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MILANO
CASE E COLORI
QUEL QUARTIERE
ARCOBALENO

testo e foto di GIULIA GIGANTE

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In pieno centro di Milano, a una ventina di minuti di cammino a passo medio dalla piazza del Duomo, si cela un quartiere speciale in cui si susseguono casette colorate circondate, a volte quasi completamente occultate, dal verde. È una sorta di quadrilatero delimitato da via Archimede e via Sottocorno che occupa la superficie dell’ex-stazione ferroviaria di Porta Tosa.



È qui che, quasi all’improvviso, sbucano villette dai colori vivaci, rosso, verde, azzurro, viola e arancione, senza dimenticare l’immancabile giallo milanese, minuscoli giardini, cortili e scalette, spazi interni rigorosamente senza macchine e qualche cancelletto (socchiuso). Il borgo, spesso chiamato “Arcobaleno”, è nato da uno degli svariati progetti utopistici di fine Ottocento con l’intento di costruire, sul modello delle città-giardino inglesi, una “città ideale” per gli operai e i ferrovieri che lavoravano nella zona di porta Vittoria, che all’epoca si trovava ancora ai margini del centro.



Il progetto, originariamente molto ambizioso, di tre architetti - Giovanni Ceruti, Luigi Mazzocchi e Giuseppe Poggi - prevedeva la realizzazione di una vera e propria città composta di 307 abitazioni unifamiliari, in cui gli operai potessero vivere in villette a due piani con orto e giardino. L’intento originario fu abbandonato per mancanza di fondi e fu deciso di concentrarsi su un nucleo più piccolo, che si sviluppasse essenzialmente tra via Lincoln e via Franklin, ma l’idea di base, almeno inizialmente, rimase. A realizzarlo fu la cooperativa S.E.A.O. (Società edificatrice di abitazioni operaie), che promuoveva un’edilizia popolare e filantropica, un’architettura d’impegno civile al servizio della città e delle classi meno abbienti.



L’iniziativa prese vita quasi come un’impresa romantica in una fredda serata d’inverno del 1877, intorno al fuoco acceso del “Consolato operaio”, quando un gruppo di lavoratori intirizziti pensò che mettendo insieme le somme dei canoni d’affitto pagati ogni mese si poteva costituire un capitale che avrebbe rappresentato già una buona base per edificare un primo gruppo di abitazioni.



Fu così che venne creata la cooperativa e, una volta raggiunta la cifra di 4000 lire, si diede avvio al progetto. La particolarità era che gli alloggi, oltre ad essere funzionali e relativamente economici, dovevano essere belli e permettere anche a semplici operai di vivere in villette col giardino. La città ideale era una piccola utopia, che purtroppo è stata realizzata solo in parte ma che suscita ancora la meraviglia dei passanti. La bella favola però finisce qui perché ora il quartiere si è snaturato e ha perso del tutto la sua funzione originaria diventando uno dei più cari ed esclusivi di Milano. Sic transit gloria mundi.






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