Siamo partiti da Sesto San Giovanni alle 7 del mattino, due pullman pieni di una quindicina di studenti con i loro insegnanti, di figli e di nipoti di deportati e di altri “pellegrini”. Prima di tutto una gioia ritrovarsi per chi si conosce da tempo ed ha partecipato ai viaggi negli anni passati. E la voglia di conoscere i ragazzi, i loro insegnanti e quelli che sono al loro primo pellegrinaggio.
Il nostro pullman percorre l’autostrada per Bergamo e poi su per la valle dell’Isarco con una strada affascinante con il fiume che incrocia e si intreccia con la via passando sotto mille ponti e ponticelli. Appena c’è tra montagna e montagna un po’ di terreno piano o per lo meno non impossibile ecco le vigne ordinate e curate, quelle che danno l’uva e il buon vino di queste zone.
Sul pullman ci si conosce e riconosce. Mariela Valota, nipote di Guido assassinato nella marcia della morte da Vienna a Mauthausen del gennaio del 1945 e figlia di Peppino, morto di recente e studioso della deportazione, legge la lettera che scrisse anni fa Mario Taccioli per spiegare perché lui, deportato a Mauthausen e sopravvissuto, tornava ogni anno a maggio al campo. “Noi siamo tornati. Loro, i nostri morti sono rimasti e ci aspettano sempre, a primavera. Per questo noi torniamo nei lager”.
Taccioli era un disegnatore industriale diplomato alla scuola di Cesena e lavorava alla Breda di Sesto San Giovanni, la “fabbrica rossa” che arrivò ad avere 24 mila dipendenti. Era stato arrestato dopo i grandi scioperi del marzo 1944 che aveva contribuito ad organizzare e deportato a Mauthausen. Tornato a casa e al suo lavoro in Breda, per molti anni era stato il presidente della sezione di Sesto San Giovanni dell’Aned. Suo nipote, Fabio, medico, era anche il dottore della squadra di calcio della Pro Sesto. Una domenica allo stadio si presentarono dei tifosi con uno striscione con simboli nazisti. Fabio si piazzò nel mezzo del campo “Se non scompare lo striscione non mi muovo e la partita non comincia”. I simboli nazisti scomparvero.
Noi dell’Aned di Sesto San Giovanni-Monza partiamo con due pullman e con una ventina di studenti. Purtroppo i reduci dai campi non ci sono più e anche noi figli cominciamo a scomparire o a essere anziani. Come sempre ci saranno Raffaella, il cui padre operaio della Falck venne arrestato dopo gli scioperi del marzo del 1944 e morì a Mauthausen, e Milena, il cui padre, che aveva perso una gamba nel ribaltamento di un motocarro con cui faceva trasporti clandestini, finì al Castello di Harteim dove già prima della guerra venivano rinchiusi ed assassinati cittadine e cittadini tedeschi con problemi fisici o psichici.
Ci siamo fermati per pranzo a Bressanone, la bella piazza con il Duomo e la sede del Comune, le scritte bilingui e mentre io mangiavo un panino wurstel e crauti una signora tedesca accanto a me ordinava insieme spriz, patatine e cappuccino.
Riprendiamo il viaggio e sfioriamo Bolzano dove c’era uno dei 4 campi nazisti in Italia. Era un campo di transito, perché normalmente i detenuti venivano poi avviati a Mauthausen. Ma anche lì ci furono morti ammazzati, torture, umiliazioni. Ci fu deportato mio padre Abramo, tornitore specializzato della Breda, dirigente del Pc clandestino, rappresentante del Partito nel Cln cittadino. Con lui vennero arrestati gli altri 3 del direttivo, Finetti, Pirovano e Posola. Torturati a Milano, vennero poi spediti a Bolzano
.Ai primi di febbraio vennero caricati su un treno bestiame per essere portati a Mauthausen. Ma l’aviazione alleata bombardò la linea e dopo un paio di giorni passati rinchiusi, senza bere e mangiare, senza aria vennero fatti scendere, ma per infierire fino in fondo non vennero mandati a bere o a riposare, ma riuniti sul piazzale per l’appello. Tornarono a casa tutti e quattro che era già maggio e mogli e figli non sapevano se fossero vivi o morti e dove. Dopo poco più di nove mesi sono nato io.
Milena Bracesco sul pulman legge i nomi dei sestesi che vennero deportati qui, per ridare un nome a quelli cui i nazisti lo sottrassero riducendoli a numeri e a “pezzi”.
Oggi a Bolzano di quel campo non resta se non un muro che ricorda cosa è stato quel luogo.
Poi il Brennero ci accoglie con le cime innevate, passiamo un confine che stentiamo a capire bene dove sia. Via verso Linz, alcuni all’ostello, altri in albergo. Ma stasera ci attende il grande ristorante che frequentiamo da anni. La Wiener ci aspetta, cotoletta alla milanese per noi, viennese per loro. E domani svegli all’alba per visitare il castello di Harteim, Steyr e Gusen.