Aiutano a riprendere un equilibro non di tipo farmacologico”.
In piazza Santissima Annunziata c’è anche lo stand dei Giovani nel Tempo, un’associazione di promozione sociale bolognese. Tra gli strumenti validati per la protezione della memoria anche il gioco della tombola, ma una tombola non basata sui numeri. Ce lo spiega la vicepresidente Antonella: “Si tratta di una tombola che anziché avere i numeri ha delle fotografie, di cose, oggetti, animali, frutta, abbigliamento. Abbiamo molti modi di interagire. Cerchiamo di dare vita a un piccolo dialogo con le persone. Qualcuno potrebbe essere interessato a sapere quante cose si possono fare con il maiale, allora cominci a stimolare anche il dialogo, la fantasia, il ricordo. Oppure, nel caso capiti la foto di un fungo, gli chiediamo se ricorda quando andava a funghi, se conosce dei funghi”. “Proponiamo dei giochi da condividere per creare un po' di socializzazione, per mantenere la memoria, conservarla e stimolarla, qualunque gioco può essere d’aiuto. Facciamo parte di famiglie che hanno parenti con deficit di memoria che si sono riunite in quest’ulteriore famiglia per aiutare gli altri a non aver timore di dire che un familiare ha bisogno di un supporto, di far capire come muoversi all’interno delle varie realtà, per condividere progetti, Caffè Alzheimer, per cercare dei momenti ludici ma anche creativi per queste persone che hanno un loro nuovo modo di vivere e di relazionarsi con gli altri. Le varie attività, il confronto, la socialità, la gioia riescono a far passare meglio il tempo a queste persone”.

L’Alzheimer è una malattia progressiva per combattere la quale manca un farmaco specifico. Marco Trabucchi è il presidente dell’Associazione Italiana di Psicologia e direttore scientifico del gruppo ricerca geriatrica di Brescia. “Fondamentalmente non sappiamo neanche bene quali siano i meccanismi che lo provocano. Per cui pensare ad un farmaco senza avere idee chiare sui meccanismi della malattia è molto difficile, fino a quando non si saprà dove agisce, in che settore. Ci siamo illusi in questi ultimi anni di aver trovato la strada giusta, ma poi si è visto, ad una ulteriore sperimentazione, che non funziona. Ci sono mille e più laboratori di tutto il mondo che stanno lavorando e questo è motivo di grande speranza. Prima o poi qualcosa salterà fuori. Finora la ricerca è stata molto rigida e conservatrice, ha seguito le strade classiche. Bisognerà provare a cambiare radicalmente, e allora sono convinto che tra qualche anno qualche speranza si potrà realizzare”.

L’architetto Michele De Luchi, intervenuto insieme allo storico Franco Cardini, ad un incontro sull’ ”Architettura della cura dal Medioevo al Tremila”, affronta un tema che guarda al futuro, a come si dovrebbero trasformare i luoghi di cura. “Il problema dell’Alzheimer - dice - non è il problema dell’Alzheimer, ma di chi cura l’Alzheimer. Ne discende che bisogna lavorare non tanto sulla cura dell’ammalato quanto sulla cura di tutta la società. E un tema gigantesco”. In che direzione ci si sta muovendo? “Idealmente sarebbe bello non fare più ospedali, hospice e centri Alzheimer. Sarebbe bello far sì che la cura diventasse un grande tema, costante, quotidiano, di qualsiasi ambiente, di qualsiasi luogo, privato, urbano. È un tema che forse è più portato avanti dalla scienza e dalla tecnologia più che dal mondo politico e sociale, che c’è ma è tutto volontaristico. Quello organizzato fa fatica a raccogliere tutti gli impulsi della società”.

“Ho appena finito di progettare un museo della medicina a Basilea per la Novartis. È stato realizzato perché la Novartis, come tutte le aziende farmaceutiche del mondo, non costruiscono più recinzioni e muri per difendere le proprie ricerche e il proprio patrimonio di scoperte sulle molecole, sulle medicine. Hanno scoperto, pensate un po' che stranezza, che funziona molto meglio un mondo nel quale si dialoga!”. La nuova strada si chiama custom medicine, medicina fatta sulle persone. Che è costosissima, perché è realizzata su misura per singoli individui. “Nel futuro ci saranno cure adattate e studiate per ogni singolo paziente. E questo idealmente, potrà produrre che gli ospedali non esistono più”.
Quale sarà, dove sarà questo luogo di cura ideale? “Sono convinto che se vogliamo cercare veramente i luoghi di cura ideali li troveremo più nel mondo naturale che in ambienti standardizzati, burocratizzati. Dovranno sicuramente essere organizzati e burocratizzati, ma viviamo tutti nel mondo delle contraddizioni, che non supereremo mai. Le contraddizioni sono dappertutto, la democrazia stessa è una contraddizione. Ma così raffinata, così preziosa… Ecco, la prima cura che dovremo avere è proprio questa, curare la democrazia”.

Lascio piazza della Santissima Annunziata con un pensiero pazzo. Immagino tutti senza più memoria in giro alla scoperta di Firenze, senza sapere nulla né del suo passato né del suo presente. Ognuno avrebbe bisogno dell’altro per cercare di capire e trovare insieme la strada per sopravvivere. Sarebbe una straordinaria occasione per un nuovo inizio, per costruire da zero un futuro, come novelli Colombo alla scoperta della propria America.