LOADING....!!!!!






e

IL CAPITALE
E I VIGNETI
DI MARX

Il pensatore si occupa di vino nel III libro dell'opera, che venne pubblicato solo nel 1894, undici anni dopo la sua morte. Si tratta di una parte fondamentale nello sviluppo del pensiero marxista su lavoro e valore delle merci.

di ALBERTO GRANDI

Condividi su:

Noi sappiamo per certo che a Marx piaceva bere vino, non solo, ma sappiamo che era anche di gusti difficili. Quando era in ristrettezze economiche, e la cosa a quanto pare succedeva spesso, non esitava a chiedere al suo amico e finanziatore Friedrich Engels di procurargli qualche buona bottiglia, che evidentemente lui non poteva permettersi. Il grande filosofo di Treviri sembrava apprezzare in particolare il Claret, vale a dire il Bordeaux, e il Porto. Per contro, non amava lo Champagne e soprattutto non amava particolarmente la birra e questo per un tedesco di nascita era decisamente molto strano.

Che questa sua passione per il vino emerga qua e là nel fitto epistolario con amici e parenti può non sorprendere, ma che addirittura occupi uno spazio di tutto rispetto nel suo testo più importante, 'Il Capitale', è davvero un fatto strano. Non credo che sia necessario ricordare come questa poderosa opera, pubblicata in quattro volumi tra il 1867 e il 1910, sia ancora oggi considerata un caposaldo del pensiero filosofico, economico e politico del mondo moderno. Anche i più feroci critici della teoria marxista, in qualche modo, devono farci i conti. E adesso vedremo che anche i sommelier e persino gli astemi farebbero bene a darci un’occhiata.

Marx si occupa di vino nel III libro del Capitale, che per la verità venne pubblicato solo nel 1894, undici anni dopo la sua morte. Si tratta di una parte fondamentale nello sviluppo del pensiero marxista, perché è proprio qui che viene criticata la teoria liberista secondo la quale è il lavoro che determina il valore delle merci. In realtà, Marx vuole dimostrare come il valore non sia una proprietà “naturale” dei beni presenti sul mercato, ma risulti connesso alle specifiche caratteristiche storiche del modo di produzione capitalistico. Tale cambio di prospettiva deriva da un profondo ripensamento sul concetto stesso di valore, distinto in valore d’uso e valore di scambio.

A questo punto, ammesso che a qualcuno non sia già venuto il mal di testa, vi starete chiedendo giustamente cosa c’entri tutto questo col vino. C’entra, fidatevi, e c’entra soprattutto con le famigerate denominazioni di origine. La caratteristica essenziale di tutte le denominazioni basate sull’origine territoriale dei vini, infatti, non è altro che il tentativo di garantire la qualità del vino citando la terra su cui sono coltivate le viti. Con l’intento dichiarato di voler garantire la qualità, le denominazioni permettono ai proprietari di quelle terre di ottenere profitti maggiori di quelli che potrebbero ottenere dai loro vigneti se rimanessero al di fuori dell’area di denominazione. Di fatto, ogni area all’interno della demarcazione diventa di monopolio.

Ecco la parola magica: monopolio. Il vecchio Marx detestava i monopoli e non era l’unico, a dir la verità, ma è proprio su questo che finisce a parlare di vino. La prende larga e da buon intenditore si sofferma inizialmente sulla questione della qualità: “Una vigna che produce vino di qualità assolutamente straordinaria, vino che in generale può essere prodotto soltanto in quantità relativamente scarsa, frutta un prezzo di monopolio. Il coltivatore della vigna verrebbe a realizzare un plusprofitto considerevole da questo prezzo di monopolio”. Il problema è che la qualità di un vino è difficile da stabilire una volta per tutte, può variare da un anno all’altro e possono anche mutare i gusti dei consumatori. Per questo, ci spiega Marx, al monopolio basato sulla qualità è più facile e più sicuro sostituire il monopolio basato sulla terra: si stabilisce per decreto che le vigne che crescono in un determinato luogo, solo per questo fatto, produrranno in eterno un vino di qualità superiore. “Così il plusprofitto che sgorga da un prezzo di monopolio si trasforma in rendita e in questo modo finisce in mano al proprietario fondiario, grazie al suo titolo che gli dà diritto a questa porzione di terra”.

Sappiamo tutti che quando analizzava il comportamento degli imprenditori Marx era uno che tendeva a pensare male e quindi l’idea che un monopolio potesse essere creato artificialmente, attraverso la demarcazione giuridica dei vigneti, era del tutto ovvia. Ma la cosa curiosa è che lui sembrava più preoccupato per quelli che avevano delle terre fuori dalle aree della denominazione, che non per quelli che vi rientravano. Lo stesso tipo di investimento, infatti, può essere fatto in ciascun vigneto, ma il vino di un vigneto all’interno della demarcazione avrà un valore di mercato molto più alto di quello del vigneto immediatamente esterno, senza che vi siano reali differenze dal punto di vista qualitativo. Per questo, secondo lui, la delimitazione precisa di ciascuna area con denominazione offriva occasioni notevoli di corruzione e, addirittura, di disordine sociale, poiché i vari produttori sarebbero entrati in conflitto per ottenere un qualche titolo sulle terre di monopolio.

L’esempio più classico è quello dello Champagne, un vino che proprio non piaceva al grande pensatore tedesco, che poteva essere prodotto in quantità pressoché illimitate a condizione che la singola etichetta dimostrasse di possedere o di avere in affitto anche un solo francobollo di terra all’interno dell’area di denominazione. Dal punto di vista di Marx questa era una cosa che assomigliava molto a una truffa e forse anche per questo continuava a non piacergli quel vino frizzante che faceva impazzire i ricchi di mezzo mondo. Proprio questo pensiero, però, finiva per rendergli lo Champagne quasi simpatico, perché in fondo: “il valore del prodotto sarebbe esclusivamente determinato dalla ricchezza e dalla preferenza dei bevitori altolocati”. Insomma, se un capitalista furbo ruba un po’ di soldi a un altro capitalista meno furbo, sono solo affari loro e, ci spiega Marx, a noi umili consumatori non resta che cercare consolazione in vini meno rinomati, ma non per questo meno buoni.





ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI FOGLIEVIAGGI

© Tutti i diritti riservati



Ritorna


Foglieviaggi è un blog aperto che viene aggiornato senza alcuna periodicità e non rappresenta una testata giornalistica. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001. Le immagini presenti sul sito www.foglieviaggi.cloud provengono da internet, da concessioni private o da utilizzo con licenza Creative Commons.
Le immagini possono essere eliminate se gli autori o i soggetti raffigurati sono contrari alla pubblicazione: inviare la richiesta tramite e-mail a postmaster@foglieviaggi.cloud.
© foglieviaggi ™ — tutti i diritti riservati «all rights reserved»