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SCUDETTO
DA MILLENNIAL
E IL MARE
(RI)BAGNA NAPOLI

di
ANGELO MASCOLO

Titolo: le cinque giornate di Napoli. Ma tranquilli. Non ho preso una cantonata. La storia è storia e non si tocca. Le giornate di Napoli resteranno per sempre quattro. E tra pochi mesi, peraltro, ricorrerà l’ottantesimo anniversario della liberazione dall’occupazione nazifascista. Eppure, da qualche giorno, le giornate a Napoli sono diventate cinque. A guardarlo bene anche questo fenomeno può appartenere alla storia. Forse non a quella con la S maiuscola, fatta di battaglie e cambiamenti epocali. È una storia d’amore, di popolo, di canzoni, di abbracci sconosciuti, di tirate tardi fino all’alba. Ma soprattutto è la storia di occhi, due in particolare, che non hanno mai visto la storia. La storia dello Scudetto.



Certo, per chi ha vissuto il settennato d’oro di Maradona questo Scudetto può essere qualcosa di emozionante sì, ma quasi un deja vù. Un ritorno alle origini, per certi versi. Per noi, invece, per i millennials nati tra la fine della guerra fredda e il mondo globalizzato non lo è. È una genesi, invece. L’inizio, l’archetipo, il principio primo, il sapore dolce della prima volta, il fascino proibito della vittoria prima sussurrata e poi goduta, della scaramanzia, del "non si dice", del "non succede ma se succede". Non me lo so spiegare bene. È un battito che non si ferma, che sa di tachicardia, un grido di chi finalmente ce l’ha fatta, di chi ha corso e sudato, di chi era lì a sostenere. Di chi ha sofferto soprattutto. Ha sofferto l’infamia del fallimento e delle retrocessioni, non soltanto calcistiche. Perché per chi non ha vissuto Diego, gli Scudetti e i trionfi, l’orgoglio di essere napoletano, e tifoso del Napoli, era qualcosa da sussurrare a mezza bocca. Perché non contava, perché era di serie B (o peggio di serie C) il solo pensare di tifare quella maglia, quei colori e quella storia.



Nessuno vuole mettere le mani su niente. Ma vi arrabbiate, voi decani e tifosi di lungo corso, se dico che questo scudetto è nostro? Non per smania o presunzione. Fatecelo sentire nostro, vi prego. Fino in fondo. Ne verranno altri (e lo speriamo fermamente), si aprirà un ciclo di imprese e di altre canzoni, ma questo Scudetto lasciatecelo a noi. A chi oggi ha trent’anni o giù di lì, a chi è precario e non ha futuro. No, non mi sto lamentando. Né facendo la vittima. Sto solo dicendo che questo Scudetto è la speranza che si realizza. È una base solida per chi non ha la terra sotto i piedi, per chi passa da un lavoro all’altro.

Lo so, dovrei parlare della città, del fatto che è solo una questione di sport, del turismo calcistico, del murale di Maradona, dei Quartieri Spagnoli e di Forcella. Ma il Napoli, e il calcio a Napoli, non è mai una semplice questione di sport. È uno stato d’animo di un’intera città, come ha avuto a dire Mimmo Carratelli, maestro di vita e di giornalismo. Però non voglio, e lo rifiuto con tutto me stesso, parlare di riscatto. Questo Scudetto non ci riscatta da niente. Perché da niente ci dobbiamo riscattare. Il riscatto presuppone un prezzo da pagare. E il nostro prezzo lo abbiamo pagato e lo stiamo pagando. Ma per altre questioni che non afferiscono al calcio e allo sport. Perciò lasciamo da parte il riscatto, le istanze sociali e politiche. Non c’entrano. Sono problemi troppo grossi che nemmeno Eupalla, come magicamente chiamava il gioco del calcio un altro grande del giornalismo sportivo che è stato Gianni Brera, può pensare di risolvere. Questo è invece uno Scudetto epifanico, nel senso della rivelazione. Perché ha manifestato la possibilità di pensare a un calcio, e a uno sport, diverso. Sostenibile, etico e anche pratico, diciamocelo pure. Per questo è il nostro Scudetto, lo Scudetto di una generazione che vuole guardare a questo evento come un punto di partenza e soprattutto a un modello virtuoso di fare impresa, costruendo e programmando per bene.



Perdonatemi, però. Sto divagando. Ho lasciato la strada delle giornate napoletane per tuffarmi nel mare profondo delle emozioni. Vi dicevo. Le giornate a Napoli sono cinque, da qualche ora, perché questo Scudetto ha stabilito un record. Anzi lo ha eguagliato. Insieme a Juventus, Inter (più recenti), alla Fiorentina (negli anni ‘50) nessun’altra squadra aveva mai vinto il campionato con cinque giornate di anticipo. Prima di tutti c’era riuscito solo il Grande Torino di Mazzola, Menti e Bacigalupo. Ma quel Torino non la considero nemmeno una squadra. Semmai un immenso cuore, parte di un paese che voleva rinascere dalle rovine della guerra, schiantatosi per sempre sulla collina di Superga. E credo non sia stato un caso che il nostro Scudetto sia arrivato proprio il 4 maggio. Proprio nel giorno di Superga. Nel giorno del Calcio, per eccellenza.

Ora cos’altro vi posso dire? Il giorno dopo le ossa non ci credevano. La mente era come intorpidita da una gioia senza confini. Il giorno dopo, 5 maggio, non sarà più il giorno di Manzoni, dell’ode a Napoleone, e dell' "Ei fu siccome immobile" ma di altre parole. Parole prese in prestito sempre alla letteratura, a un grande libro e soprattutto a una grande scrittrice. Anna Maria Ortese. Lo Scudetto è un mare che finalmente (ri) bagna Napoli. #ForzaNapoliSempre

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